La formazione di chi si prende cura, intervista a Luisa Piarulli
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Cambiamenti demografici: la sostenibilità passa anche dalla cura della persona
Le statistiche indicano che il Giappone detiene il primato per la popolazione anziana: più di una persona su dieci ha ormai 80 anni o più. I dati nazionali mostrano anche che il 29,1% dei 125 milioni di abitanti ha 65 anni o più, un record mondiale. Inoltre, il Giappone presenta uno dei tassi di natalità più bassi al mondo. Seguono l’Italia e la Germania, sebbene il fenomeno dell’invecchiamento sia in netta espansione in tutti gli Stati dell’Unione Europea.
“La tendenza è chiara: calo dei tassi di natalità, rapido invecchiamento, diminuzione della popolazione in età lavorativa e carenza di competenze,” ha affermato la vicepresidente della Commissione europea Dubravka Šuica a Euractiv. Questo scenario richiede una trasformazione sociale e culturale radicale e sistemica, escludendo logiche puramente assistenzialistiche.
È essenziale creare nuovi modelli e paradigmi per stabilire un equilibrio demografico e una convivenza democratica, riconoscendo la dignità di ciascun cittadino. La marginalità sociale, l’espropriazione di ruolo e identità, la censura delle personalità e la segregazione (visti i crescenti numeri di istituzionalizzazione) impongono una rinnovata attenzione, politiche innovative, pensiero critico, impegno etico, corresponsabilità e co-progettazione.
Una relazione di aiuto autentica si basa sulla generosità, sulla solidarietà e sulla personale inclinazione al volontariato, ma richiede in primis una solida formazione psicologica e pedagogica per promuovere un invecchiamento attivo. Questo è un obiettivo essenziale, poiché, secondo le previsioni, nel prossimo futuro il personale della cura non sarà quantitativamente sufficiente a rispondere ai crescenti bisogni di assistenza.
Prendersi cura, aver cura, chi si prende cura dell’anziano? Educatori, OSS.
Facciamoci accompagnare in questa lunga, ma preziosa conversazione dalla pedagogista Luisa Piarulli, autrice di numerosi saggi e libri in materia socioeducativa. Parleremo della società che invecchia e della crescente necessità di operatori formati per la relazione di aiuto.
Gli anziani, in particolare quelli affetti da patologie degenerative come l’Alzheimer, il Parkinson e le demenze senili, richiedono personale qualificato che possa soddisfare i bisogni quotidiani. È essenziale che l’Operatore Socio-Sanitario (OSS) operi con competenza e responsabilità, fornendo sostegno, assistenza e cura per favorire, migliorare o salvaguardare la qualità della vita dell’individuo.
Il lavoro dell’OSS richiede conoscenze e competenze specifiche, adattate alle diverse aree di intervento, oltre a principi etici e deontologici. Questi professionisti offrono servizi alla persona, integrando i servizi sociali e socio-sanitari nel sistema del Welfare. Gli obiettivi principali sono la promozione del benessere, della salute e dell’autonomia degli utenti, potenziando le capacità individuali.
La formazione: una delicata questione “complessa”
Cerchiamo di spiegare la formazione dell’Operatore Socio-Sanitario, le abilità, gli strumenti, la “cassetta degli attrezzi” che deve avere.
Con la conferenza Stato-Regioni del 22 febbraio 2001, ovvero l’Accordo tra il Ministero della Sanità, il Ministero della Solidarietà Sociale, le Regioni e le Province autonome di Bolzano e Trento, è stata individuata la figura dell’Operatore Socio Sanitario (OSS). Per esercitare questa professione è necessario conseguire la qualifica, ottenibile con il diploma della scuola dell’obbligo e la frequenza di un corso di formazione regionale di 1000 ore (550 ore in aula e 450 ore di tirocinio), presso un ente pubblico – Aziende Ospedaliere o ASL – oppure da un ente accreditato dalla regione; inoltre, è richiesto il compimento del diciottesimo anno di età alla data di iscrizione al corso. L’attestato di qualifica, senza il quale non è possibile partecipare a un concorso, abilita all’esercizio della professione di OSS di primo livello (art. 14-L. 945/1978).
A seguito della L.3/2018, che stabiliva il riordino delle professioni sanitarie, sono state apportate delle modifiche sostanziali alla figura professionale dell’OSS, che ora è riconosciuta a tutti gli effetti come professione sanitaria e non più strettamente tecnica. Il nuovo profilo dell’OSS (aprile 2023) puntualizza che “l’operatore socio-sanitario è l’operatore che svolge attività finalizzate a soddisfare i bisogni primari e a favorire il benessere e l’autonomia delle persone assistite in ambito sanitario, socio-sanitario e sociale” e che “l’operatore socio-sanitario svolge la propria attività in collaborazione con il professionista sanitario o sociale di riferimento, e in integrazione con gli altri operatori sanitari e sociali”. Il nuovo operatore socio-sanitario opererà nei contesti sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali, presso i servizi e le strutture ospedaliere e distrettuali, territoriali, residenziali, semi-residenziali, presso le strutture scolastiche, le strutture penitenziarie, a domicilio dell’assistito, nonché presso ulteriori contesti che, in ragione dell’evoluzione delle organizzazioni e delle necessità assistenziali, potranno necessitare della presenza dell’operatore socio-sanitario.
Quella dell’OSS è una professione finalmente rivalutata, molto richiesta a causa dei cambiamenti demografici in atto, e richiede una formazione attenta e approfondita, nonché un aggiornamento continuo (ECM). Inoltre, è nata la figura di OSSS, ossia Operatore Socio Sanitario Specializzato. “Per far fronte alle crescenti esigenze di assistenza sanitaria nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono provvedere all’organizzazione di moduli di formazione complementare di assistenza sanitaria, per un numero di ore non inferiore a 300, di cui la metà di tirocinio, riservati agli operatori socio-sanitari in possesso dell’attestato di qualifica di cui all’articolo 12 dell’accordo intervenuto il 22 febbraio 2001 (repertorio atti n. 1161) in sede di Conferenza Stato-Regioni tra il Ministro della Salute, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’operatore socio-sanitario e per la definizione dell’ordinamento didattico dei corsi di formazione, o di un titolo riconosciuto equipollente ai sensi dell’articolo 13 dello stesso accordo”.
Chi può esercitare la professione?
Non è possibile esercitare la professione di OSS (Operatore Socio Sanitario) con solo il diploma quinquennale rilasciato da un istituto professionale dei servizi socio-sanitari. Con la riforma Gelmini del 2010, questo istituto ha introdotto un nuovo indirizzo di studi chiamato “Servizi Socio-Sanitari”, che ha sostituito i vecchi percorsi di “Tecnico dei servizi sociali” e “Dirigente di comunità”. Dal 2018, l’istituto ha cambiato nuovamente nome in Istituto Professionale dei Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale (I.P.S.S.).
Per i diplomati in questo indirizzo, a discrezione regionale, è possibile seguire un percorso integrato a partire dal terzo o quarto anno di studi. Questo percorso prevede la partecipazione di personale esterno e attività di tirocinio presso ospedali e altre strutture, permettendo agli studenti di accedere direttamente all’esame di qualifica regionale per operatore OSS e conseguire la relativa certificazione professionale. Ad esempio, questo avviene in regioni come Sicilia, Emilia Romagna e Veneto.
Il diplomato in servizi socio-sanitari e l’operatore socio-sanitario (OSS) sono due figure professionali differenti, seppur simili. L’OSS opera principalmente in ambito sanitario, con l’obiettivo di recuperare le capacità fisiche dei pazienti e fornire assistenza sanitaria, soprattutto a persone non autosufficienti. Gli OSS lavorano spesso a stretto contatto con gli infermieri.
Il diplomato I.P.S.S., invece, ha competenze in ambito socio-educativo e sanitario, intervenendo per migliorare il benessere bio-psico-sociale delle persone fragili e vulnerabili. Può lavorare in équipe multidisciplinari in strutture per disabili, centri diurni, comunità per minori, comunità di recupero, residenze sanitarie e case di riposo. Inoltre, ha la possibilità di proseguire gli studi iscrivendosi a corsi di laurea in scienze umane (psicologia, sociologia, scienze della formazione) o in professioni sanitarie (logopedia, fisioterapia, scienze infermieristiche, tecnico della riabilitazione psichiatrica e psico-sociale).
La confusione che ha accompagnato entrambi gli indirizzi formativi è evidente, a partire dai cambi di denominazione e dall’implementazione dei percorsi formativi. La complementarità degli indirizzi dovrebbe incoraggiare la politica a definire percorsi integrati e a valorizzare entrambe le professioni. Il diplomato dispone di una formazione più completa, avendo acquisito competenze specifiche, mentre l’OSS richiede un bagaglio di competenze maggiore a fronte di una formazione ridotta a 1000 ore.
La relazione di aiuto e la professione di aiuto, nonché il lavoro di cura, muovono da un’ottica ben precisa
Come sempre sostengo, il lavoro di Cura, secondo la visione di Lorenzo Milani (I Care), richiede competenze, formazione, acquisizione di crediti ECM per l’aggiornamento continuo e l’auto-formazione costante. Fortunatamente, si prospettano buoni cambiamenti per la formazione degli OSS, tra cui il diploma di scuola secondaria di secondo grado e l’acquisizione obbligatoria di crediti ECM.
La formazione per diventare OSS, a mio avviso, non è attualmente adeguata alla complessità di questa professione, una delle più delicate in assoluto. Chi possiede solo un diploma di terza media manca delle competenze di base necessarie. Chi ha un diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado è meglio equipaggiato, ma ritengo necessaria una formazione più approfondita, soggetta a continuo aggiornamento e auto-formazione. Questo è particolarmente importante perché per molti la professione di OSS rappresenta un “paracadute sociale” a causa delle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. Alcuni, lungo il percorso, scoprono un talento particolare per il lavoro di Cura, il che è positivo, ma non accade a tutti.
Che cosa può fare la scuola secondaria di secondo grado? Incrementare sia le ore dedicate allo studio e alla conoscenza delle scienze umane e sociali, tra cui la filosofia (conoscere l’epistemologia della “persona” è fondamentale), sia i percorsi di PCTO, che devono essere svolti in contesti adeguati ed efficaci. La scuola deve stipulare protocolli formali con strutture che ospitano persone in condizioni di vulnerabilità, ben organizzate nei programmi di intervento e dotate di équipe multidisciplinari con supervisione pedagogica. Gli studenti devono essere seguiti da tutor costantemente presenti, per accompagnarli nel percorso. Il processo di verifica e valutazione, sia in itinere che finale, deve riguardare sia gli studenti che le strutture ospitanti.
Nell’opera “Il talento di vivere. Pedagogia della vecchiaia per un nuovo
umanesimo” vengono proposti nuovi percorsi di formazione e una nuova etica di cura
Sarebbe estremamente vantaggioso fornire ai professionisti socio-educativi e sanitari una formazione specifica sulla comunicazione efficace, tema ampiamente studiato. Questo percorso dovrebbe partire dall’adozione del semplice pronome “tu” nelle interazioni con le persone vulnerabili, il quale va concordato tra le parti per garantire un dialogo simmetrico, nonostante l’asimmetria dei ruoli. Tale comunicazione dovrebbe essere priva di toni infantilizzanti o peggio ancora, compassionevoli, che compromettono la dignità del singolo individuo e alimentano la stigmatizzazione.
È essenziale sottolineare l’importanza di formare gli operatori alla mediazione con sé stessi e alla riflessione epistemologica, fondamentali per instaurare una relazione di cura efficace. Si fa riferimento anche all’etica della cura, richiamata nel giuramento di Ippocrate, il quale andrebbe approfondito dal punto di vista etimologico e esteso a tutti gli operatori. Il giuramento moderno include, tra gli altri principi:
- Impegno a instaurare con la persona assistita una relazione di cura basata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti;
- Adesione ai principi morali di umanità e solidarietà, nonché ai principi civili di rispetto dell’autonomia della persona.
Le Scienze Umane pongono l’individuo al centro del loro focus. In questa cornice interdisciplinare, emerge la predominanza della Pedagogia ed Educazione in senso ampio.
Come tu stesso sostieni, una formazione pedagogica ben concepita e strutturata è cruciale per assicurare la qualità della vita individuale e dei contesti circostanti. Le professioni nell’ambito della cura non devono limitarsi a compiti tecnici e materiali, ma devono incarnare un “dover essere”. Questo implica che la qualità deve essere pianificata, monitorata e valutata, coinvolgendo tutti, indipendentemente dalla posizione professionale. È un principio fondamentale della deontologia professionale che richiede un’etica dell’esistenza.
È evidente la presenza di nodi critici, come la carenza di personale nel sistema sanitario italiano, le lacune nella formazione psico-pedagogica dei professionisti dell’assistenza, e la necessità di umanizzare la medicina.
Alcuni gravi problemi emergono chiaramente:
- La carenza di personale non consente un’attenzione sufficiente a ogni individuo.
- Le azioni di emergenza non risolvono i problemi a lungo termine.
- Il personale medico-sanitario è scarsamente riconosciuto professionalmente ed economicamente.
- L’accesso agevolato a certe professioni sanitarie, soprattutto quelle che richiedono un forte contatto con il pubblico, non garantisce una reale tutela della salute dei cittadini, a causa di una formazione psico-pedagogica insufficiente.
- La sanità e l’insegnamento rischiano di diventare un “paracadute sociale”.
- La relazione educativa e la comunicazione efficace sono elementi pedagogici spesso trascurati durante la formazione.
La formazione dei professionisti dell’assistenza implica un percorso continuo di autoconoscenza, autocomprensione, autoriflessione, autovalutazione e autoformazione. La maturità affettiva è un processo dinamico, fatto di progressi e regressi, crisi e cambiamenti. Non è un traguardo, ma un percorso da affrontare costantemente.
Chiunque può pensare di attraversare questi campi perché si sente attratto dall’“aiutare l’altro”?
Coloro che operano con individui considerati fragili o vulnerabili devono comprendere che le professioni di assistenza richiedono una mentalità aperta e altruista, nonché un’etica profonda e una creatività costruttiva. Una formazione approfondita, sia personale che professionale, è essenziale: il benessere di uno è strettamente legato al benessere dell’altro.
L’inclusione sociale è l’obiettivo principale di ogni professionista dell’assistenza e non può essere solo una frase vuota o un cliché ripetitivo, così come concetti come diversità. Alcune parole possono alleviare il senso di colpa e dare l’illusione di aver fatto tutto il possibile. Tuttavia, è importante essere consapevoli delle parole che usiamo e del loro impatto etico, come sottolineato da Gadamer: “Quando la parola non raggiunge l’altro, è una parola morta”.
In una società ideale, la relazione educativa e una comunicazione umanizzata avrebbero un ruolo cruciale nella cura dei pazienti e di chiunque sia considerato fragile, contribuendo all’empowerment educativo. La sola competenza tecnico-professionale, anche se impeccabile, non è sufficiente. La cura terapeutica deve essere accompagnata dalla cura che dimostra interesse genuino per l’altro e un’educazione emotiva e riflessiva.
Fortunatamente, molte università, soprattutto nelle facoltà di medicina, hanno introdotto crediti formativi in pedagogia e psicologia, anche se in numero limitato. Questo rappresenta un primo passo verso una formazione pedagogica indispensabile.
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- Tiziana C. Carena, insegnante di Filosofia, Scienze umane, Psicologia generale e Comunicazione, Master di primo livello in Didattica e psicopedagogia degli allievi con disturbi dello spettro autistico, Perfezionamento in Criminalistica medico-legale. È iscritta dal 1993 all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si occupa di argomenti a carattere sociologico. Ha pubblicato per Mimesis, Aracne, Giuffrè, Hasta Edizioni, Brenner, Accademia dei Lincei, Claudiana.
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