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Alex Zanotelli: “Disobbedienza civile per difendere la legge 185 sull’export di armi”

| Laura Tussi

Tempo di lettura: 5 minuti

Alex Zanotelli: “Disobbedienza civile per difendere la legge 185 sull’export di armi”
La legge 185 del 1990 è uno strumento fondamentale che garantisce trasparenza sui finanziamenti all’industria bellica. Tuttavia, oggi questa trasparenza è in pericolo. Ne abbiamo parlato con Alex Zanotelli, che ha ripercorso il processo che ha portato all’approvazione di questa normativa più di trent’anni fa e ha avanzato alcune proposte su come fronteggiare le minacce […]

La legge 185 del 1990 è uno strumento fondamentale che garantisce trasparenza sui finanziamenti all’industria bellica. Tuttavia, oggi questa trasparenza è in pericolo. Ne abbiamo parlato con Alex Zanotelli, che ha ripercorso il processo che ha portato all’approvazione di questa normativa più di trent’anni fa e ha avanzato alcune proposte su come fronteggiare le minacce attuali. Zanotelli ha anche sollevato il tema della “disobbedienza civile” come possibile strategia per contrastare gli interessi che minacciano la trasparenza dei finanziamenti nell’industria bellica. Zanotelli ha anche sollevato il tema della “disobbedienza civile” come possibile strategia per contrastare gli interessi che minacciano la trasparenza dei finanziamenti nell’industria bellica.

La legge 185 è forse poco conosciuta, ma è particolarmente rilevante in un’epoca in cui i conflitti che coinvolgono indirettamente il nostro paese sono in aumento. Nata nel 1990, questa legge è stata il risultato di un grande movimento popolare che includeva “I Beati Costruttori di Pace”, con Don Tonino Bello, e molte altre associazioni e organizzazioni di base, anche del mondo cattolico.

«All’epoca persi il mio incarico di direttore di Nigrizia proprio per le mie denunce sulle armi», ricorda Alex Zanotelli. «Penso che anche questo brutale provvedimento abbia ispirato tutto il movimento che ha portato all’approvazione della legge, un unicum in Europa». Con padre Zanotelli affrontiamo dunque la discussione sulla drammatica attualità, che rischia di vanificare i risultati ottenuti da quella grande mobilitazione.

Il Senato ha approvato le modifiche alla legge 185/90 che regolamenta le esportazioni di armi convenzionali. Con queste modifiche si vogliono cancellare gli obblighi di trasparenza e rendicontazione in Parlamento su export di armi e relativi finanziamenti. Se la legge passerà non sarà più possibile avere la lista delle banche armate e sarà compromessa la trasparenza.

Non tutti conoscono la legge 185 del 1990. Questa normativa è nata grazie alla spinta di un grande movimento popolare, che includeva “I Beati Costruttori di Pace” all’Arena di Verona con Don Tonino Bello e numerose altre associazioni, comprese molte organizzazioni di base cattoliche.

Io stesso fui rimosso dal ruolo di direttore di Nigrizia a causa delle mie denunce sulle armi. Questo brutale provvedimento contribuì a ispirare il movimento che portò all’approvazione della legge, un unicum in Europa. Non esiste un’altra legge simile nel continente.

La legge 185 prevede un controllo parlamentare sulle armi, un aspetto fondamentale che permette al Parlamento di identificare ogni anno le banche che finanziano il commercio di armi. Questo controllo è essenziale per conoscere e poi boicottare le banche coinvolte negli armamenti. Senza questo strumento, non avremmo potuto lanciare la campagna contro le banche armate.

Ad esempio, oggi sappiamo che l’80% degli investimenti in armamenti in Italia proviene da tre banche: Unicredit, Intesa Sanpaolo e Deutsche Bank. La campagna contro le banche armate ha disturbato il governo, ma finora non ha avuto piena attuazione. La questione è essenzialmente etica: come posso depositare i miei soldi in una banca che finanzia la produzione di strumenti di morte?

Il grande teologo Monsignor Chiavacci di Firenze, che partecipò al Concilio Vaticano II, sosteneva che è un dovere etico e morale per un cristiano, e per ogni cittadino, sapere dove mette i propri soldi e come questi vengono utilizzati. Questo principio è alla base della campagna contro le banche armate, che purtroppo non sta avendo il riscontro sperato, soprattutto tra le comunità religiose. Se le diocesi e le parrocchie italiane ritirassero i propri fondi da queste banche, potremmo mettere in crisi il sistema di finanziamento degli armamenti.

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha riconosciuto l’impatto delle banche etiche, esprimendo preoccupazione perché potrebbero etichettare le banche come armate. Ha persino proposto di creare una banca dedicata esclusivamente al finanziamento degli armamenti, segno che la campagna sta iniziando a dare i suoi frutti.

Attualmente, la legge 185/90, che monitora anche le banche armate, è sotto attacco in Parlamento. È già stata approvata dal Senato e si prevede che passerà rapidamente anche alla Camera. Per questo motivo, abbiamo organizzato una conferenza stampa a Roma per riunire tutte le realtà che nel 1990 contribuirono all’approvazione di questa legge.

Per contrastare lo strapotere delle Banche armate come si potrebbe attuare su larga scala una forma di obiezione del risparmiatore in favore della banca etica?

Dobbiamo comprendere che la questione non riguarda solo il risparmiatore individuale, anche se l’impegno personale è importante. Deve diventare una campagna di massa e collettiva. Questo vale non solo per la costruzione di armi, ma anche per altre cause rilevanti, come la campagna contro i combustibili fossili, promossa con grande forza dal Consiglio Ecumenico delle Chiese (WCC) a Ginevra.

All’estero, la campagna contro i combustibili fossili ha avuto maggiore successo rispetto a quella contro le banche armate, le quali finanziano l’estrazione di petrolio e altre attività dannose per l’ambiente. Queste campagne funzionano solo quando diventano movimenti di massa; è questa la loro forza. Non si tratta di sentirsi in pace con la propria coscienza dicendo “io non metto i miei soldi in una banca armata”. La vera questione è eliminare situazioni inaccettabili attraverso la nonviolenza, un metodo efficace sia per contrastare la costruzione di armi sia per affrontare la questione dei combustibili fossili. Anche in questo caso, le stesse banche, come Unicredit e Intesa Sanpaolo, sono spesso coinvolte.

La forza di questi movimenti risiede nei grandi boicottaggi dal basso. Non si tratta di placare la propria coscienza, ma di realizzare un boicottaggio di massa per ottenere cambiamenti reali. Un esempio efficace è quello degli Stati Uniti, dove un boicottaggio nazionale contro la Nike, accusata di sottopagare le donne in Indonesia, ha messo in crisi la multinazionale. In breve tempo, la Nike ha dovuto aumentare i salari delle lavoratrici in Indonesia. Questo è il tipo di efficacia che possiamo ottenere con campagne di massa e collettive.

La storica esortazione quella di Pertini “svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai” può essere invocata per le banche che finanziano le fabbriche di armi? e invece provocano un grave indebitamento dei piccoli agricoltori.

Certamente è un passaggio anche questo su cui pensare. Dovrà essere pensata bene come deve essere fatta la campagna per boicottare le banche che finanziano i produttori di armi. Perché per le campagne ci vuole tempo e devono essere tutti i soggetti coinvolti efficaci altrimenti diventano fasulle e soprattutto è necessario il consenso popolare e di massa.

Puoi commentare il comunicato stampa dell’ONU che si rifà alla sentenza della corte internazionale di giustizia del 26 gennaio nonché alla convenzione di Ginevra e chiede sostanzialmente agli Stati membri di interrompere l’export di armi verso Israele?

L’Italia ha un trattato secretato con Israele. Continua a vendere e ha continuato a vendere armi in tutto questo periodo della guerra o meglio un autentico genocidio che Israele sta perpetrando ai danni del popolo palestinese. Agli Stati quello che importa sono gli interessi economici e finanziari. Il permettere che le fabbriche di armi producano sempre ordigni militari. Quindi questo è il limite di perorazioni e invocazioni che si fanno sugli Stati. Le altre campagne toccano la coscienza della gente che deve essere cambiata perché è quella grande rivoluzione che arriverà dal basso e sarà nonviolenta, quando la gente prenderà coscienza e urlerà e griderà: basta.

Pensi che quando la riforma della 185 arriverà alla camera ci sarà una forte e massiccia manifestazione a Roma?

Non lo so. Faremo di tutto, ma è molto più efficace pensare a qualcosa di diverso. Ho proposto questa idea prima che il provvedimento arrivi alla Camera, durante il periodo attuale. La mia proposta, espressa anche durante la recente conferenza stampa a Roma, è che noi, rappresentanti di varie realtà, dobbiamo unire le forze per impedire la modifica della legge 185 e dobbiamo agire in modo efficace.

Oggi è inutile parlare di pace, è totalmente inutile. Ricordo sempre l’esempio di padre Daniel Barragan, gesuita americano, che ha sostenuto e animato la resistenza negli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Diceva: “Ragazzi, è inutile parlare di pace, perché fare pace costa altrettanto come fare guerra”. Padre Barragan ha trascorso 44 mesi in prigione negli Stati Uniti per le sue azioni contro la guerra in Vietnam. Oggi siamo arrivati a un punto in cui è necessario compiere atti di disobbedienza civile di massa. Dobbiamo essere pronti a disobbedire, andare in tribunale e persino in prigione.

Propongo di organizzare una seria manifestazione di disobbedienza civile davanti al Parlamento italiano. Stiamo pensando a come realizzarla, ma dobbiamo attivarci e muoverci. Un gesto di questo tipo può attirare l’attenzione della stampa e rendere le nostre azioni più efficaci e credibili, proprio come fanno i ragazzi di Ultima Generazione con le loro provocazioni.

Scrive per noi

Laura Tussi
Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN - Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.