Francesco, il papa che non piace alle lobby e a chi le aiuta
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Governi e comportamenti: questo il problema centrale. Ma ora la responsabilità passa alla capacità e alla volontà delle migliaia di vescovi e sacerdoti di veicolare il messaggio ai fedeli e alla capacità e la volontà dei fedeli che si riconoscono in Francesco di trarne le conseguenze nei comportamenti quotidiani: di vita, di produzione, di consumi.
Solo chi ritiene o riteneva che l’ambiente sia mare, monti, fiumi, laghi, uccellini e stambecchi può stupirsi dell’approccio e dei contenuti della Laudato si’, l’enciclica di Papa Francesco, e del suo concetto di ecologia integrale. Un’enciclica che, intendendo che “tutto è intimamente relazionato” è perfettamente “allineata” (se così posso dire, senza offesa) con l’ambientalismo più attento e moderno.
«Un grande insegnamento – ha scritto Vito Mancuso (Da san Francesco a Francesco “la repubblica” 16 giugno 2015) – è l’interconnessione di tutte le cose su cui il Papa torna più volte (‘tutto è intimamente relazionato’), al fine di comprendere, per fare solo un esempio, che il surriscaldamento del pianeta provoca la migrazione di animali e di vegetali e quindi l’impoverimento di determinati territori e di coloro che li abitano i quali, a loro volta, si trovano costretti a emigrare. Così l’ecologia, da mera preoccupazione per l’ambiente naturale, mostra di essere al contempo cura dell’umanità nel segno ancora una volta dell’ecologia integrale.»
La questione demografica
Se fosse solo questo – ma è molto di più – l’enciclica segnerebbe un’importante svolta. Perché induce alla riflessione e, magari, al ripensamento della ricorrente interpretazione dell’ambiente con l’aggettivazione di naturale. Dimenticando o ignorando che ambiente significa “ciò che sta intorno” e che ciò che ci sta intorno è sempre meno natura e sempre più, soprattutto, città nelle quali vivono almeno 3,8 miliardi di persone che saranno il doppio a fine secolo quando la popolazione terrestre, verosimilmente, toccherà il picco di 9-10 miliardi.
Troppi? La mancanza di questa annotazione circa i problemi derivanti dalla quantità di popolazione e, quindi, della necessità di limitare la crescita demografica, è una delle critiche mosse a Francesco. Anche Mancuso che prima citavo si chiede se sia sostenibile «affermare che ‘la crescita demografica è veramente compatibile con uno sviluppo integrale e sociale’ come scrive il Papa citando un documento ecclesiastico precedente». E ritiene che non lo sia. Personalmente ho sempre ritenuto e ritengo che sia difficile dimostrare scientificamente che siamo troppi, perché bisognerebbe anche correttamente dire troppi “rispetto a…” e questo sarebbe difficilmente dimostrabile. Basta solo osservare che quando Malthus pose questo stesso problema la popolazione terrestre si avviava a toccare il primo miliardo, mentre oggi siamo quasi otto volte di più. Siamo comunque molti e se fossimo di meno sarebbe meglio in quanto molti problemi, anche di quelli sottolineati nell’enciclica sarebbero più facilmente risolvibili. Tuttavia, mi sembra ancora condivisibile l’approccio dell’economista statunitense Lester Thurow: «Se la popolazione mondiale avesse la produttività degli svizzeri, i consumi medi dei cinesi, le inclinazioni egualitarie degli svedesi e la disciplina sociale dei giapponesi, il pianeta Terra potrebbe sopportare una popolazione molte volte maggiore di quella attuale. Se, invece, la popolazione mondiale avesse la produttività del Ciad, i consumi medi degli USA, le inclinazioni egualitarie dell’India e la disciplina sociale dell’ex Jugoslavia, il pianeta Terra non riuscirebbe neppure a sopportare la popolazione attuale».
Stridenti contrasti nella gestione delle risorse
È anche per questo stridente contrasto nella gestione delle risorse che i più poveri subiscono «gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali». Per cui, scrive sempre il Papa, si pone la necessità di «cambiare il modello di sviluppo globale» perché «il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi».
Il problema, dunque, non è solo quanti siamo, ma come ci governano e come ci comportiamo.
E non è nemmeno giusto e corretto dire che Francesco ha scritto cose belle e condivisibili, ma non se ne farà niente perché, come ha dichiarato Ettore Gotti Tedeschi, l’economista ex presidente dello IOR, «le lobby sono forti non lo ascolteranno». Né giusta mi sembra la critica mossa da alcuni ascoltatori nella puntata che “Radio tre scienza” ha dedicato all’enciclica il 17 giugno, secondo la quale il Papa avrebbe imbastito una sorta di “armiamoci e partite”. Una vera stupidaggine, l’ha definita Karl-Ludwig Schibel che, insieme con Pietro Greco, partecipava alla trasmissione. Una stupidaggine perché non è il Papa o il segretario delle Nazioni Unite o il presidente degli Stati Uniti a determinare da soli le sorti del pianeta. Ma è la capacità e la volontà delle migliaia di vescovi e sacerdoti di veicolare il messaggio ai fedeli; è la capacità e la volontà del miliardo di fedeli che si riconoscono in Francesco di trarne le conseguenze nei comportamenti quotidiani: di vita, di produzione, di consumi.
Chi aiuta le lobby
Ma, certo, anche tra i fedeli non è proprio questo l’inizio. Basta leggere qualche quotidiano per rendersene conto: Il Giornale e Il Foglio innanzitutto. Quest’ultimo, poi, è rimasto veramente spiazzato dall’enciclica e, coerentemente con le posizioni “negazioniste” circa le responsabilità umane alla base dei mutamenti climatici, il 17 giugno ha pubblicato un articolo a firma (pv) – Da “sarà un’enciclica solo pastorale” al catastrofismo scientifico abbracciato. La curiosa parabola di Laudato si’ – nel quale tra l’altro si legge «ci si permetta un po’ di sorpresa nel leggere come il testo scenda in particolari molto tecnici, e abbracci la tesi del riscaldamento globale incontrollato e causato dall’uomo, e tragga conclusioni che neppure i climatologi dell’ONU hanno tratto (un esempio su tutti: è difficile non mettere in relazione tale riscaldamento globale ‘con l’aumento degli eventi meteorologici estremi’, si legge)».
Allora il problema non sono le lobby che fanno il loro mestiere, ma chi le aiuta veicolando messaggi sempre meno supportabili scientificamente.
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- UGO LEONE
- Già professore ordinario di politica dell'ambiente presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Napoli "Federico II". I suoi interessi scientifici e i contenuti delle sue pubblicazioni sono incentrati prevalentemente sui problemi dell'ambiente e del Mezzogiorno. E' autore di numerosi volumi e editorialista dell'edizione napoletana del quotidiano "la Repubblica". Per molti anni è stato presidente del Parco nazionale de Vesuvio.
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