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La scienza biomimetica: i successi di una nuova scienza

| GIORGIO NEBBIA (1926-2019)

Tempo di lettura: 4 minuti

La scienza biomimetica: i successi di una nuova scienza

Specie molto recente nella scala dell’evoluzione, gli esseri umani non hanno ancora imparato come trarre il meglio dalla natura, come hanno fatto invece milioni di specie di vegetali e animali nel corso di decine di milioni di anni. Eppure molti fenomeni naturali, opportunamente compresi e copiati, consentirebbero di ottenere nuovi prodotti utili e d’interesse commerciale.

Se voi passaste in campagna accanto ad un cardo di montagna e aveste la sgradevole sensazione dei fiori che vi si attaccano al vestito, che cosa fareste? li togliereste. L’ingegnere svizzero George de Mestral (1907-1990) li ha invece presi in mano, li ha osservati al microscopio e ha così scoperto che sono dotati di piccolissimi ganci. Ha allora provato a riprodurre questi microscopici ganci con fili di nailon e ha visto che potevano essere applicati su un tessuto e che così si potevano agganciare e tenere uniti due pezzi di tessuto senza spilli o bottoni o cerniere lampo. De Mestral ha brevettato questa invenzione nel 1955 negli Stati Uniti e ha creato una società che commercializza questi tessuti autoadesivi – quelli che nel parlare comune si chiamano “stretch” – facendo una fortuna.

La natura è meglio, parola di Aristotele

È uno solo dei molti esempi di successo delle ricerche di una nuova scienza, la biomimetica, che si propone di realizzare cose utili osservando i fenomeni della natura. D’altra parte lo aveva detto Aristotele: “Se una cosa è migliore di un’altra, state tranquilli che la migliore è quella della natura”. I campi di studio della biomimetica sono numerosi e cercano risposte a fenomeni che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Perché i delfini possono muoversi senza fatica nel mare a 50 chilometri all’ora? Perché i serpenti si muovono senza gambe? Perché i gechi (sapete? quelle specie di lucertoline che si trovano anche nelle nostre terrazze) riescono ad aderire ai muri e anche ai soffitti muovendosi liberamente? Perché molti animali vivono nell’acqua di mare pur avendo, nei liquidi all’interno delle loro cellule, una minore concentrazione salina? Perché se appoggiate una tartaruga col dorso sul pavimento, la tartaruga riesce a rovesciarsi e ad appoggiarsi di nuovo sulle sue zampe ? Perché le foglie del loto sono sempre pulite? Perché i ragni elaborano dei filamenti che, a parità di diametro, sono più resistenti dei fili di acciaio? I botanici e gli zoologi sanno rispondere a molte di queste domanda: il problema è come riprodurre gli stessi fenomeni a fini utili, commerciali, industriali.

La scoperta dell’osmosi inversa

Le navi e i sottomarini si muovono nel mare, a differenza dei delfini consumando molta energia per il forte attrito delle loro superfici con l’acqua del mare. Nel 1936 il biologo Sir James Gray (1891-1975) studiò la pelle dei delfini e identificò la struttura che gli consentiva di muoversi velocemente e con basso attrito. Qualche anno dopo un ingegnere tedesco, emigrato negli Stati Uniti, Max Kramer, riprese in mano il problema per conto della Marina americana e brevettò uno speciale materiale che, applicato sulla superficie delle navi, diminuiva l’attrito, consentiva un movimento più rapido e un minore consumo di energia.
Circa mezzo secolo fa alcuni studiosi israeliani hanno osservato che, in alcuni animali, le cellule riescono a conservare al loro interno una bassa concentrazione di sali quando sono immerse in acqua molto salina come quella del mare. Partendo dall’osservazione che le membrane di tali cellule hanno una diversa struttura sulle due facce, altri ricercatori hanno preparato delle membrane artificiali costituite da pellicole di acetato di cellulosa con due facce differenti, una liscia e una rugosa. Quando l’acqua di mare veniva compressa su una delle due facce, la membrana lasciava passare acqua dolce priva di sali: era così scoperto un nuovo sistema di dissalazione, quello di osmosi inversa, ormai utilizzato in migliaia di impianti industriali che sono in grado, nel mondo, di produrre alcuni miliardi di metri cubi all’anno di acqua dolce dal mare.

Quante cose da scoprire

Lo studio delle sostanze che rivestono le foglie di loto ha consentito di preparare delle vernici che proteggono le superfici esterne degli edifici dalla polvere e dalla sporcizia portati dalle piogge e dal vento. Naturalmente molta attenzione è rivolta ad una migliore comprensione di come le foglie verdi utilizzano l’energia solare per “costruire” le molecole che diventano zuccheri, amido, cellulosa, eccetera, nella speranza di utilizzare l’energia del Sole con un rendimento migliore di quello ottenibile oggi con le celle fotovoltaiche al silicio.
I gechi possono muoversi aderendo saldamente a qualsiasi superficie, anche orizzontale, perché le loro zampe sono dotate di setole, delle specie di cuscinetti che si attaccano benissimo dovunque. In via di principio, se fosse possibile riprodurre la struttura di tali setole sulla suola di una scarpa, anche una persona potrebbe camminare su un soffitto a testa in giù o restare attaccata all’esterno di una stazione orbitale nello spazio. Se capissimo meglio come si formano le madreperle e le conchiglie potremmo produrre artificialmente materiali preziosi per impianti dentari o ossei. Questi sono appena alcuni dei molti fenomeni naturali che, opportunamente compresi e copiati, consentirebbero di ottenere nuovi prodotti utili e di interesse commerciale.

Ma la biomimetica si propone di comprendere e imitare altri fenomeni, come i sistemi di comunicazione che consentono alle formiche di procedere ordinatamente in fila, ai pipistrelli di orientarsi al buio, ai girasoli di rivolgersi verso il Sole per massimizzare l’energia raccolta. Cominciano a diffondersi testi e riviste scientifiche che trattano la biomimetica e alcune università offrono già dei corsi in questo campo.
Janine Benyus, che ha creato un Istituto di biomimetica negli Stati Uniti e che è stata inclusa fra i 43 “eroi dell’ambiente”, ricorda che gli esseri umani sono così “arretrati” e fragili biologicamente perché sono una specie molto recente nella scala dell’evoluzione e nel corso di poche centinaia di migliaia di anni (da così poco esistiamo) non hanno fatto in tempo a imparare come trarre il meglio dalla natura, come hanno fatto milioni di specie di vegetali e animali nel corso di diecine di milioni di anni.