Essere donna, essere mamma. Paesi a confronto
Sono 350mila le donne al mondo che perdono la vita in gravidanza o per il parto, 50 milioni quelle che
Dati alla mano, per molte donne avere dei figli vuol dire misurarsi con situazioni estremamente critiche, per quanto riguarda la condizione economica, l’integrazione e la stabilità lavorativa, la possibilità di fronteggiare rischi quotidiani o pianificare il futuro. L’Italia si posiziona al 17esimo posto di questa graduatoria, con oltre un milione di mamme che si trovano a vivere in condizioni di povertà.
Leggendo i numeri sull’austerità nel nostro Paese, si scopre che è il rapporto con il mondo del lavoro a caratterizzarci negativamente rispetto agli altri Paesi europei. Già di per sé inferiore al dato medio europeo, documenta il rapporto Fondazione Cittalia – ANCI Ricerche per Save the Children – il divario occupazionale cresce all’aumentare del numero dei figli: il tasso di occupazione femminile è pari al 65% in assenza di figli ma decresce al 60,6% e al 54,8% nel caso, rispettivamente, di uno e due figli, per crollare al 42,6% quando i figli sono almeno 3.
Segno che la maternità incide sui livelli occupazionali femminili e paradossalmente può diventare causa di povertà. La distanza con i principali paesi europei è molto elevata: l’occupazione femminile italiana è inferiore di oltre 25 punti percentuali rispetto a Paesi Bassi e Danimarca, di oltre 18 punti con il Regno Unito e Germania e di oltre 10 punti con la Francia.
Al rientro dalla maternità molte neomamme si vedono diminuire le mansioni, bloccare le prospettive di carriera, subiscono mobbing e a volte l’unico modo per poter seguire la crescita dei figli è quella di licenziarsi. E le difficoltà economiche per molte donne emergono drammaticamente considerando le tante voci del bilancio e del menage familiare. Alcuni esempi: fra le mamme in coppia con un bambino piccolo, il 18,6% non ha i soldi sufficienti per fare fronte a tutte le spese del mese; il 16,3% ha pagato in ritardo almeno una bolletta; il 10,3% non è stato in grado di sostenere con regolarità le spese scolastiche dei figli; il 5% non ha potuto acquistare con continuità generi alimentari.
Questa analisi “fotografa” la situazione dell’Italia al 2008. Ma l’impatto della crisi economica si è senza dubbio fatto sentire in questi mesi, aggravando ulteriormente la situazione ed il divario già presente tra Nord e Sud del Paese.
Secondo una recente indagine ISFOL sono proprio i carichi familiari e gli orari di lavoro poco family friendly a caratterizzare l’inattività femminile. Ma se interpellate sulle modalità di rientro nel mercato del lavoro, queste mamme dichiarano di volerlo fare accettando un lavoro part-time e per un reddito netto fra i 500 e i mille euro al mese. Insomma sono donne ben consapevoli che servirebbero tempi di lavoro più flessibili, maggiore condivisione nel lavoro familiare, più servizi per l’infanzia e per gli anziani e maggiori indennità economiche destinate ai nuclei familiari.
Anche in questo caso il ritardo del nostro Paese nello sviluppo di forme flessibili di lavoro ad orario ridotto è evidente: nel Regno Unito il tasso di occupazione part-time per le donne con almeno 3 figli è pari al 64,4%, in Germania al 77,7% e in Olanda addirittura all’89,5%, oltre il doppio di quello italiano.
Tornando alla classifica una mamma norvegese è innanzitutto una donna a cui non «capita» di avere un bambino, ma «sceglie» di concepirlo quando le condizioni glielo consentono. Ha più di 18 anni e ha ricevuto una buona istruzione. Partorisce in ospedale, ha un lavoro sicuro, vive in una città con servizi qualificati e gode di un’aspettativa di maternità tra le 46 e le 56 settimane. L’Italia non è in grado di offrire altrettanto.
I rapporti sono scaricabili all’indirizzo www.savethechildren.it/pubblicazioni
L’indagine su donne, mamme e lavoro www.isfol.it
Laura Travierso
15 luglio 2010
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