(di Giorgio Nebbia)
Tutti i problemi con cui dobbiamo fare i conti oggi – scarsità di materie prime, inquinamento, riciclo dei rifiuti, eccetera – sono già stati incontrati e risolti con invenzioni e innovazioni che hanno fatto andare avanti il mondo. Un illuminante esempio è offerto dalla storia dell’acido solforico, una delle sostanze chimiche prodotte su larga scala nel mondo, quasi 200 milioni di tonnellate all’anno, indispensabile per la produzione di concimi, lubrificanti, materie plastiche, semiconduttori, detersivi, esplosivi, e infinite altre cose. Al punto che il grande chimico Justus von Liebig (1803-1873), nella metà dell’Ottocento, scrisse, con una certa enfasi, che lo sviluppo economico di un paese si poteva dedurre dalla quantità di acido solforico che esso produceva; il che non è certamente vero anche se la produzione di questa sostanza ha avuto un ruolo importantissimo nella storia delle società umane.
In tale produzione hanno messo le mani tutti, una multinazionale del sapere. Dell’acido solforico parla nell’ottavo secolo dopo Cristo lo scienziato arabo Ibn Hayyan (noto in Occidente come Geber, circa 721-815 d.C.), ma è stato il persiano al-Razi (850-935) che, un secolo dopo, ne ha descritto la preparazione per riscaldamento dei minerali solfato di ferro e solfato di rame. Anche questo, come le stesse parole alchimia e chimica, abbiamo ricevuto dal mondo islamico attraverso le traduzioni dall’arabo.
A un monaco e alchimista tedesco Basilio Valentino si attribuisce (circa 1450) la tecnica di produzione dell’acido solforico per trattamento dello zolfo con il salnitro (nitrato di potassio), un processo applicato su scala commerciale, intorno al 1650, dal chimico olandese-tedesco Johann Glauber (1604-1670). Una maggiore disponibilità di acido solforico ha permesso di studiarne meglio le proprietà e si è così potuto vedere che esso modificava o decomponeva molte sostanze organiche e inorganiche, permetteva di purificare i metalli, di preparare concimi e esplosivi. All’origine l’acido solforico veniva prodotto scaldando lo zolfo e il salnitro, il nitrato di potassio, entro recipienti di ceramica contenenti acqua; l’acido solforico, a mano a mano che si formava, veniva assorbito dall’acqua; il prodotto così ottenuto era impuro, diluito, comportava un grande spreco del costoso salnitro e poteva essere prodotto in piccole quantità per volta. Agli inizi del 1700 le “campane” di ceramica furono sostituite con “campane” di vetro, che costavano meno, ma anche così potevano essere prodotti pochi chili di acido per volta.
La prima vera svolta si ebbe con l’inglese John Roebuck (1718-1794), un medico svelto e intraprendente, che osservò, intorno al 1746, che le fragili storte di vetro potevano essere sostituite con delle “camere” dalle pareti rivestite di piombo, un metallo che ben presto, a contatto con l’acido solforico, si ricopriva di uno strato che impediva l’ulteriore attacco da parte dell’acido solforico stesso. Il processo con le “camere di piombo” consisteva ancora nel trattare lo zolfo con il salnitro, nell’assorbire l’acido in acqua; in questa primavera dell’industria chimica gli inventori si facevano imprenditori e Roebuck costruì una fabbrica di acido solforico vicino ad Edinburgo, in Scozia, con una produzione di alcune centinaia di chili per volta. Zolfo e salnitro erano posti in un crogiolo all’interno della camera di piombo, venivano “accesi” e l’acido veniva assorbito dall’acqua sul fondo della camera; ripetendo l’operazione più volte Roebuck riusciva ad ottenere acido solforico con una concentrazione di circa il 40 %, che poteva essere ulteriormente concentrato per distillazione.
Benché Roebuck abbia cercato di tenere segreto il suo processo, nella seconda metà del 1700 si moltiplicarono le fabbriche di acido solforico in Inghilterra e Francia; a mano a mano che l’acido diventava disponibile a prezzo più basso e in quantità maggiori se ne scoprivano sempre nuove applicazioni: per produrre acido nitrico, acido cloridrico, per la sbianca dei tessuti, al posto del latte acido usato in precedenza. Ma il mercato dell’acido solforico esplose con la scoperta, fatta da Nicholas Leblanc (1742-1801), che poteva essere usato per produrre, in seguito a reazione con il sale, il solfato di sodio che a sua volta poteva essere trasformato nel sempre più richiesto carbonato di sodio. Con lo sfortunato Leblanc (morì in miseria e suicida) nasceva l’industria chimica moderna caratterizzata da una crescente richiesta di acidi e di sali e dal moltiplicarsi di redditizie imprese.
L’industria dell’acido solforico doveva però fare i conti con molti inconvenienti; nel processo con le camere di piombo si continuava a perdere l’azoto del costoso salnitro; la fuoriuscita nell’atmosfera dei gas contenenti ossidi di zolfo e azoto provocò i primi fenomeni di inquinamento industriale e le prime contestazioni “ecologiche” degli abitanti e dei contadini che si trovavano vicino alle nuove fabbriche.
A evitare in parte l’inquinamento e a recuperare le costose sostanze che andavano perdute pensò un chimico francese, Joseph-Louis Gay-Lussac (1758-1860), che propose di avviare i gas residui della reazione fra zolfo e salnitro in una “torre” dalla quale potevano essere rimessi in ciclo, proprio come raccomanda oggi l’ecologia per tanti sottoprodotti e rifiuti: recupera e ricicla. La torre di Gay-Lussac fu applicata a partire dal 1837: siamo nel lungo secolo della rivoluzione industriale e delle guerre imperialiste e di indipendenza e il mondo aveva bisogno di acido solforico per gli esplosivi, ma anche per il trattamento dei tessuti e per la fabbricazione dei concimi necessari per la produzione di alimenti richiesti da una popolazione mondiale in aumento.
A questo punto, intorno al 1840, qualcuno scoprì che nell’altopiano cileno, nel sud America, esistevano grandissime estensione di nitrato di sodio che poteva essere impiegato, per la produzione dell’acido solforico, al posto del salnitro.
La scoperta provocò la nascita di una industria mineraria cilena, in condizioni di monopolio; il governo cileno applicò delle imposte sulle esportazioni (una anticipazione di quanto sarebbe successo nel secolo successivo per il petrolio). Un’ondata di ricchezza invase il Cile che dovette fare i conti con i vicini paesi; per la conquista dell’altopiano di Atacama, ove si trovavano i giacimenti di nitrati, e dei porti di Tacna e Arica, da cui i nitrati venivano esportati in Europa e nel Nord America, fu combattuta la grande “guerra del Pacifico” (1879-1884) fra Cile, Bolivia e Peru.
La risposta al forte consumo di nitrati fu offerta dal chimico inglese John Glover (1817-1902) che aggiunse, alla torre di Gay Lussac, una seconda “torre” nella quale era possibile recuperare la maggior parte degli ossidi di azoto, rimettendoli in ciclo; con la torre di Glover, inoltre, era possibile ottenere direttamente acido solforico concentrato del tipo necessario per la fabbricazione dei nuovi potenti esplosivi come la nitroglicerina e la nitrocellulosa. Una innovazione tanto più importante in quanto gli apparentemente sterminati giacimenti di nitrato cileno andarono esaurendosi e le potenze industriali europee volevano liberarsi dalla dipendenza da un paese sottosviluppato, lontano e avido.
Nello stesso tempo una simile avidità di guadagno aveva invaso la Sicilia, allora sotto i Borboni, che, nella metà dell’Ottocento, era l’unico produttore e esportatore di zolfo, l’altra materia prima essenziale per l’acido solforico; le miniere erano lavorate con tecniche primitive, alte perdite di zolfo, indegno sfruttamento dei lavoratori, molti dei quali fanciulli (i “carusi”), alti inquinamenti ambientali. Soprattutto i prezzi dello zolfo oscillavano in seguito ad un alternarsi di eccessi di produzione e di speculazioni finanziarie, particolarmente turbolente dopo l’annessione, nel 1860, della Sicilia al regno d’Italia.
Non fa meraviglia che i clienti, soprattutto industriali inglesi, francesi e tedeschi, cercassero altre fonti di zolfo. La prima grande crisi dello zolfo italiano di ebbe con la scoperta che l’acido solforico poteva essere ottenuto dall’anidride solforosa che si libera durante il trattamento a caldo dei solfuri metallici: delle piriti (solfuro di ferro) spagnole, dei solfuri di zinco (blenda) e di piombo (galena); il colpo finale venne dalla scoperta (negli ultimi anni dell’Ottocento) che in alcune zone (all’inizio nel sottosuolo degli stati americani che si affacciano sul Golfo del Messico) esistevano dei grandi giacimenti sotterranei di zolfo che poteva essere portato in superficie, allo stato molto puro e a basso costo, con un processo inventato dall’americano Herman Frasch (1851-1914).
L’arrivo in Europa, a partire dal 1900 dello zolfo Frasch dagli Stati Uniti segnò la svolta definitiva nell’industria dell’acido solforico; gli ossidi di zolfo molto puri, ottenuti bruciando lo zolfo americano potevano essere ossidati nella forma adatta per la trasformazione in acido solforico puro e concentrato, con un catalizzatore, dapprima di platino, poi di ferro; niente più nitrati e torri di Gay Lussac o di Glover, niente più dipendenza dalla Sicilia o dal Cile.
Comunque per oltre un secolo l’industria chimica ha potuto progredire solo perché inventori, scienziati e imprenditori sono stati con gli occhi aperti per ridurre, insieme, sprechi e inquinamenti… e, nello stesso tempo, per guadagnare di più. Questa breve storia dovrebbe suggerire che anche oggi, molti dei problemi ambientali e di scarsità di materie prime possono essere risolti, meglio che con le guerre o le lamentele, con la conoscenza, il coraggio e la fantasia.
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