Non eravamo preparati…
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Non avremmo mai pensato che dal quel fine settimana pauroso di fine febbraio dell’anno “bisesto” iniziasse un’apocalisse globale, un’apocalisse individuale e un’apocalisse universale. Previsioni e allarmi tempestivi sono stati ignorati e la pandemia ha colto governi e opinione pubblica impreparata. Considerazioni su reale e virtuale nell’era della globalizzazione. Come cambierà la nostra modalità della socializzazione?
“La gente rimase a casa e lesse i libri e ascoltò
E si riposò
E fece esercizi e fece arte e giocò
E imparò nuovi modi di essere
E si fermò
E ascoltò più in profondità.
Qualcuno meditava, qualcuno pregava, qualcuno ballava.
Qualcuno incontrò la propria ombra.
E la gente incominciò a pensare in modo differente
E la gente guarì
E nell’assenza di gente che viveva in modi ignoranti, pericolosi,
Senza senso e senza cuore,
anche la terra cominciò a guarire
e quando il pericolo finì e la gente si ritrovò,
si addolorarono per i morti
e fecero nuove scelte
e sognarono nuove visioni
e crearono nuovi modi di vivere
e guarirono completamente la terra
così come erano guariti loro.”
Kathleen O’Meara (Dublino 1839- Parigi1888)
Non avremmo mai pensato che dal quel fine settimana pauroso di fine febbraio dell’anno “bisesto” iniziasse un’apocalisse globale. Tutta la comunità individuale inizia a viversi come comunità globale e viceversa. Uno serve per l’altro e l’altro ancora. C’è un rapporto di reciprocità, mai come in questo presente storico si ha la percezione di essere tutti fratelli, tutti legati, tutta una specie in sopravvivenza concatenata. Il 29 febbraio, il giorno che non c’è, o c’è, o, meglio, è presente ogni quattro anni – da qui anno bisestile – non vorremmo che ci fosse, come i tre anni del passato, perché è proprio compreso nel fine settimana che inizia a incatenarci. Intorno al 12 febbraio inizia la pandemia come narro nell’Instant book che ricostruisce il momento.
Mai avremmo pensato, perché non ci hanno abituato a questo tipo di preparazione mentale e comportamentale, mai avremmo pensato che un problema sanitario di tal fatta portasse giù l’economia, in primis, e, sullo stesso piano, l’aspetto sociale. Eppure, un piano per la pandemia, pare, c’era.
La globosfera impreparata
È tutto chiuso, divieto di muoversi di casa. Le persone non hanno più soldi per mangiare. Ci sono disordini in alcuni posti. Non si sarebbe mai pensato che tutto potesse fermarsi così. Un effetto domino. Dall’oriente all’occidente, dall’Europa alla globosfera. In ogni dove si parla ossessivamente delle ricerche scientifiche sul corona virus delle ricerche laboratoriali sul corona virus, delle simulazioni delle pandemie del corona virus.
Della preparazione alla pandemia di fatto non c’è stato niente. Abbiamo le prove per le evacuazioni, per la sicurezza, in Giappone abbiamo i rimedi antisismici, ma dagli economisti e dai sociologi non abbiamo mai sentito parlare di un periodo pandemico. Oggi vediamo, tocchiamo con mano in che situazione è la sanità, in che condizione sono gli ospedali, in che condizioni stanno lavorando operatori sanitari e medici.
È anche vero che – per spezzare una lancia più o meno obiettiva – se il numero è incontenibile, non c’è nessuna sperimentazione pandemica che regga. Con un numero di contagi grande in un tempo ridotto, con diffusione a macchia. Un numero abnorme in un tempo lampo; la curva come abbiamo detto non è più lineare, ma esponenziale; il Covid-19 è incontenibile. Nella maggioranza delle persone, la percezione e il coinvolgimento emotivo che se ne ha è che non è chiaro quello che sta succedendo, non si può capire una cosa se non è chiaro quello che sta succedendo. È chiara la pericolosità in riferimento principalmente alla distribuzione a macchia, alla contagiosità e alla velocità di contagio.
Chi lavora in remoto e chi no
La popolazione è in casa da un mese circa, per la maggior parte si procede con lo smartworking, soprattutto gli insegnanti per andare avanti con la programmazione didattica.
Una parte, invece, della popolazione deve lavorare non in remoto, forze dell’ordine, supermercati per garantire la sussistenza, personale medico, farmacie, i rider, le pompe funebri. I vari DPCM del governo procedono con aggiornamenti continui proprio per l’emergenza. Non siamo ancora al picco del contagio. È quasi una “grida” per ogni dove per le mascherine, per gli igienizzanti. È quasi un’apocalisse. E, come diceva Victor Hugo, c’è un’apocalisse individuale e un’apocalisse universale.
La pericolosità viene anche percepita perché le informazioni che arrivano dalle fonti ufficiali non possono certamente rincuorare: abbiamo un numero abnorme di morti che ormai copre non soltanto la quarta età. Si sono adibiti campi per mettere bare, l’esercito porta le bare altrove perché non c’è più posto. Tanti operatori del settore funerario si ammalano anche. Le persone non possono accompagnare i loro cari: non c’è l’accompagnamento sociale alla morte.
Viralità delle fake news
La distanza sociale coatta arriva in questa forma. Il personale medico sanitario, i governatori di alcune regioni, alcuni sindaci ecc. ammoniscono a non uscire. Nessuno può rendersi conto di che cosa accada nelle terapie intensive. In ogni dove si inventano di costruire mascherine. Si inventa l’inventabile per fare fronte a questa apocalisse. Che la percezione della pericolosità del Covid-19 ci sia l’abbiamo già detto, che sia un’emergenza sanitaria è noto, che ci sia la percezione che il Covid-19 vada a inficiare tutta la nostra routine quotidiana e il nostro modo di pensare è chiaro, e gli evidenti segnali di crisi sono esaustivi. Le fake news che impazzano nei social network sono quasi un modo per viralizzare i social coprendo la contagiosità del Coronavirus. Vediamo chi corre più veloce, vediamo chi è più virale… Che le istituzioni, dopo avere fatto tanti tagli alla sanità e alla ricerca medica, chiedano all’esperienza dei medici di Cuba l’aiuto umanitario, il soccorso, è strano. Non è un indicatore di fiducia per la popolazione italiana, perché la popolazione italiana non è mai stata informata sui livelli di eccellenza della medicina cubana. E alla popolazione italiana, al popolo medio, il fatto di andare così lontano, presso una popolazione con la quale non ci sono rapporti così stretti, accresce nell’opinione comune l’impressione di ansia. Non è che si sia chiesto l’aiuto a tutti, ma è stato chiesto un aiuto di eccellenza; questa è una riprova del fatto che nell’era globalizzata non si sapevano le cose importanti: gli avanzamenti della ricerca, le eccellenze della ricerca. Non è il caso di recriminare sulle mancanze di informazione o comunque solo per gli addetti ai lavori.
Nell’attesa di…
Come possiamo leggere questo periodo? Ormai è un mese che “l’Italia resta in casa.” Come si vive tra le pareti di casa? Ciascuno a portare avanti il proprio lavoro per quello che è possibile, aprendo una finestra sul mondo attraverso la TV e i canali mediatici che ci informano. Nell’attesa che si scopra il vaccino, che diminuiscano i contagi, che si trovi una soluzione globale in tempi brevi per mettere freno a questa pandemia. Non ci hanno abituato a pensare, perché non ci hanno preparato a questo; un problema sanitario di questa portata fagocita come un pac-man tutto quello che trova ovunque lo trovi. Mentre siamo tutti in questo isolamento coatto che ha interrotto in modo subitaneo la vita frenetica, il correre di qua e di là, ci ritroviamo fermi nell’immobilità delle pareti domestiche. Qualche pensiero vola alla situazione del “dopo”. Che comunque sembra minacciato dall’idea ossessiva, ricorrente, di una ciclicità di virus di ritorno. Se così fosse i tempi di svolta sarebbero lunghissimi. Come possiamo pensare di rimanere in casa ancora un mese! Allo stesso modo come è possibile fare fronte a un’emergenza del genere?
La globalizzazione tra contatto e contagio
La sanità è prossima al collasso. Si stima (29/03 “Che tempo che fa” – dott. Lorini Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dott. Burioni Ospedale San Raffaele) che i contagiati possano essere – in totale, non testati – a tutt’oggi 700.000, quindi, se la letalità è dello 0,9% essa è molto bassa (considerato anche l’elevato numero di anziani in Italia. In questo periodo di stand-by, di attesa, l’aura magnetica della globalizzazione ci appare nel suo duplice, secolare volto: possibilità di contatto fra i popoli e possibilità di contagio fra i popoli. Non avremmo mai pensato che la realtà virtuale o la dimensione del virtuale diventasse la dimensione dell’emergenza. È come se tutti dovessimo dimenticare il nostro corpo e lavorare soltanto con la mente e rapportarci con gli altri con il computer. La mente deve dimenticare il corpo non solo per esorcizzare l’evento pandemico, ma per distanziarlo oggettivamente da tutto. Ma per quanto tempo potrà resistere la popolazione?
Siamo in un momento di grande silenzio, anche se c’è un momento di grande tam-tam nei media che illumina con tutta la sua potenza energetica il senso della parola. In realtà c’è un grande silenzio. Tutti chiusi nei nostri pensieri e nelle nostre paure di quello che succederà oggi o domani.
Dovessimo ricominciare la routine quotidiana, quando sarà vedremo tutti gli esseri umani con le mascherine. Il lavoro non si potrà fare se non con la mascherina. Diventerà il nostro accessorio quotidiano. E saremo tutti testati periodicamente. Come cambierà la nostra modalità della socializzazione?
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- Tiziana C. Carena, insegnante di Filosofia, Scienze umane, Psicologia generale e Comunicazione, Master di primo livello in Didattica e psicopedagogia degli allievi con disturbi dello spettro autistico, Perfezionamento in Criminalistica medico-legale. È iscritta dal 1993 all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si occupa di argomenti a carattere sociologico. Ha pubblicato per Mimesis, Aracne, Giuffrè, Hasta Edizioni, Brenner, Accademia dei Lincei, Claudiana.
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