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Thailandia. Uno sguardo all’economia del “Paese gentile”

| Pier Luigi Cavalchini

Tempo di lettura: 9 minuti

Thailandia. Uno sguardo all’economia del “Paese gentile”

Ciò che WEEC si accinge a celebrare in Thailandia è qualcosa di più di un semplice congresso, di un appuntamento “consueto” da vivere con sufficienza o poco più. È il luogo stesso a proporci qualcosa di speciale, qualcosa che non potrà non condizionare i lavori del simposio. La città, la grande città di Bangkok andrà un po’ a riassumere tutta questa originalità che, con molta umiltà, vorremmo presentarvi, sperando in una vostra curiosità e, magari, partecipazione diretta. Con questo spirito riprendiamo la descrizione della realtà thailandese, una nazione che fa della flessibilità la sua arma migliore e che sa stare al passo coi tempi, esaminandone – questa volta – gli aspetti economici.

La situazione attuale

Thailandia. Un laboratorio di ricerca avanzata

I dati del Fondo Monetario Internazionale parlano chiaro: oggi la Thailandia è la seconda più grande economia del Sud-est asiatico dopo l’Indonesia e, con un reddito medio più alto, funge da punto di riferimento per i suoi vicini meno fortunati. L’economia della Nazione si è andata diversificando e, specialmente in questi ultimi anni, ha assunto sempre più caratteri di “resilienza”, cioè di grande capacità di adattamento e, a volte previsione, dei mutamenti epocali in atto. In questa ottica gli investimenti pubblici dovrebbero rimanere un fattore chiave e aumentare nei prossimi anni, in linea con i piani infrastrutturali del governo per attirare gli investimenti privati. “Dovrebbero”, perché l’anno 2018 ha visto i migliori risultati da quando il governo a guida militare è salito al potere nel 2014, con una crescita economica che ha raggiunto il 4,6% del PIL anche se è previsto un nuovo calo nel 2019 e nel 2020 (rispettivamente per il 3,9% e il 3,7%). Questa previsione, confermata da tutti i principali analisti internazionali è causata dal rallentamento globale del sistema commerciale e dalle crescenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina.
L’inflazione per il momento rimane allo 0,9% e si prevede che rimanga intorno all’1,1%; condizione che dovrebbe essere compensata dal favorevole impatto salariale con nuove assunzioni e incremento delle attività nella maggior parte dei settori. Il disavanzo pubblico e il debito pubblico sono rimasti relativamente stabili nel 2018, stimati rispettivamente del -0,8% e del 41,3% dall’FMI. Le esportazioni di beni e servizi (71% del PIL) dovrebbero mantenere buone performances, nonostante il rallentamento della Cina.

Una disoccupazione tra le più basse del mondo

In Thailandia uno dei tassi di disoccupazione più bassi del mondo

È giusto ricordare che nel periodo fra gli anni Novanta dello scorso secolo e il 2000 si è registrato un elevato livello di indebitamento, assolutamente non assorbito nei decenni seguenti. D’altra parte, il consumo delle famiglie, che rappresenta il 50% circa del PIL, dovrebbe rimanere costante, tenendo i livelli di reddito reale attuali, senza quindi portare ad ulteriori miglioramenti. Di qui le difficoltà inerenti il debito pubblico. Per questo motivo il Piano Strategico Nazionale Thai (2017-2036) si concentra sul miglioramento del contesto imprenditoriale e tende a rafforzare la competitività del paese e le performances economiche nel medio-lungo termine. Soprattutto attraverso lo sviluppo di nuove linee ferroviarie, strade e autostrade, con nuovi porti e aeroporti. Il continuo controllo del potere da parte della Giunta al governo ha rassicurato molti investitori stranieri precedentemente scoraggiati dalla potenziale instabilità. Pertanto, è presumibile attendersi un miglioramento nell’arco del prossimo decennio.
L’aumento della concorrenza regionale, tuttavia, potrebbe ridurre l’attrattiva della Thailandia come destinazione per gli investimenti. Anni di lotte politiche interne e ripetuti “colpi di stato” hanno allontanato il paese dalla sua tradizionale alleanza con gli Stati Uniti e ancor più dalla Cina. Le tensioni tra il nuovo re Maha Vajiralongkorn, la giunta militare al potere e l’opposizione politica si sono intensificate nel corso delle recenti elezioni politiche (marzo 2019) il cui esito ha portato ad un rafforzamento sostanziale del precedente blocco di potere. Il tasso di disoccupazione è rimasto basso nel 2018 (0,7%) e si prevede che rimarrà sullo stesso livello nei prossimi anni. Questa percentuale di disoccupazione “ufficiale” in Thailandia è tra le più basse al mondo soprattutto per i minimi livelli di natalità (con una inversione di tendenza radicale, a partire dal 1980) e, in modo particolare, per la presenza di un vasto “settore informale”, che impiega la maggior parte della forza lavoro (venditori ambulanti, motociclo-taxi e indipendente).

I principali settori economici

La Thailandia ha una forza lavoro di 38,5 milioni su una popolazione totale di 69,2 milioni. La sua economia è ancora fortemente dipendente dall’agricoltura e dall’allevamento, che rappresenta l’11% del PIL e impiega il 34,8% dell’intera forza lavoro. Come è noto siamo di fronte ad uno dei principali produttori ed esportatori di riso, ora anche forte nei settori della gomma, dello zucchero, del mais, della juta, del cotone e del tabacco. Anche se, come vedremo più avanti, non mancano i problemi e le contraddizioni, specie in questa fase di passaggio.
La Thailandia era una volta uno dei maggiori esportatori di legni duri, in particolare Tek primario e Dipterocarpus alatus, conosciuto in Thai come “legno yang”. Nel 1989 il governo ha imposto il divieto di disboscamento in seguito a una catastrofica frana nella parte meridionale del paese, che è stata in gran parte attribuita alla deforestazione causata da una serie di ripetuti interventi di “pulizia” iniziati all’indomani del Secondo conflitto mondiale. Alcuni tagli per usi locali sono continuati e, sebbene altri tipi di legname proveniente dalle foreste thailandesi siano stati esportati illegalmente, il divieto ha generalmente avuto successo. Sono stati molti gli sforzi per conservare le foreste esistenti e ampliare le riserve forestali, anche se i vari governi, nonostante gli impegni finanziari notevoli, hanno avuto due ordini di opposizioni: da una parte le popolazioni agricole tradizionali, abituate ad interventi radicali di arricchimento del terreno (anche con il fuoco) fra cui la pratica del “debbio”, con l’abitudine di disporre liberamente del legname in taglio non vincolato. Dall’altra parte le opposizioni dei grandi commercianti di legname che vedevano drasticamente ridotte le loro entrate. Tant’è vero che diverse multinazionali del legno – a carattere locale – operano oggi in Laos, Cambogia, MyamMar, penisola di Malacca, pur mantenendo la sede sociale in territorio Thai.
Il settore manifatturiero rappresenta il 35,0% del PIL ed è ben diversificato. Le principali industrie thailandesi sono quelle della componentistica, della produzione d’acciaio e dell’elettronica in tutti i suoi aspetti. La Thailandia è nota anche per essere un centro di assemblaggio per marchi automobilistici internazionali. Pure le produzioni riguardanti le apparecchiature legate alla meccatronica, ai computer, alla produzione di cemento e derivati lapidei, al legno, sia in semilavorato che in mobili finiti, sono fiorenti. Il settore delle “plastiche” si mantiene di buon livello, essendo passato dalle più tradizionali tecniche di produzione e messa sul mercato (con prodotti ad alto tasso inquinante) alla ricerca di “percorsi green” con l’ideazione e la realizzazione di materiali “similplastici” derivati da riso, palme, radici, foglie, leguminose. Il settore tessile impiega meno di un quarto della forza lavoro di quanto aveva nel 1980 e questo perché le rivendicazioni salariali hanno portato ad una equiparazione dei costi rispetto all’Europa, alla Russia o all’America, non rendendo più redditizia la produzione locale. Il settore di gran lunga più importante per l’economia thailandese è – com’era da immaginare – quello del turismo, sia di pura fruizione (di mare, giungla e montagna) sia a carattere religioso culturale. Su questo ha scommesso molto il governo thailandese incrementando nel solo periodo 2010-2018 del 300%, cioè di tre volte, il numero di guide, promoter culturali, organizzatori di brevi percorsi a tema, addetti ai servizi di appoggio (ristorazione, accoglienza, trasporto) con relativa triplicazione degli stanziamenti. A conferma di ciò il settore terziario, compresi i servizi finanziari (Secondo il “Libro bianco dell’ILO 2017”), è in aumento e contribuisce al 56,3% del PIL. Impiega il 44,6% della popolazione attiva.

Le produzioni di pregio

Prima degli anni Sessanta dello scorso secolo l’economia del “Paese gentile” era basata principalmente sulla produzione di riso e altri alimenti e beni prevalentemente destinati ad uso interno. Solo alcune qualità pregiate di legno, specie il tek e lo stagno erano destinati all’esportazione. Cominciava allora anche la produzione di surplus di “riso Thai” apprezzato soprattutto nei mercati asiatici e americani, quello – per intenderci un po’ più piccolo in sezione e allungato” rispetto alle tipologie nostrane. Ma si dovrà aspettare il secoindo Dopoguerra per avere un salto significativo nell’attività produttiva. Furono, infatti, i governi di allora ad intraprendere una seria e organica politica di sviluppo imperniata sul passaggio dall’agricoltura tradizionale, alla produzione di tessuti, beni di consumo e, ultimamente, parti di componenti elettronici e meccatronici.
Rimanendo al comparto agricolo, quello che è cambiato di più, si ricorda che le varietà di riso ad alto rendimento sono state adottate solo dagli anni ’60 dello scorso secolo, i raccolti di riso sono molto meno redditizi che in altre zone dell’Asia orientale, principalmente a causa dell’idrografia cambiata dopo la costruzione di grandi complessi idroelettrici e la tendenza alla coltivazione intensiva ma a bassa percentuale tecnologica. Ormai le principali aree commerciali produttrici di riso della Thailandia sono limitate al bacino del Chao Phraya e all’altopiano Khorat.
La produzione agricola si è comunque diversificata – in questi ultimi decenni – per soddisfare la domanda del mercato interno e mondiale. Tra le colture prodotte per il mercato ci sono la manioca, il mais (mais orientale), il kenaf (una fibra “jutelike”), il longan, il mango, l’ananas, il durian, gli anacardi, innumerevoli varietà di verdure e fiori. Colture in ascesa come gomma, caffè, canna da zucchero e di particolari frutti sono prodotte per lo più in grandi aziende. Una volta il tabacco era un importante raccolto specifico della zona, ma è diminuito considerevolmente a causa della caduta della domanda estera. Ancora su agricoltura e zootecnia: ll nord-est della Thailandia è noto da tempo per il suo bufalo indiano e il suo bestiame. Man mano che l’agricoltura è diventata sempre più meccanizzata, la richiesta di bufalo d’acqua, una volta usata per arare e scavare, è diminuita sensibilmente. Ora è allevato soprattutto per la carne e qualche derivato caseario. A questo proposito è utile ricordare che l’allevamento del bestiame (autoctono e di importazione) ha subito negli ultimi cinque anni una trasformazione radicale, così come per i grandi allevamenti di suini e pollame. Non ci sono più, per legge, le grandi aziende “a concentrazione forzata” degli animali, con spazi angusti di movimento ed evidente sofferenza degli “ospiti”, ma, lentamente, si è passati a zootecnia meno invasiva, con allevamenti piccoli o, se ancora di grandi dimensioni, con settori di movimento e alimentazione libera per gli animali.
Lo scoppio dell’influenza aviaria nel Sud-Est asiatico all’inizio del XXI secolo ha, infine, definitivamente spinto il governo a ordinare la distruzione di un gran numero di polli, portando a un calo generale della produzione di pollame e a pesanti perdite di entrate per i produttori. Immediatamente recuperate, però, con la promozione di nuove aziende con criteri di gestione “green” e incentivi statali ben congegnati e distribuiti.
Per ultimo un accenno a quello che, a inizio Novecento, con il riso e il legname grezzo, era la principale fonte di ricchezza destinata all’esportazione: il sottosuolo.
Lo stagno, estratto principalmente nella penisola a sud, è stato a lungo tra le risorse minerarie più preziose della Thailandia, e il paese è diventato uno dei maggiori produttori al mondo. Le fluttuazioni nel mercato mondiale dello stagno, tuttavia, hanno causato la riduzione della produzione. Oggi, la nazione thailandese è decima nella produzione globale mondiale di stagno. Altre importanti risorse collegate all’estrazione dal sottosuolo sono: il carbone (lignite), lo zinco,il gesso, la fluorite, il tungsteno, il calcare (dal più fine al più grezzo), diverse varietà di marmo. Rubini e zaffiri sono estratti lungo la costa orientale della penisola e al confine con Laos e MyanMar (Birmania) e, col tempo, sono diventati anch’essi una delle principali voci dell’attivo economico thai.
L’espansione industriale ha aumentato la domanda di elettricità e di combustibili fossili. L’elettricità in Thailandia proviene principalmente da centrali idroelettriche nelle pianure centrali, a nord, a nord-est e in Laos, con energia supplementare proveniente da centrali termiche che utilizzano gas naturale e lignite. La Thailandia ha significative riserve di gas naturale offshore e risorse petrolifere onshore meno abbondanti. Negli anni ’90 fu costruito un controverso gasdotto per il trasporto di gas naturale dal Myanmar alla Thailandia, che alla fine fu realizzato solo in parte. All’inizio del XXI secolo, la dipendenza della nazione dal petrolio importato e dal gas naturale per l’energia era diminuita notevolmente ed ora è solo per il 14% dei consumi dipendente dall’estero.

Un po’ di storia…

Dal 1963 fino al 1997 l’economia tailandese è stata una di quelle a maggior tasso di sviluppo. È proprio in questo periodo che hanno cominciato a funzionare diverse industrie soprattutto nell’area di Bangkok e in modo particolare puntate sull’esportazione. Si ebbe quindi un forte inurbamento verso le grandi aree urbane e un progressivo spopolamento delle campagne. Coloro che continuavano a dedicarsi all’agricoltura si rivolgevano sempre più alle macchine per compensare la carenza di lavoratori, determinando un passaggio nell’economia rurale dalla sussistenza all’agricoltura orientata al mercato. La maggior parte degli investimenti in nuove tecnologie nel settore agricolo provenivano dai risparmi dei membri della famiglia che erano andati a lavorare nelle città. Fu esattamente in quel lasso di tempo che si concretizzarono le principali proteste degli abitanti delle pianure e delle colline. I grandi invasi per produrre elettricità imbrigliando i fiumi portarono alterazioni notevoli negli equilibri delicati dei sistemi idrici sia a monte che a valle degli impianti. Anche la deforestazione procedette a ritmi serrati per far posto a nuove monocolture, a strade e aree commerciali e industriali.

Maggiore sensibilità per le questioni ambientali

Queste proteste, insieme alle crescenti preoccupazioni della classe media sull’ambiente, hanno spronato i governi della fine del XX e degli inizi del XXI secolo a intraprendere progetti con maggiore sensibilità per le questioni ambientali di quanto non fosse stato dimostrato dai precedenti governi.
Le industrie orientate all’esportazione e le istituzioni finanziarie, in particolare quelle create negli anni ’80 e ’90, hanno fatto molto affidamento sui capitali esteri, rendendo l’economia thailandese più vulnerabile ai cambiamenti delle condizioni economiche globali. Nel 1997 un improvviso e rapido declino del valore della moneta thailandese, il baht, innescò una crisi finanziaria che si diffuse rapidamente in altri paesi asiatici. La crisi non solo ha esposto l’eccessiva dipendenza della Tailandia dal capitale straniero, ma ha anche focalizzato l’attenzione sulle conseguenze dello sviluppo ineguale e sulle debolezze in diversi settori dell’economia. All’inizio del 21 ° secolo, l’economia aveva cominciato a riprendersi, ma la crisi economica e l’emergere di un ordine politico più democratico hanno fatto sì che le politiche economiche diventassero oggetto di un intenso dibattito pubblico.
Un colpo di stato nel settembre 2006 ha riacceso le incertezze sul futuro dell’economia thailandese. Mentre annunciava, rescindeva e successivamente reimpostava varie restrizioni sugli investimenti stranieri, il governo ad interim promosse la filosofia del re di “economia di sufficienza”, un ideale enfatizzando l’autosufficienza e la moderazione nel consumo, senza rifiutare gli investimenti capitalistici. Su questa falsariga si sta muovendo, sostanzialmente, ancora oggi, anche se le economie di scala premiano – e premieranno – sempre di più economie con impianti e strategie a grande impegno (sia di mezzi, che di uomini e capitali) portando ad emergere, alla lunga la Cina, la vicina India e la stessa Indonesia. Una Nazione, comunque, che fa della flessibilità la sua arma migliore e che sa stare al passo coi tempi.

Scrive per noi

Pier Luigi Cavalchini
Pier Luigi Cavalchini
Pier Luigi Cavalchini è docente di lettere al Liceo, membro del direttivo nazionale FIMA, delegato per il nordovest di Docenti Senza Frontiere, membro di Pro Natura regionale e direttore del giornale online Città Futura, collabora con varie riviste tra cui “.eco”.