40 anni di limiti alla crescita
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Nel 1972 il celebre rapporto del MIT al Club di Roma annunciava quanto tutti gli studi stanno confermando. Un monito che si rinnova: occorre cambiare rotta.
Mentre i negoziatori della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (che avrà luogo nel prossimo giugno a Rio de Janeiro) proseguono con una forte incapacità di visione e la crisi economico-finanziaria attanaglia ancora tantissimi paesi al mondo, il Club di Roma rinnova il forte richiamo all’umanità intera per non perdere più tempo ed agire prima che si raggiungano soglie critiche dei nostri modelli di sviluppo.
Il 1 marzo di quarant’anni fa nel 1972, alla Smithsonian Institution a Washington, i giovani ricercatori del System Dynamics Group, del prestigioso MIT coordinati dal Jay Forrester, Dana e Dennis Meadows, Jorgen Randers e William Bherens con il fondatore e presidente del Club di Roma, Aurelio Peccei, presentarono al mondo intero, in un evento pubblico, il rapporto The Limits to Growth (i limiti alla crescita).
Un evento storico
I prossimi 40 anni
Inoltre a maggio a Rotterdam, in occasione dell’apertura dell’Annual Conference 2012 del WWF intitolata “The Economy of the Future”, Jorgen Randers, ha presentato il nuovo rapporto al Club di Roma, 2052: A Global Forecast for the Next Forty Years (pubblicato da Chelsea Green e che uscirà in italiano in autunno da me curato per Edizioni Ambiente).
Dall’anno della sua istituzione (1968), il Club di Roma, voluto e presieduto da un grande italiano, Aurelio Peccei (1908-1984) figura dalle straordinarie qualità umane ed intellettuali, è stato uno straordinario think tank, pioniere nel dibattito internazionale sui limiti della nostra crescita economica, materiale e quantitativa, in un mondo dagli evidenti limiti biofisici; sui limiti delle nostre capacità di comprensione della grande complessità di problemi da noi stessi creati, e che esigono urgenti soluzioni; sulla necessità di una nuova economia che tenga conto delle risorse naturali; sulle rivoluzioni sociali prodotte dalle grandi innovazioni tecnologiche e informatiche.
Domande fondamentali
Le conclusioni del MIT
Le conclusioni erano le seguenti:
1. Nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale.
2. È possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe corrispondere alla soddisfazione dei bisogni materiali degli abitanti della Terra e all’opportunità per ciascuno di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano.
3. Se l’umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione.
Il Rapporto del MIT al Club di Roma scatenò un dibattito internazionale di enormi proporzioni. Al di là di alcune intrinseche debolezze dovute alla semplificazione dell’intero modello mondiale in una simulazione elettronica ancora molto approssimativa, esso ha avuto e manterrà sempre il merito di aver colpito seriamente il mito culturale della crescita che oggi si dimostra sempre di più assediato dai fatti e dalle evidenze.
I limiti rivisitati
Non è un caso che in quegli anni gli attacchi al Rapporto provenissero da tutti quei fronti ideologici e politici che, come ricorda il grande economista ecologico Herman Daly, non mettevano minimamente in discussione il concetto di crescita e gli effetti devastanti della nostra crescente pressione sui sistemi naturali.
Nel 2004 nel terzo volume della rivisitazione dei limiti della crescita (pubblicato in italiano con il titolo “I nuovi limiti dello sviluppo”, Mondadori) i Meadows e Randers rafforzano le argomentazioni già espresse: in questi ultimi trent’anni, nonostante alcuni progressi – dalle nuove tecnologie, alle nuove istituzioni e alle nuove consapevolezze sulla gravità dei problemi che dobbiamo affrontare – l’umanità ha perso l’opportunità di correggere significativamente il corso corrente del sistema economico e oggi è necessario uno sforzo ancora maggiore per mitigare gli effetti negativi dell’impatto nel XXI secolo.
Le conseguenze dell’inazione
Il nuovo e ultimo rapporto di Randers “2052” è altrettanto chiaro: la mancanza di una seria ed adeguata risposta nella prima metà del 21° secolo ai problemi della tutela ambientale, del depauperamento delle risorse e dei cambiamenti climatici metterà il mondo su di una strada molto pericolosa per la seconda metà del secolo, soprattutto per quanto riguarda il pericolo dell’incremento dell’effetto serra naturale.
Il rapporto è molto lucido nelle sue conclusioni seguendo e rafforzando il messaggio centrale già contenuto in tutta la serie dei “Limits”: continuiamo a vivere in una maniera che non può più essere perseguita per le prossime generazioni e dobbiamo agire rapidamente per avviare significativi mutamenti di rotta.
La crescita esponenziale della popolazione e la produzione industriale sono ampiamente responsabili del deterioramento attuale dello stato del pianeta.
Un solo Pianeta
L’umanità continua a vivere oltre le capacità rigenerative e ricettive dei sistemi naturali del Pianeta e, in diversi casi, si verificheranno situazioni di collasso locale prima del 2052. Stiamo emettendo almeno due volte più gas serra ogni anno rispetto a quanto può essere assorbito dai grandi ambienti che costituiscono aree di stoccaggio del carbonio, gli oceani e le foreste del mondo.
Non può esistere una sostenibilità del nostro sviluppo sociale ed economico se cerchiamo continuamente di oltrepassare i limiti delle dimensioni biofisiche dei sistemi naturali e se indeboliamo la loro vitalità. La sostenibilità vuol dire, fondamentalmente, imparare a vivere nei limiti di un solo Pianeta. Rio +20 dovrebbe tracciare la strada per andare in questa direzione.
Gianfranco Bologna
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