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Cercasi direzione UE

| FRANCESCO INGRAVALLE

Tempo di lettura: 5 minuti

Cercasi direzione UE

La “Conferenza sul futuro dell’Europa” ha prodotto centinaia di raccomandazioni. Ma dagli accordi diplomatici nascono le organizzazioni internazionali, dalle assemblee costituenti nascono le democrazie; le prime hanno la loro legge fondamentale nei Trattati, le seconde hanno la loro legge fondamentale nelle Costituzioni. L’Europa è nel mezzo, per certi versi un “quasi Stato”, per altri una mera alleanza di Stati.

Il 9 maggio si è conclusa, a un anno dal suo inizio, la “Conferenza sul futuro dell’Europa”, organizzata, come è noto, dal Consiglio dei ministri dell’Unione europea, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea con la collaborazione delle Commissioni per gli affari europei dei parlamenti nazionali.

Il risultato è imponente: quarantanove “raccomandazioni” con quasi quattrocento “sotto-raccomandazioni”. Il ricordo va, con qualche verosimiglianza, ai circa cinquecento “Cahiers de doléances” presentati dagli Stati generali del Regno di Francia all’assemblea degli Stati generali del maggio 1789. In fondo, l’obiettivo è analogo: rispondere alla domanda: che cosa funziona e che cosa non funziona, rispettivamente, nel Regno di Francia, allora e che cosa funziona e che cosa non funziona, ora, nell’Unione Europea? Un sistema statale pre-democratico, nel caso della Francia del maggio 1789, un sistema post-democratico non statale nel caso dell’Unione europea. La democrazia è legata storicamente allo Stato nazionale, configurazione che nasce effettivamente a partire dal secolo XIV e che attraverso la diffusione diretta e indiretta dei modelli istituzionali legati all’esperienza delle diverse fasi della Rivoluzione francese si è democratizzato sotto la spinta dell’industrializzazione crescente e della conseguente società di massa in Europa (soprattutto occidentale).

Democrazia tra Stati?

Jurgen Habermas

Che la democrazia sia una forma gestionale della vita collettiva adattabile anche ai rapporti fra gli Stati è tesi che, soprattutto negli anni Novanta del XX secolo ha avuto una grande diffusione: da David Held a Jürgen Habermas, per citare soltanto alcuni nomi, l’immagine di una democrazia non soltanto continentale (europea), ma, addirittura, mondiale (“globalismo”) si è affacciata.

Tuttavia, sia a livello continental-europeo, sia a livello globale sussistono non soltanto difficoltà pragmatiche, ma anche difficoltà teoriche (rilevanti, perché la teoria dovrebbe guidare la prassi). Cercando di condensarle in un macro-problema, si potrebbe dire che l’origine e le regole funzionali dell’Unione europea e dell’ONU (l’organo di rappresentanza degli Stati del mondo che prendiamo come modello di organizzazione globale) abbiano natura diplomatica, non democratica, o, il che è dire lo stesso, che all’origine dell’Unione europea e dell’ONU ci sono vertici diplomatici, non assemblee costituenti elette a suffragio universale.

Una organizzazione internazionale diversa dalle altre

Dagli accordi diplomatici nascono le organizzazioni internazionali, dalle assemblee costituenti nascono le democrazie; le prime hanno la loro legge fondamentale nei Trattati, le seconde hanno la loro legge fondamentale nelle Costituzioni. I Trattati non hanno efficacia diretta sui cittadini degli Stati che contraggono un accordo diplomatico; le Costituzioni hanno efficacia diretta sui cittadini i cui rappresentanti in Assemblea costituente hanno redatto il testo costituzionale.

Sennonché, i Trattati europei hanno efficacia diretta sui cittadini europei (principio del primato del diritto comunitario sui diritti nazionali), pur non configurando uno Stato europeo; non dovrebbe accadere, in un’organizzazione internazionale. Ma è accaduto; il risultato è che l’Unione europea non è un’organizzazione internazionale come le altre (cioè: ha qualche cosa di più rispetto a esse), ma non è nemmeno uno Stato come tutti gli altri (cioè ha qualche cosa di meno rispetto agli Stati). L’Unione Europea è quasi uno Stato in certi ambiti (a esempio: nel suo mercato unico), è una mera alleanza di Stati in certi altri ambiti (a esempio nella sua politica estera). Da un lato essa è una grande potenza commerciale (oltre il 20% del mercato globale), dall’altro lato, essa non esiste nei rapporti diplomatici internazionali (di cui sono protagonisti gli Stati).

Un punto interrogativo

Se questo è lo “stato dell’arte”, quali sono i risultati della “Conferenza sul futuro dell’Europa”, intesa come strumento di “diagnosi” e come strumento di “prognosi”?

In “Il Sole 24 ore” dell’8 maggio 2022 Sergio Fabbrini (docente di Scienze politiche e Relazioni Internazionali presso la LUISS “Guido Carli” di Roma) focalizza il problema dell’Unione nella domanda che dà il titolo al suo articolo: Come uscire dalla regola trappola dell’unanimità? Il punto interrogativo è nostro e manca, non a caso, nella titolazione dell’articolo.

Come è rilevato nell’articolo stesso, il potere esecutivo, nell’Unione Europea è rivendicato da più istituzioni – a differenza di quanto avviene negli stati-nazione: la Commissione (per molte politiche regolative del mercato unico), il Consiglio dei Ministri (per la politica finanziaria dei paesi dell’area-euro), il Consiglio Europeo (nelle politiche relative alla sovranità degli Stati membri e negli indirizzi di fondo dell’Unione).

Il “movimento” dell’Unione come un “tutto” è la risultante dell’interazione (o “dialogo”) fra queste diverse istituzioni. Fabbrini punta il dito su una constatazione: le deliberazioni del Consiglio europeo sono soggette – con poche eccezioni – al principio del consenso all’unanimità (basta, dunque, che un solo Stato non sia d’accordo, su una specifica decisione, perché la decisione sia sospesa.

Il Parlamento Europeo, inoltre, non dispone del potere di iniziativa legislativa (che è monopolio della Commissione), né può influenzare le scelte della Commissione. Aggiungiamo che soltanto il Parlamento Europeo è eletto direttamente dai cittadini dell’Unione, mentre la Commissione è composta da nominati in base alla competenza tecno-scientifica proposti dagli Stati-membri (anche se soggetti, all’atto della nomina, a un esame dettagliato a opera del Parlamento).

Il Consiglio europeo non rende conto a nessuno, per quanto i singoli suoi componenti rispondano alle rispettive maggioranze parlamentari nazionali.

Un sistema lento e complesso

Va da sé che un sistema così complesso opera con difficoltà e relativa lentezza in situazioni in cui la decisione deve essere presa con la maggiore tempestività possibile. Ovviare a questo grave problema può essere soltanto il compito di una Convenzione finalizzata a rivedere i Trattati. Ma non è possibile ovviare a questo grave problema senza trasformare l’Unione Europea in uno Stato federale. Trasformazione sulla quale non sarebbero d’accordo molti Stati entrati nell’Unione europea con gli allargamenti.

Aggiungiamo che una democratizzazione reale dell’Unione europea potrebbe prendere corpo soltanto se essa divenisse uno Stato federale, perché le strutture democratiche sono legate alla dimensione della “statualità”. Sicché il problema del deficit democratico dell’Unione dipende dalla sua federalizzazione, così come l’efficienza decisionale dipende dal suo divenire uno Stato federale. Si tratterebbe di un “federalismo pragmatico”, come si è espresso Mario Draghi (pragmatismo su cui ha richiamato l’attenzione anche Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo). Ma, oltre alla volontà di alcuni Stati membri, il più grande ostacolo a una federalizzazione dell’Unione è l’opinione, piuttosto diffusa, della inutilità di una politica estera unitaria e di una difesa militare unitaria, bastando, in fondo, a questo duplice scopo, la struttura militare e politica della NATO, come sembrano avere mostrato, fino a ora, i quasi tre mesi trascorsi dall’aggressione russa all’Ucraina.

Per fronteggiare quest’ultima emergenza è sufficiente, a parere di molti, la struttura militare e diplomatica della NATO, le cui basi militari, in Europa, ammontano a circa 284.

Vero è che un complesso statale non sorge se non da esigenze assai stringenti, di uno Stato che ne unifica altri, oppure di più Stati che si uniscono per via diplomatica, oppure con un atto costituente democratico, come mostra la storia della forma-Stato dell’età moderna. È da vedere se e quando esigenze di questo tipo si presenteranno, a livello di massa nei paesi membri dell’Unione Europea.

Nota bibliografica

Fabbrini, Sergio, Prima l’Europa. È l’Italia che ce lo chiede, Milano, “Il Sole 24 ore”, 2020.

Habermas, Jürgen, La costellazione postnazionale, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1999.

Held, David, Democrazia e ordine globale. Dallo Stato moderno al governo cosmopolitico (1995), tr. it. Trieste, Asterios, 1999.

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FRANCESCO INGRAVALLE
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