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Addio a Giorgio Nebbia profeta dell’ambiente

| UGO LEONE

Tempo di lettura: 3 minuti

Addio a Giorgio Nebbia profeta dell’ambiente

“Dalla cultura ecologica – scriveva Giorgio Nebbia – trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambiente naturale abitato dall’uomo”. Il messaggio del grande ambientalista scomparso ai suoi eredi: ritrovare il senso vero dell’ecologia, contro il dilagare del “greenwashing”.

di Ugo Leone

Dopo Gilberto Marselli è toccato a Giorgio Nebbia lasciare un vuoto nella cultura che sarebbe riduttivo definire genericamente ambientalista. Lo dico perché me lo consente l’antica amicizia che ci legava da oltre cinquant’anni.
Ci conoscemmo a Napoli alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso negli studi RAI per partecipare ad un programma televisivo sull’acqua condotto da Aldo Falivena. Per me la cosa sorprendente fu, tra l’altro, che Giorgio se ne stava come me tra il pubblico, non fu invitato ad intervenire e nulla disse, pur avendo molto da dire sull’acqua (e non solo).
Poi, da quando nel 1971 andai ad insegnare Geografia all’Università di Lecce, ebbi più volte l’occasione di approfittare di quella amicizia: prima con qualche conferenza nell’Università di Lecce, poi per la partecipazione, nel 1973, al primo dei tre convegni sulla “salvaguardia dell’ambiente nel Mezzogiorno” che negli anni Settanta organizzai presso quella Università. Con Nebbia c’erano, Lucio Gambi, Pietro Dohrn, Marcello Vittorini, Francesco Compagna. Insomma, un bel parterre…

Il PIL indicatore negativo della qualità ambientale: il paradosso di Nauru

La relazione di Giorgio era su “Compatibilità fra ambiente e sviluppo con speciale riguardo ai problemi del Mezzogiorno”. Cominciò spiegando perché il PIL fosse da intendere come “indicatore positivo di un certo tipo di sviluppo economico, ma un indicatore negativo della qualità ambientale”. E per farlo raccontò, tra l’altro, il paradosso dell’isola di Nauru, in Oceania, dove una piccola comunità di seimila abitanti godeva di un reddito pro-capite superiore a quello degli statunitensi. Ciò perché l’isola di Nauru era un enorme giacimento di minerali fosfatici che i Nauriani esportavano ricavando lauti guadagni. Così facendo, però, i Nauriani vendevano pezzo pezzo il loro territorio, cioè il loro capitale, col risultato, una volta venduta tutta l’isola, di doversi trasferire altrove dal momento che il loro reddito era stato ottenuto “a spese della loro stessa casa, del loro stesso territorio”.

La mancanza di scelte alternative. Che fine ha fatto l’ecologia?

Da questo paradosso Nebbia ricavava che se il PIL è un indice di progresso tale che il suo aumento è accompagnato da una degradazione del territorio, da un inquinamento dell’ambiente, da un impoverimento e peggioramento delle risorse che dobbiamo gestire per conto anche delle generazioni future, “è un indice sbagliato”.
Su questo siamo sempre in più a concordare, ma la discussione è rimasta esercitazione verbale, non anche oggetto di scelte alternative del modo di crescere senza compromettere la qualità e l’integrità dell’ambiente. Tanto da indurre Nebbia a chiedersi cinquant’anni dopo (La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 19 gennaio 2016) “Che fine ha fatto l’ecologia?”. Fu solo con la “generazione del Sessantotto” che fu individuata nell’ecologia la bandiera di una contestazione della società dei consumi e del relativo inquinamento, della congestione delle megalopoli, dei nuovi veleni. L’apice dell’attenzione per l’ecologia si ebbe nel 1970 e la nuova parola significò aspirazione a “cose buone”, pulite.
I venditori – osservò Nebbia – non persero tempo ad appiccicare il nome “ecologia”, ai detersivi, alla benzina, ai tessuti. Diecine di cattedre universitarie cambiarono nome e presero il nome di “ecologia”. L’ecologia entrò in Parlamento e ci fu perfino un breve “Ministero dell’ecologia”, ben presto soppresso; solo dopo vari anni sarebbe stato istituito un ministero ma questa volta “dell’ambiente”.

Il messaggio di Giorgio Nebbia

Ben presto il potere economico riconobbe che questa gran passione per l’ecologia li costringeva a cambiare i cicli produttivi, a depurare i rifiuti, e a guadagnare di meno e l’attenzione per l’ecologia declinò presto e comparvero nuovi aggettivi più accattivanti come “verde”, “sostenibile” e, più recentemente “biologico”, da associare al nome di prodotti commerciali da indicare come “buoni”.
“Io spero – concludeva Nebbia in una sorta di messaggio ai suoi eredi – che gli ecologi, quelli veri, ritrovino la passione di far conoscere ad alta voce il contenuto e gli avvertimenti della loro disciplina la cui conoscenza, soltanto, offre le ricette per rallentare i guasti ambientali, a cominciare dagli inarrestabili mutamenti climatici. Dalla cultura ecologica trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambiente naturale abitato dall’uomo.”

(L’articolo è stato pubblicato anche su “la Repubblica-Napoli” 5 luglio 2019)

Scrive per noi

UGO LEONE
UGO LEONE
Già professore ordinario di politica dell'ambiente presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Napoli "Federico II". I suoi interessi scientifici e i contenuti delle sue pubblicazioni sono incentrati prevalentemente sui problemi dell'ambiente e del Mezzogiorno. E' autore di numerosi volumi e editorialista dell'edizione napoletana del quotidiano "la Repubblica". Per molti anni è stato presidente del Parco nazionale de Vesuvio.