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Altra professoressa, altra lettera. Altri tempi

| UGO LEONE

Tempo di lettura: 6 minuti

Se molte cose sono cambiate da quando i ragazzi della scuola di Barbiana guidati da don Lorenzo Milani scrissero la famosa “Lettera a una professoressa”, è ancora oggi tempo delle scelte “contro i classisti, la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali”. E oggi don Lorenzo e i suoi ragazzi aggiungerebbero il rischio di estinzione dell’umanità, le guerre per il petrolio; la popolazione raddoppiata, che soprattutto in Africa si continua a morire di fame; l’AIDS come si prende e come si può prevenire; l’inquinamento di tutto quello che natura e padreterno ci hanno dato di pulito; il clima. Perché, come dice papa Francesco, “Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà”.

Il numero di settembre 2023 di “.eco” ha dedicato – non per la prima volta -ampio spazio a don Milani, di cui quest’anno ricorreva il centenario della nascita. Continuiamo anche sul sito della rivista la pubblicazione di articoli sul prete di Barbiana con questo intervento di Ugo Leone.

Cara professoressa, quanto tempo è passato da quando don Lorenzo Milani è morto e, nello stesso anno, ha pubblicato il suo più famoso libro. Lettera a una professoressa. Sono 56 anni. In realtà non sono tanti, ma le cose, le situazioni, le persone sono enormemente cambiate: anche lei, cara professoressa, non è più come quella alla quale aveva scritto don Milani.

Vediamo insieme che cosa è successo. C’è stato il ’68 che, come sa, non è stato solo un anno, ma un lungo periodo di trasformazioni e, in taluni casi, di tentativi di trasformazioni.

Il ’68? Mi dirà lei; ma don Milani non aveva fatto proprio una rivoluzione sessantottina? È vero. Ha ragione: il priore di Barbiana mandato in quel posticino sgarrupato, come si dice a Napoli, perché non desse più fastidio di quanto aveva cominciato a dare, ne ha scombinato di cose e di aspettative. Sino ad arrivare a teorizzare che l’obbedienza non è più una virtù tanto da essere processato e condannato. In contumacia perché morto.

Il monito del limite: la pacchia finirà

Certo è stato un rivoluzionario, come si usa dire di uno che smuove rumorosamente acque stagnanti. Ma il diverso che è successo dopo la sua morte è un “diverso” che ha inciso sino a sconvolgerla la planetaria vita quotidiana.

Nel 1972 un importante istituto di ricerche di Boston (il MIT Massachusetts Institute of Technology) fece sapere tramite un rapporto al Club di Roma che si era sbagliato tutto nel modo in cui si era impostata e realizzata la crescita economica e che, continuando in questa manifesta indifferenza verso i problemi che ne derivavano, la “pacchia” non sarebbe durata più di un centinaio di anni e poi sarebbe stata la fine.

Quella fine della quale ora ci si preoccupa tanto da far temere una generale estinzione dell’umanità come era avvenuto per i dinosauri 65 milioni di anni fa. Non tutti ci credono.

Altri pur temendo, tendono a minimizzare il problema e lei, cara professoressa, dovrebbe informare realisticamente i suoi studenti per incitarli ad agire perché non sia troppo tardi.

Molte sono state le crisi economiche e vani sono stati i tentativi di ridurre le distanze sociali ed economiche tra i Paesi ricchi e quelli che continuano ad essere molto poveri.

Di cosa parlare nell’era del “dopo don Milani”

Molti di questi angustiati da continue lotte interne come vere e proprie guerre così dette civili vedono da anni incrementare flussi di migrazioni che in modo drammatico partono dalle sponde settentrionali del Mediterraneo alla ricerca di “fortuna” verso l’Europa facendo tappa in Italia che è la meta più vicina. Molti non sopravvivono alle difficoltà di un viaggio su mezzi di trasporto sgangherati e in continui naufragi sono molti quanti muoiono affogati avendo coma tomba il Mediterraneo.

Sono queste alcune delle cose, situazioni, persone che caratterizzano vistosamente il dopo don Milani e che inviterebbero a consigliarle che cosa fare, di che cosa parlare, su cosa riflettere con i suoi studenti scrivendole una lettera.

Perciò non ha tanto senso stare a discutere e giudicare quanto scriveva don Milani con i suoi studenti ad una sua collega di 56 anni fa.

Pro e contro don Milani

Ma molti si sono cimentati in questa discussione con i consueti pro e contro. Ricordo che sei anni fa, era il 2017, 50 anni dalla morte di don Milani si cominciò sul “Sole 24 ore” del 26 febbraio 2017. Qui, sul domenicale, Lorenzo Tomasin con un articolo Io sto con la professoressa rileggeva criticamente la Lettera a una professoressa firmata dai ragazzi di Barbiana che si raccolsero attorno a don Lorenzo Milani e, passando in rassegna le critiche alla professoressa e alla scuola dell’epoca, concludeva scrivendo: “Mi fa una tenerezza. Sarà anche per questo che, in barba ai lapidari seriali, ai curati ribelli e ai loro chierichetti, ai ricercatori di complotti e ai pubblici predicatori, non so che farci: quasi per istinto, io sto con la professoressa”.

Una manifestazione per il clima: come nel Sessantotto, i giovani si mobilitano (Photo by WIktor Szymanowicz/NurPhoto)

Poi, la domenica successiva 5 marzo, “Sole” pubblicò altri due articoli: Come imparare a scrivere insieme di Franco Lorenzoni, Per una scuola democratica di Carlo Ossola, seguiti da Le ragioni della “professoressa”. Risposta dell’autore di Lorenzo Tomasin. Tanto per ricostruire alcuni aspetti di una cronaca. Una cronaca che è continuata saltellando sino a questo 2023 anno nel quale don Milani avrebbe compiuto cento anni.

Ancora il “Sole 24 ore” domenica 11 giugno 2023 Gabriele Pedullà (Don Milani al di là del conformismo) prendendo spunto dall’uscita di un libro di Adolfo Scotto di Luzio (L’equivoco Don Milani) ne sottolinea l’invito a riesaminare la “lettera” di don Milani “smascherando gli usi che l’hanno messa al centro del ’68, rifiutando l’assunto della povertà quale virtù e l’idea che l’alta cultura sia per borghesi e corrotti”.

Cosa scriverebbe oggi don Lorenzo

Ma, cara professoressa, non è su questo che vorrei invitarla a soffermarsi con i suoi studenti. E mi chiedo: ma oggi don Lorenzo la scriverebbe tal quale quella lettera? Come dicevo dopo quel 1967 il contesto storico politico sociale ed economico è cambiato anche molto per immaginarne una riproposizione uguale all’originale.

E se gli studenti non fossero quelli di Barbiana la riscriverebbe a una professoressa o professore (che so?) di Scampia, di Nisida e via aggiungendo luoghi simili? Forse se la prenderebbe sottobraccio a fare una chiacchierata e la troverebbe molto più disposta di allora a discutere insieme certi aspetti dell’insegnamento, dei comportamenti, dei risultati auspicati.

Io, oggi, le scriverei per invitarla a riflettere e a farlo insieme, su due punti di quella lettera. Il primo quando don Milani scriveva che “Non c’è nulla sul giornale che serva ai vostri esami. È la riprova che c’è poco nella vostra scuola che serva nella vita.”

E, ancora, che “Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali.”

Il rischio che l’umanità si possa estinguere

Di mio, di uno, cioè che ha vissuto e sta vivendo i 50 anni successivi a quella lettera, direi a quella professoressa (lo ripeto) di raccontare il ’68 (il prima e il dopo); le guerre per il petrolio; la popolazione che è raddoppiata e soprattutto in Africa continua a morire di fame; l’AIDS come si prende e come si può prevenire; l’inquinamento di tutto quello che natura e padreterno ci hanno dato di pulito; del clima che può cambiare in maniera sconvolgente; del rischio che l’umanità si possa estinguere. E non pochi altri gravissimi problemi. Anche per dire ai suoi ragazzi che tutto questo lo subiamo, talora silenziosamente, mentre potremmo e dovremmo ribellarci ai responsabili: anche insieme con la professoressa.

Papa Francesco: la scuola dovrebbe essere sinonimo di apertura alla realtà

Perché, come ha detto Papa Francesco, la scuola dovrebbe essere sinonimo di apertura alla realtà. “Ma non sempre riesce ad esserlo e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni”.

A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?”

E la concluderei questa lettera scrivendo che “cara professoressa, tutto questo lo dico a te perché mi accorgo sempre più che in non pochi casi sei una vittima e che sei anche intellettualmente (e non solo) onesta ma “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?”

Scrive per noi

UGO LEONE
UGO LEONE
Già professore ordinario di politica dell'ambiente presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Napoli "Federico II". I suoi interessi scientifici e i contenuti delle sue pubblicazioni sono incentrati prevalentemente sui problemi dell'ambiente e del Mezzogiorno. E' autore di numerosi volumi e editorialista dell'edizione napoletana del quotidiano "la Repubblica". Per molti anni è stato presidente del Parco nazionale de Vesuvio.