Fin dall’alba dell’umanità gli esseri umani hanno protetto il corpo dal freddo coprendolo con pelli o con tessuti ricavati intrecciando alcune fibre che la natura offriva in molti vegetali e in alcuni animali.
Le fibre naturali di origine vegetale, costituite principalmente da cellulosa, si distinguono in fibre del seme (cotone), in fibre del fusto (canapa, lino, iuta, kenaf, ginestra), fibre del frutto (cocco), fibre delle foglie (sisal, agave, abaca); le fibre di origine animale, costituite da proteine, sono la seta e quelle del vello di pecore, capre, lama, cammelli, vigogne, conigli angora, eccetera.
Nell’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento le fibre naturaliprovenivano in gran parte dai paesi coloniali e alimentavano, in Europa, una fiorente industria di trasformazione in filati e tessuti.
Col passare del tempo i paesi europei hanno cercato di liberarsi dalle importazioni producendo dei surrogati delle fibre naturali dapprima sotto forma di fibre artificiali, ottenute con processi chimici da materie prime naturali – i vari tipi di rayon (viscosa, bemberg, acetato), le fibre caseiniche come Merinova – e poi di fibre sintetiche ottenute trasformando in sottili delle materie termoplastiche derivate dal petrolio.
Arrivano le fibre sintetiche
La prima fibra sintetica fu il nylon, commercializzato nel 1939, seguito da numerose altre fibre studiate in modo da adattarle ai processi di filatura, lavaggio, tintura e tessitura usati per le fibre naturali. Il grande successo delle fibre sintetiche ha determinato un rallentamento della crescita della produzione di molte fibre naturali.
Nel 1960 la produzione mondiale di fibre naturali era di 12 milioni di tonnellate contro tre milioni di tonnellate di fibre sintetiche e artificiali; nel 1994 la produzione di fibre sintetiche e artificiali è salita a 20 milioni di tonnellate, uguale a quella delle fibre naturali. Nel 2016 la produzione mondiale di fibre sintetiche è salita ancora a circa 62 milioni di tonnellate, più 6,5 milioni di tonnellate di fibre artificiali, mentre quella delle fibre naturali è di circa 30 milioni di tonnellate.
In qualche caso, in seguito all’avvento delle fibre sintetiche, la produzione di alcune fibre naturali è addirittura scomparsa. Ad esempio l’Italia era un grande produttore di canapa specialmente in Emilia Romagna e in Campania; negli anni venti e trenta del Novecento la canapa italiana era esportata in tutto il mondo; nei successivi anni Cinquanta è cominciato il declino e ora la coltivazione della canapa in Italia e la produzione delle fibre sono praticamente scomparse. Simile destino ha subito la produzione del lino. Con la diminuzione della richiesta delle fibre naturali molte zone agricole dei paesi europei e, soprattutto dei paesi arretrati sono state colpite da crisi economiche e sociali; in qualche caso la crisi delle fibre naturali ha provocato conflitti locali e migrazioni interne.
Un risveglio spinto dall’ecologia
L’attenzione per l’“ecologia” ha fatto risvegliare, in questi ultimi anni, l’interesse per le fibre naturali, considerate “verdi” perché ottenute da materie agricole rinnovabili, sostanzialmente derivate dai grandi cicli biologici alimentati dal Sole.
La natura ha progettato e “fabbrica”, nei vegetali e negli animali, delle fibre il cui carattere fisico e chimico consente di ottenere tessuti per indumenti gradevoli da indossare sia d’estate, sia d’inverno, per arredi domestici, anche per applicazioni industriali. Inoltre la produzione delle fibre tessili naturali fa parte di un ciclo produttivo che comprende vari utili sottoprodotti.
Ad esempio il cotone, la più importante fibra tessile naturale di origine vegetale, è la lanuggine che circonda il seme del cotone e la sua produzione (circa 24 milioni di tonnellate nel 2016) è accompagnata dalla produzione, in quantità doppia rispetto alla massa della fibra, di semi ricchi di olio (circa il 30 % del peso del seme) e di proteine impiegati in settori industriali e alimentari.
La FAO: valorizzare le conoscenze locali
La produzione della canapa è accompagnata da residui legnosi, i canapuli, che trovano impiego come combustibili o in altri campi. Le fibre tessili naturali prodotte e usate finora sono però soltanto una piccola parte dei materiali fibrosi ricavabili dalle piante. La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha fra i suoi fini quello di incoraggiare indagini botaniche e tecniche su altre piante adatte a fornire fibre tessili, valorizzando poco note esperienze locali, e di incoraggiare perfezionamenti nelle varie fasi del ciclo produttivo delle fibre naturali: coltivazione o allevamento, separazione, purificazione, tintura, filatura, tessitura. Molte di queste operazioni sono state praticate finora su scala locale e artigianale; i loro perfezionamenti possono migliorare le qualità delle fibre naturali commerciali.
Migliori conoscenze delle fibre naturali sono necessarie per farne aumentare la richiesta nei paesi industriali e la produzione nei paesi poveri e poverissimi, soprattutto africani e asiatici, la cui economia essenzialmente agricola può avviarsi così verso uno sviluppo anche sociale e umano.
Geografia economica delle fibre naturali
Se si osserva la geografia economica delle fibre naturali, dopo il cotone, si trova la iuta, la cui produzione si aggira fra 2 e 3 milioni di tonnellate all’anno; il 60 % della produzione di iuta è in India, seguita dal Bangladesh. Simile alla iuta è il kenaf, la cui produzione è ancora limitata ma che proviene da vari paesi specialmente asiatici. Intorno a 300.000 tonnellate all’anno è la produzione di sisal e di altre “fibre dure” ricavate dalle foglie di agavi e di simili specie che si trovano soprattutto in paesi africani (Kenya, Tanzania e Madagascar), in America latina e in Cina; finora il loro uso è stato limitato alla fabbricazione di sacchi e cordami, ma di recente esse stanno trovando crescente impiego per la fabbricazione di tappeti e addirittura di pasta da carta. Ci sono pochi dati sulle fibre da noci di cocco, esportate da India, Sri Lanka, Tailandia, Malaysia, Indonesia.
Attualmente (2016) il principale paese produttore di fibra di canapa, circa 100.000 tonnellate all’anno, è la Cina; la canapa di Manila (abaca) è prodotta principalmente nelle Filippine e il lino è prodotto principalmente in Cina ma anche in alcuni paesi europei.
Aiutare i paesi meno svilupppati, sfruttare meglio le risorse nei paesi industrializzati
Fra le fibre tessili naturali di origine animale domina la lana, con una produzione di circa 2 milioni di tonnellate all’anno (lana sucida, contenente ancora il grasso, a cui corrispondono circa 1,1 milioni di t/anno di lana lavata), principalmente in Australia, seguita da Cina, Nuova Zelanda, Iran, Argentina, eccetera. La produzione della seta si aggira intorno a 150.000 tonnellate all’anno, principalmente in Cina.
Queste poche cifre suggeriscono alcune considerazioni. Il gigante asiatico Cina non esporta soltanto merci a basso prezzo ed elettronica, ma anche materie prime “naturali” essenziali per l’economia dei paesi industriali. Un ampliamento degli usi e della produzione delle fibre naturali gioverebbe principalmente ai paesi in via di sviluppo; nello stesso tempo i paesi industrializzati potrebbero contribuire con nuove ricerche alla migliore utilizzazione delle fibre note esistenti e potrebbero aiutare i paesi emergenti ad identificare piante in grado di fornire nuove fibre naturali. Ma forse anche nei paesi industrializzati potrebbe giovare la resurrezione di coltivazioni di piante da fibra: canapa e lino, ben note in passato, ma forse anche ginestra, la bella leguminosa preziosa anche per consolidare zone franose collinari.
Anche il mondo della moda potrà dare un importante contributo proponendo indumenti e accessori con queste nuove, ma vecchissime, fibre, all’insegna dell’ecologia e dello sviluppo umano dei paesi più poveri.