Aurelio Peccei antifascista e partigiano
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Il fondatore del Club di Roma, antifascista da sempre, aderisce alla Resistenza cui partecipa nelle file di Giustizia e Libertà. Catturato, viene torturato dai repubblichini. Nei giorni della Liberazione (come racconta Giorgio Bocca) guida un reparto di partigiani nei combattimenti a Torino. Sarà poi nominato dal CLN commissario della Fiat al posto dei dirigenti epurati.
Dal rigetto della meschina Italietta fascista alla Liberazione, al rifiuto di indossare la camicia nera, alla sensibilità antimperialista, alla lotta come partigiano nelle formazioni di Giustizia e Libertà: la biografia di Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma e una delle menti più lucide di tutto il Novecento. Pubblichiamo un estratto del libro di Mario Salomone su Peccei e il Club di Roma La società umana oltre il “malpasso” (che può essere scaricato gratuitamente dal nostro shop). Le citazioni di Peccei sono tratte dalla sua autobiografia (La qualità umana).
Aurelio Peccei nasce a Torino il 4 luglio 1908 da una famiglia della borghesia laica e progressista, di lontane ascendenze ungheresi.
Cresce, come egli racconta nella sua autobiografia, nel clima «sobrio e forte» di una «città di stile severo e gentile» (Peccei 1976, p. 18). Dal padre (che era stato uno dei primi socialisti torinesi) riceve un grande insegnamento: essere un uomo libero.
Anche per sottrarsi «alla meschina autarchia culturale ed economica» (p. 19) dell’Italia fascista viaggia all’estero, passa sei mesi a Parigi frequentando corsi alla Sorbona e incontrando esiliati politici di molti paesi.
Impara il russo e grazie a un viaggio premio della Lega Navale Italiana visita l’Unione Sovietica, ma non sarà mai marxista. La conoscenza del russo, oltre che dell’inglese e del francese, si rivela però un asso prezioso e lo aiuta a trovare impiego alla Fiat. Più in là, lo aiuterà nel suo impegno di tessitore di relazioni scientifiche tra mondo occidentale e Urss.
Nel 1930 si laurea (110 e lode) in Economia all’Università di Torino con una tesi sulla nuova politica economica di Lenin. «Sono stato uno degli ultimi studenti che si sia presentato a discutere la tesi di laurea rifiutandosi di indossare la camicia nera» (p. 18).
La vita d’ufficio non fa per lui e Peccei convince la Fiat a mandarlo in Cina, dove resterà fino alla metà del 1939.
“Popoli che sudavano e marciavano al ritmo imposto da un paese straniero”
Nel 1933 si sposa (con rito civile), la moglie lo raggiungerà dopo alcuni mesi in Cina.
Durante il lungo viaggio per nave Aurelio Peccei tocca vari domini dell’immenso impero britannico e si chiede «quando e dove sarebbe cominciata l’inevitabile ondata di sollevazioni fra tutti quei popoli che sudavano e marciavano al ritmo imposto da un paese straniero» (Peccei 1976, p. 21).
A Shanghai lo colpiscono i cartelli apposti all’ingresso dei giardini pubblici del quartiere internazionale: “Vietato ai cani e ai cinesi”.
I cinesi lo affascinano per la loro operosità, l’abilità in ogni sorta di lavoro, e la loro saggezza, pazienza e civiltà, frutto di una cultura tramandata per centinaia di generazioni.
Vive due anni a Nanchang, nell’interno, dove ditte italiane stanno costruendo uno stabilimento aeronautico, dirigendovi l’ufficio affari generali.
L’impero nipponico aggredisce però la Cina e nell’agosto 1937 Aurelio Peccei si trova sotto i bombardamenti giapponesi. Organizza l’evacuazione di un centinaio di donne e bambini della comunità ita-liana, tra cui la moglie, che ritroverà poi a Hong Kong.
L’adesione a Giustizia e Libertà
Torna in Italia nel 1939, continua la sua carriera in Fiat e aderisce a Giustizia e Libertà, il movimento da cui nel 1942 nascerà il Partito d’Azione.
L’8 settembre del 1943 è tra quanti a Torino cercano di organizzare la difesa della città. Incontra insieme agli esponenti degli altri partiti il comandante di piazza, il generale Cetroni, ma il suo superiore Adami Rossi consegnerà la regione ai tedeschi, che entrano a Torino il 10 settembre. Peccei partecipa allora a una sorta di “consiglio di guerra” del piccolo gruppo di Giustizia e Libertà a casa di Ada Marchesini Gobetti, in via Fabro, insieme a Andreis, Agosti, Foa, Venturi, Luigi Scala. Entra poi in clandestinità.
Nel febbraio del 1944 viene casualmente arrestato dalla milizia fascista, mentre è in possesso di documenti compromettenti. «Robusto come un toro» (1976, p. 23), resiste alle sevizie per molti giorni, per dare ai compagni il tempo di prendere misure di sicurezza. Saranno informati dell’arresto da una donna che lo conosce, in visita alla caserma in cerca di notizie del figlio scomparso, che identifica Peccei solo grazie al cappotto, perché il viso era reso irriconoscibile dalle percosse.
Peccei sarà liberato solo nel gennaio del 1945, dopo quasi un anno di prigionia, grazie alle rivalità tra le varie fazioni fasciste, di cui approfittano i negoziatori di Giustizia e Libertà. Riprende l’attività clandestina.
La battaglia finale, poi a capo della Fiat dopo la Liberazione
Il 25 aprile 1945, mentre infuria la battaglia finale, Giorgio Bocca, che gli deve portare una lettera, lo trova a Torino dove – come racconta sul Venerdì di Repubblica – Peccei «ha piazzato il comando di Giustizia e libertà nella villa del senatore Agnelli, che della Fiat è padrone. L’atrio e piano terreno sono pieni di partigiani. La villa è vicina al Po, su cui ogni tanto passano i cadaveri dei cecchini fascisti». Racconta Bocca che mentre si trova nell’atrio della villa sente il fruscio delle corde dell’ascensore. «Esce un signore anziano in abito scuro, e canna. È il senatore Agnelli. Mi viene incontro e chiede: “Posso uscire per fare due passi?”. “Non le conviene, senatore, stanno ancora sparando”».
Peccei, nel suo doppio ruolo di capo partigiano e di profondo conoscitore della Fiat, viene nominato dal CLN commissario della Fiat insieme a Bono, Fogagnolo e Santhià al posto dei vertici dell’azienda epurati. Nel quadrumvirato cura la ricostruzione degli stabilimenti (colpiti al 60 per cento dai bombardamenti alleati) e la ripresa dell’attività produttiva.
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- Sociologo dell'ambiente, giornalista e scrittore, Mario Salomone dirige ".eco" dalla fondazione (1989), è autore di saggi, romanzi e racconti e di numerosi articoli su quotidiani e riviste. Già professore aggregato all'Università di Bergamo, è Segretario generale della rete mondiale di educazione ambientale WEEC, che realizza ogni due anni i congressi del settore.
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