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“Io viaggio a casa”. Mobilità negata e un nuovo turismo sostenibile

| Irene Pinto

Tempo di lettura: 6 minuti

“Io viaggio a casa”. Mobilità negata e un nuovo turismo sostenibile
Vedi anche il dossier e il dibattito su questo sito

Da “io sto a casa” a “io viaggio a casa”. Possiamo, in questo scenario, fare ancora turismo? Costretti a guardare il mondo dalla finestra, possiamo mettere ordine tra i numerosi bagagli che ci siamo portati a casa dai nostri viaggi. E fare dentro di noi questo viaggio: nessun decreto ce lo impedirà. Stare a casa non deve essere una sconfitta. 

Sono Irene Pinto e ho 24 anni. Veneziana di origine, vivo da sei anni a Bologna, dove mi sono laureata in Lingue e diplomata in pianoforte al Conservatorio. Sono attualmente laureanda in una magistrale di management della cultura in inglese.
Nonostante il mio forte legame con Venezia e con Bologna, ho sempre tenuto uno sguardo aperto sul mondo, che a poco a poco ho cominciato ad esplorare, come turista, ma anche come volontaria e lavoratrice. Sono da sempre appassionata di viaggi e di turismo responsabile, un turismo sensibile ai temi della sostenibilità ambientale e dell’interculturalità. In questa direzione va la mia collaborazione, attiva ormai da un paio d’anni, con la redazione del Festival IT.A.CA’, festival sul turismo responsabile, per il quale, dopo aver svolto un tirocinio curricolare nel 2018, scrivo articoli e interviste.

Irene Pinto

Fino a ieri rumori di barche e gondolieri che intonavano “Volare” ai turisti, gruppi di amici fuori dai “bacari” con lo spritz in mano, bambini che si rincorrevano nei campi dopo la scuola. Queste sono solo alcune delle immagini che ho in testa. Immagini di una Venezia che ora sembra un miraggio.

Venezia, come non l’ho mai vista prima

Oggi mi affaccio alla finestra e vedo la mia città, Venezia, come non l’ho mai vista prima. Una Venezia che si ritrova pulita all’improvviso; una Venezia che si compiace delle sue nuove sembianze, specchiandosi nelle sue stesse acque, finalmente limpide. Una Venezia che non deve più combattere, almeno per ora, con le Grandi Navi, nemiche numero uno dei fondali, dell’ecosistema e della sicurezza di una città così fragile; una Venezia senza turisti, che costantemente mettevano a dura prova la sua tenuta. I suoni sono quelli di un tempo, le campane, gli starnazzi dei gabbiani, un lieve vociferare dei residenti in coda al supermercato. Una città che vive di turismo, ma che un sostrato di autenticità scopre di averlo; una Venezia “local” che nessuno di noi conosceva davvero.
Città spettrali, piazze vuote, strade silenziose, parchi chiusi. Queste sono le immagini che ci riportano i media, e solo attraverso i media possiamo prenderne visione. Un mondo sospeso, una realtà inedita con cui dover fare i conti.

Pensavamo di poterlo controllare questo mondo

Lockdown a Venezia

Pensavamo di poterlo controllare questo mondo, i suoi meccanismi ed equilibri interni. Non avevamo mai fatto i conti con la sua precarietà, con la sua vulnerabilità e fragilità. Italia “zona protetta”, da cui non si può più né entrare né uscire, né ci si può muovere al suo interno. Ci troviamo di fronte a un’emergenza umanitaria alla quale non eravamo preparati. L’unico mezzo che abbiamo è tentare di limitare i contagi quanto più possibile. E l’unico modo per limitare i contagi è stare a casa. L’isolamento. Ci pesa stare a casa, ci sentiamo in gabbia; il tempo scorre lento.
Ci è costato caro il nostro diritto alla mobilità. Basta pensare all’Europa prima della caduta del muro di Berlino. Solo dopo il 1989, le frontiere precedentemente chiuse dalla “cortina di ferro” hanno gradualmente reso possibile una sempre maggiore mobilità dei popoli; una sempre maggiore libertà. E ci eravamo abituati a questa libertà; la consideravamo illimitata, noi studenti internazionali, uomini d’affari, lavoratori, turisti; noi che eravamo nati dalla parte giusta del mondo. Fino a ieri pensavamo che questa libertà fosse negata “soltanto” a migranti, richiedenti asilo, vittime di diaspora, rifugiati, costretti a migrare per fuggire dalla povertà, da guerre e persecuzioni; negata dunque a chi è nato dalla parte sbagliata del mondo. E improvvisamente ci ritroviamo noi nella parte sbagliata.

Fino a ieri pensavamo che questa libertà fosse negata “soltanto” a migranti, richiedenti asilo, vittime di diaspora, rifugiati, costretti a migrare per fuggire dalla povertà, da guerre e persecuzioni; negata dunque a chi è nato dalla parte sbagliata del mondo. E improvvisamente ci ritroviamo noi nella parte sbagliata.

Da un momento all’altro il blackout, tutto si ferma. Cala la notte sul nostro paese. L’Italia, polo attrattivo turistico per eccellenza, si ritrova improvvisamente sola, sola con i suoi abitanti; disarmata di fronte a un nemico sconosciuto ma insidioso.
Come in tutte le guerre ci rimettiamo tutti, nessuno escluso; la crisi epidemica coinvolge e condiziona l’intera popolazione, e la stragrande maggioranza dei settori economici. Ma è senza dubbio il turismo uno dei settori più danneggiati. Agenzie di viaggio e tour operator costretti ad annullare viaggi; strutture ricettive vuote, tenute a chiudere; musei chiusi, eventi annullati. Il servizio “Viaggiare sicuri” dell’Unità di Crisi della Farnesina parla chiaro: “Non sono consentiti viaggi all’estero o in Italia per turismo”.

Possiamo, in questo scenario, fare ancora turismo?

Possiamo, in questo scenario, fare ancora turismo? Possiamo viaggiare, ma senza venir meno al nostro dovere civile di stare a casa? Sembra un’assurdità, ma la verità è che possiamo.
Dall’inizio dell’emergenza, numerosi musei nazionali e internazionali hanno messo a disposizione tour virtuali e collezioni online, visitabili da casa; svariati i documentari di viaggio che vengono per l’occasione proposti, disponibili su Netflix e altre piattaforme. Ma c’è dell’altro, un’idea che viene da lontano, dall’antica mitologia greca: Itaca era nell’Odissea la meta finale di Ulisse, un viaggiatore che, partendo da casa, dopo dieci lunghi anni, ritorna a casa; Ulisse è cambiato durante il viaggio, è un uomo più maturo, più saggio. Una leggenda intramontabile come il viaggio di Ulisse trascende ogni circostanza storica. Il suo bagaglio è quello di ogni viaggiatore che, di ritorno a casa, porta con sé un bagaglio culturale e di esperienze più ricco rispetto a quello con cui era partito. Ma abbiamo davvero sempre tempo e modo di trovare un posto, nelle nostre menti e nelle nostre dimore, per tutto ciò che ci portiamo dietro da ogni viaggio?

Ricomporre i puzzle delle nostre vacanze

Nella “trincea” a cui siamo costretti ai tempi del coronavirus, possiamo cominciare a mettere ordine tra i numerosi bagagli che ci siamo portati a casa dai nostri viaggi; ricomporre i puzzle delle nostre vacanze più entusiasmanti. Avete presente quei classici “propositi per l’anno nuovo”, ma che per qualche ragione rimangono solo su carta? Ebbene, è questo il momento per fare un’inversione di marcia: facciamo pulizia nei nostri desktop e riordiniamo le foto dei viaggi; creiamo cartelle ad hoc per le foto che vogliamo stampare; realizziamo collage con le foto già stampate e decoriamo le nostre stanze. Diamoci alla scrittura; scriviamo diari di viaggio retrospettivi, in cui ricordiamo luoghi in cui vorremmo tornare e che potremmo consigliare ai nostri cari; i più creativi e tecnologici aprano blog per dispensare consigli ai viaggiatori, o in cui riflettere apertamente sui viaggi già effettuati; creiamo video-racconti dei nostri viaggi, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, raccogliamo le “cianfrusaglie”, ricomponiamo i nostri bagagli; troppo spesso li abbiamo disfatti frettolosamente. Facciamo tutto ciò che in condizioni ordinarie non ci concediamo: rielaboriamo, ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto, e condividiamolo con chi più ci sta a cuore.

Il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile

Kapuscinki ci insegna che “un viaggio non comincia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile”. È un virus benigno il viaggio, un virus che non si ferma di fronte all’avanzata di un virus maligno, che sembra annientarci. È una lotta tra titani, ma è il viaggio l’unico virus davvero invincibile. Ci rimane dentro; nessun vaccino che tenga, nessuna cura sperimentale. Stiamo vivendo un’epoca nuova, a cui non siamo abituati. Un’epoca che per alcuni versi ricorda quella che vivevano la maggior parte delle nostre nonne, le casalinghe di cinquant’anni fa. Non c’è spazio, oggi come allora, per le corse contro il tempo, per la frenesia, per un’agenda da capogiro. Se per un po’ dovremo evitare ogni spostamento nello spazio, non dimentichiamoci per questo di tutti i chilometri già percorsi, e dei frutti che abbiamo raccolto lungo il cammino; è questo il momento di prendercene cura. Stare a casa non deve essere una sconfitta, una gabbia a sbarre strette. Prendiamola come una tacita donazione all’ambiente. Un “respiratore” naturale e a costo zero, di cui il nostro ecosistema, quello del pianeta ma forse anche quello interiore di ognuno di noi, avevano un disperato bisogno. Prendiamola come una pausa di riflessione, la stessa che talvolta ci spinge ad evadere, a viaggiare. Facciamolo ora dentro di noi questo viaggio; nessun decreto ce lo impedirà.

Scrive per noi

Irene Pinto
Sono Irene Pinto e ho 24 anni. Veneziana di origine, vivo da sei anni a Bologna, dove mi sono laureata in Lingue e diplomata in pianoforte al Conservatorio. Sono attualmente laureanda in una magistrale di management della cultura in inglese.
Nonostante il mio forte legame con Venezia e con Bologna, ho sempre tenuto uno sguardo aperto sul mondo, che a poco a poco ho cominciato ad esplorare, come turista, ma anche come volontaria e lavoratrice. Sono da sempre appassionata di viaggi e di turismo responsabile, un turismo sensibile ai temi della sostenibilità ambientale e dell’interculturalità. In questa direzione va la mia collaborazione, attiva ormai da un paio d’anni, con la redazione del Festival IT.A.CA’, festival sul turismo responsabile, per il quale, dopo aver svolto un tirocinio curricolare nel 2018, scrivo articoli e interviste.