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Autarchie e ecologia. Le tre “età autarchiche” e la crisi attuale

| GIORGIO NEBBIA (1926-2019)

Tempo di lettura: 4 minuti

Autarchie e ecologia. Le tre “età autarchiche” e la crisi attuale

Caratterizzate da stupidità e furbizie, si sono avvicendate almeno tre età autarchiche, sia in paesi democratici, sia totalitari. Ma alcune soluzioni “autarchiche” presentano di nuovo interesse proprio per motivi ecologici, nell’era della globalizzazione, di fronte ai problemi di scarsità di materie prime e di impoverimento ambientale. Il petrolio ha fatto dimenticare materiali e tecniche dimenticate e pochi sanno che nel sud Italia si può coltivare la pianta della gomma.

Autarchia è parolaccia: ricorda il fascismo, le ristrettezze, le miserie del decennio 1935-1945 e anche alcune cose ridicole. Di per sé, il termine “autarchia” indica la soluzione di problemi tecnici e produttivi usando le risorse intellettuali e materiali di un singolo paese, isolato; è, insomma, il contrario di Europa e di globalizzazione, i nuovi idoli del XXI secolo. È però curioso che proprio in alcuni paesi fautori della globalizzazione, davanti ai problemi di scarsità di materie prime e di impoverimento ambientale, si vadano a reinventare soluzioni tecniche caratteristiche delle autarchie.

Correva il 1900…

“Autarchie” al plurale, perché le stesse soluzioni sono state trovate nelle varie autarchie, quelle fasciste (in Italia, in Germania, nella Francia occupata dai nazisti), ma anche quelle dell’Unione Sovietica, degli Stati Uniti, dell’Inghilterra. Si possono identificare almeno tre “età delle autarchie”. Dal 1900 al 1920 (l’alba dell’età del petrolio e la prima guerra mondiale); dal 1930 al 1945 (prima e durante la seconda guerra mondiale); dal 1973 al 1985 (l’età delle crisi del petrolio). Una ripresa dell’interesse per soluzioni autarchiche è in corso dal 2000. Le autarchie hanno in comune alcuni caratteri per i quali userò i termini moderni: il riutilizzo degli oggetti usati; il ricorso a fonti energetiche rinnovabili (solare, eolico); l’utilizzazione di prodotti e sottoprodotti agricoli e forestali per la produzione di merci finora ottenute dal petrolio; il privilegiare la lunga durata e la degradabilità delle merci; l’economia circolare.

La storia delle autarchie è tutta da scrivere e non è facile ricostruirla perché molti documenti sono sepolti negli archivi o sono scomparsi. Ha provveduto Matino Ruzzenenti, storico che lavora presso la Fondazione Micheletti di Brescia, con il prezioso libro: “Autarchia verde”, pubblicato da Jacabook, Milano.

Soluzioni in barzelletta

Le autarchie sono state caratterizzate da stupidità e furbizie; in Italia chi proponeva qualche soluzione bislacca spacciabile come “autarchica” trovava ascolto presso qualche gerarca, spesso ignorante, e riusciva a farsi finanziare imprese destinate all’insuccesso; quando scarseggiava il ferro per i cannoni qualcuno si fece finanziare la raccolta, mediante calamite, dei minuscoli granuli di ferro presenti nelle spiagge laziali e pugliesi; la quantità di ferro era irrilevante come lo fu quella del ferro ricavato dalla raccolta delle cancellate metalliche delle case. Circolava in epoca fascista una barzelletta che però non posso scrivere, perché prevedeva la trasformazione in burro di una materia prima non nominabile per ragioni di decenza. Eppure, alcune soluzioni “autarchiche” presentano di nuovo interesse proprio per motivi ecologici.

Motori alcolizzati

Oggi è di gran moda, come sostituto della benzina, il bioetanolo che è poi l’alcol etilico ottenuto per fermentazione dai carboidrati ricavati da piante zuccherine, da amido di cereali e di tuberi e da materie lignocellulosiche come legno e paglia. L’alcol è stato il carburante per motori a scoppio all’alba dell’era dell’automobile, sostenuto da Ford, poi usato nelle gare automobilistiche, poi usato per riscaldamento domestico e poi ancora come carburante durante la seconda guerra mondiale, e poi negli anni settanta per evitare l’impiego del velenoso piombo tetraetile come antidetonante. Prima della petrolchimica l’alcol etilico è stato usato anche come materia prima per il butadiene necessario per la gomma sintetica, un butadiene dalla biomassa, quindi.

Quando manca il petrolio

Qualsiasi materiale naturale contenente carbonio, idrogeno e ossigeno, per riscaldamento si trasforma in gas che possono essere usati come combustibili o combinati in idrocarburi simili a quelli che si ottengono nella distillazione del petrolio. Siamo rimasti in pochi ormai a ricordare i “gasogeni”, grossi pentoloni applicati nel retro degli autobus o dei camion, contenenti un fornello nel quale veniva scaldata della legna che si scomponeva in idrogeno e ossido di carbonio, miscela di gas che venivano poi avviati nel motore del veicolo. Si trattava di aggeggi rudimentali che, col tempo, sono stati perfezionati al punto che oggi, per “pirolisi” di materie organiche, si possono ottenere gas utilizzabili come combustibili e materie prime industriali. Ogni volta che, nel corso del Novecento, è scarseggiato il petrolio, i paesi industriali si sono rivolti al carbone che, per gassificazione, ha fornito materie trasformabili in benzina; la Stanic di Bari, ormai un rudere, è nata nel 1938 per la produzione di benzina sintetica per idrogenazione dei carboni e bitumi albanesi.

Importanti capitoli della chimica industriale

Nella prima metà del Novecento si studiava e si insegnava un vasto capitolo di chimica del legno dal quale, con vari processi, era possibile ottenere alcol metilico e materie prime industriali. Un altro importante capitolo della chimica industriale riguarda le fermentazioni con le quali è possibile trasformare i vari zuccheri in innumerevoli sostanze: dall’alcol butilico, anch’esso impiegabile come carburante, all’acetone, alla glicerina che peraltro si forma in grandi quantità anche dai grassi naturali quando sono trasformati nel “biodiesel” il sostituto di origine vegetale del gasolio per motori diesel. E dalla glicerina si ottenevano il propilene e molti altri derivati finora prodotti per via petrolchimica.

Tessile: la riscoperta di pratiche dimenticate

Sta nascendo una nuova attenzione per le fibre tessili vegetali la cui produzione è stata soffocata dalle fibre tessili sintetiche. L’Italia era all’avanguardia nella produzione della canapa e del lino, praticata anche nel Mezzogiorno con tecniche molto raffinate. Sia la canapa sia il lino vengono separato dalle rispettive “bacchette” mediante trattamento entro “maceri”, vasche piene d’acqua contenenti microrganismi che scompongono il collante che le teneva unite. Molte di queste pratiche sono state dimenticate e oggi importiamo fibre vegetali che una volta erano “autarchiche” e oggi vengono richieste da una ondata di moda ecologista. In periodo autarchico erano state studiate utilizzazioni della ginestra, pianta diffusa da cui è possibile ricavare fibre tessili o cellulosa da carta.

Piante capaci di fornire gomma simile a quella delle foreste tropicali possono essere coltivate anche nei nostri climi e sopravvivono in California e in Russia. Coltivazioni della pianta da gomma guayule erano cominciate anche in Puglia nel 1938-40, poi abbandonate. Il petrolio a basso prezzo e i successi dell’industria petrolchimica hanno spazzato via tutte queste conoscenze; che si debba andare a studiarle di nuovo, ora che il petrolio oscilla intorno a 60-70 dollari al barile?

Scrive per noi

GIORGIO NEBBIA (1926-2019)
GIORGIO NEBBIA (1926-2019)
Giorgio Nebbia, scomparso all'età di 93 anni il 3 luglio 2019, è stato una delle principali figure del movimento ambientalista. Bolognese di nascita (nel 1926), è stato professore ordinario di Merceologia all’Università di Bari dal 1959 al 1995, poi professore emerito, insignito anche dottore honoris causa in Scienze economiche e sociali (Università del Molise) e in Economia e Commercio (Università di Bari; Università di Foggia). Le sue principali ricerche vertono sul ciclo delle merci, sull’energia solare, sulla dissalazione delle acque e sul problema dell’acqua. Per due legislature è stato parlamentare della Sinistra indipendente alla Camera (1983-1987) e al Senato (1987-1992). L'archivio Giorgio e Gabriella Nebbia è ospitato presso il centro di storia dell'ambiente della Fondazione Luigi Micheletti.