Il 19 novembre alle 7.20 del mattino le ruspe inviate dal Comune di Milano smantellavano il campo rom di Via Rubattino. E quella mattina, all’alba, mamme e insegnanti della scuola elementare Bruno Munari cercavano di rassicurare i piccoli bambini rom, compagni di classe dei loro figli, che piangevano e non volevano più andare a scuola […]
Il 19 novembre alle 7.20 del mattino
le ruspe inviate dal Comune di Milano smantellavano il campo rom di Via Rubattino. E quella mattina, all’alba, mamme e insegnanti della
scuola elementare Bruno Munari cercavano di
rassicurare i piccoli bambini rom, compagni di classe dei loro figli, che
piangevano e non volevano più andare a scuola per
paura di non rivedere la propria famiglia.
“Si è presentato un esercito tra polizia e carabinieri in tenuta anti sommossa, hanno sbarrato il campo” racconta Francesca, madre di Matteo, otto anni, compagno di classe di una bambina rom che frequentava da quasi regolarmente la scuola elementare.
“Ero andata lì per convincere i bambini a venire a scuola anche quella mattina nonostante lo sgombero ma i bambini avevano troppa paura di perdere la propria mamma.
Era stato infatti proposto alle mamme con bambini di età inferiore agli otto anni di essere ospitati provvisoriamente in una struttura del Comune, dividendoli però dai figli di età superiore ai sette anni, che sarebbero andati a dormire nei dormitori senza la madre e i fratelli. Solo quattro mamme che avevano bimbi sotto i sett anni quindi sono andati in quelle strutture, le altre non hanno voluto separarsi dai figli”, prosegue Francesca.
“I bambini piangevano, erano terrorizzati, vedevano le ruspe abbattere le loro case e anche se volevano andare a scuola, come tutte le mattine, non ce l’hanno fatta. Mio figlio mi ha domandato che fine avesse fatto la sua compagna, che si era integrata così bene a scuola e aveva un’ottima pagella. Non sappiano cosa rispondergli”, conlude la mamma di Matteo.
Erano trentasei i bambini rom che frequentavano le tre scuole della zona, oltre la Bruno Munari anche la scuola Elsa Morante di Via Pini e la scuola Cima.
Di questi trentasei bambini solo tredici sono riusciti a tornare a scuola.
“Alcune famiglie sono tornate in Romania, solo quelle che avevano un mezzo di trasporto e i soldi per farlo, altri dormono sotto i ponti, vivono accampati con i bambini. In entrambi i casi hanno abbandonato la scuola elementare due terzi dei bambini dopo questo smantellamento” spiega Bianca, la mamma di Lucia, otto anni, compagna della gemellina rom della classe di Matteo.
“Anche nella classe di mia figlia si sono chiesti che fine abbiano fatto Cristina e Florina. Mi ricordo la recita scolastica, i loro occhi che brillavano, i genitori vestiti alla meglio che potevano, con un completo gessato, che venivano orgogliosi a ritirare le pagelle e applaudire i bambini agli spettacoli, un vero esempio di integrazione“, prosegue Bianca.
Lo sgombero era annunciato da settembre e da allora le mamme della scuola si sono mosse per chiedere un piano di integrazione scolastica per i bambini, in modo da non far pedere loro la frequenza.
“Abbiamo fatto appelli, raccolte di firme, abbiamo scritto al Comune, al consiglio di zona, ci siamo rivolte alla Commissione Famiglia e Affari Sociali, mi hanno risposto che avrebbero portato la nostra richiesta al Prefetto. Sono passati mesi, lo sgombero è avvenuto e dei bambini nessuna traccia” racconta indignata Francesca.
“Mi aspettavo che Comune e Provincia prevedessero un piano per assicurare a questi bambini l’assenza di traumi, uno sgombero graduale e un’inserimento scolastico continuativo.
Non discuto la legittimità dello sgombero, ma l’assenza di un piano scolastico serio che tuteli i bambini e il diritto allo studio, indipendente dalla nazionalità“, spiega Bianca.
“L’integrazione di questi bambini rom stava formando bambini che potevano essere in futuro lavoratori invece di ladri, famiglie italiane che prima guardavano i rom con sospetto ora ne apprezzavano la compagnia alle recite scolastiche e i nostri stessi figli erano contenti delle loro compagne di classe e non ne avvertivano la diversità”, prosegue Bianca.
Ora lo sgombero proseguirà in altre aree periferiche della città ma di un piano che tuteli la frequenza scolastica dei bambini che andavano regolarmente a scuola da due anni nessuna traccia. I banchi sono vuoti, le domande dei compagni di classe su che fine abbiano fatto i loro amici non hanno avuto risposte, così come le domande delle mamme della Bruno Munari a Comune e Provincia.
“Mamma ma se non potevano stare lì non potevano intanto che le loro mamme e i loro papà si sistemavano da qualche parte, assicurarsi che tutti i bambini della nostra scuola non perdessero l’anno scolastico e continuassero a venire a scuola con noi? “
Questa domanda di Matteo, otto anni e tanta voglia di rivedere i suoi compagni, resta aperta e purtroppo senza una risposta.
09 dicembre 2009