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Limiti, incertezze, errori del PIL. La vera ricchezza richiede altri indicatori

Tempo di lettura: 4 minuti

La contabilità ambientale è il più utile strumento di politica economica per un paese moderno. Ci vuole un “PIL verde” che aumenta soltanto se diminuisce la contaminazione dell’aria, delle acque, del suolo, se aumenta la salute, cioè se un paese è più attento alla difesa della natura e dell’ambiente. O il “Prodotto Interno Materiale Lordo” che in Italia corrisponde a circa 800 milioni di tonnellate l’anno, duecento volte a testa il peso di ogni italiano

Quanto è ricco un paese? Per rispondere occorrerebbe conoscere l’enorme massa di denaro che, ogni anno, passa rapidamente e continuamente da una mano all’altra. Quando comprate un giornale avete dato un euro e mezzo al giornalaio che ne dà una parte all’editore, che ne dà una parte ai giornalisti e al fornitore di carta, che ne dà una parte a chi vende la cellulosa per la carta: un vortice di molti euro per una sola copia di un quotidiano. Gli economisti si sono sempre preoccupati di elaborare un misuratore della ricchezza che evitasse le doppie e triple contabilizzazioni e, negli anni Trenta, hanno “inventato” quell’indice PIL (il Prodotto Interno Lordo) che ciascun paese elabora ogni anno e che misura la quantità di denaro che arriva alle famiglie come salari e che viene usata per i consumi finali e per i servizi (ospedali, trasporti, eccetera).

In Italia il PIL è di circa 1.600 miliardi di euro all’anno; i Parlamenti ogni fine d’anno predispongono una “legge finanziaria” (tecnicamente in Italia il Documento di Economia e finanza) che analizza le variazioni dei flussi di denaro fra le varie attività economiche e nel corso dell’anno e sulla base di queste calcola il PIL e prevede la sua variazione negli anni futuri. Ai cittadini, in genere, vengono indicate le variazioni percentuali; così ogni anno i sente dire che il PIL nell’anno è aumentato dell’uno virgola qualcosa o del due percento, eccetera.

Il lato oscuro del PIL

Nonostante la grande importanza che i governanti dimostrano di attribuire alle variazioni del PIL, chi lo studia e lo elabora ne conosce bene i limiti, le incertezze, gli errori. Il principale limite consiste nel non dare nessun peso agli effetti negativi che alcune azioni “economiche” hanno: si paga la benzina per far andare l’automobile e ciò fa aumentare il PIL; ma, nel bruciare, la benzina inquina l’aria e l’inquinamento può far ammalare una persona, il che sembra una cosa negativa. Invece, quando uno si ammala, la ricchezza del paese e il PIL aumentano perché le farmacie vendono le medicine, gli ospedali guadagnano col ricovero dei malati, e così via.

Ci deve essere qualcosa che non funziona e da alcuni anni anche le organizzazioni internazionali come le Nazioni unite o l’Unione europea cercano di indurre i vari paesi ad elaborare delle contabilità nazionali in cui figurino, al fianco dei vantaggi dell’operare economico, anche i costi degli effetti negativi come l’inquinamento, le malattie, gli incidenti sul lavoro, l’erosione del suolo, la scarsità di acqua, e così via.

Il PIL “verde”

Una specie di “PIL verde” che dovrebbe aumentare soltanto se diminuisce la contaminazione dell’aria, delle acque, del suolo, se aumenta la salute, cioè se un paese è più attento alla difesa della natura e dell’ambiente.

Sono state fatte varie proposte di elaborazione di una contabilità “corretta” per tenere conto delle diseconomie provocate dai guasti ambientali. La via apparentemente più facile per calcolare un “PIL verde” consiste nell’affiancare agli scambi in denaro delle attività economiche una misura della quantità di rifiuti che inevitabilmente si formano.

Per esempio: quanti chili di ossido di carbonio o di benzene sono associati alla spesa di dieci euro di benzina usata in una automobile? Quanti chili di plastica e di residui di cibo vengono buttati via da un ristorante per ogni cento euro di pasti erogati ? Quanti chili di polveri vengono immessi nell’aria da uno stabilimento siderurgico per ogni mille euro di acciaio prodotto?

Abbiamo scarse informazioni. E c’è anche un “prodotto interno losco”

Gli specialisti parlano di affiancare dei “conti satellite” a quelli economici, per capire di quanto “diminuisce” la ricchezza reale con l’aumentare dei danni ambientali. Ma poi gli stessi studiosi ammettono che non solo sono scarse le informazioni, diciamo, “ecologiche” (l’entità delle emissioni o degli inquinamenti), ma ci sono addirittura delle attività economiche che sfuggono ai rilevamenti statistici. Alcune informazioni sono coperte dal segreto industriale, altre dal segreto militare (quelle relative al commercio delle armi, che pure coinvolge, ogni anno, miliardi di euro e migliaia di tonnellate di materiali); per altre informazioni mancano accurati rilevamenti statistici. Una parte delle attività economiche, infine, resta sconosciuta per colpa delle evasioni fiscali, o dello smaltimento illegale di rifiuti da parte di organizzazioni criminali.

La contabilità ambientale riveste grande importanza anche perché aiuterebbe, con i suoi conti dei flussi dei materiali in gioco nell’economia, a sollevare il velo su alcune attività oggi sconosciute. Alcuni studiosi addirittura propongono di fare un passo avanti ancora: di redigere una contabilità nazionale in unità fisiche, in chili di materiale spostato da un settore economico all’altro, anziché in unità monetarie.

Il prodotto “materiale”

In via di principio è possibile, e alcuni lo hanno già fatto, misurare un “Prodotto Interno Materiale Lordo”, simile, anzi parallelo al PIL monetario, ma in unità fisiche. I dati finora disponibili indicano che i circa 1600 miliardi di euro del PIL annuo italiano comportano la movimentazione di circa 5000 milioni di tonnellate di materiali ogni anno e che (fatte certe correzioni contabili) il “Prodotto Interno Materiale Lordo” dell’Italia corrisponde a circa 800 milioni di tonnellate all’anno, circa 500 tonnellate per ogni milione di euro di PIL; è come se ogni italiano, per vivere, muoversi, lavorare, curarsi, fare sport, dovesse tenere in movimento materiali (cemento e petrolio, sabbia e rifiuti, eccetera) in quantità duecento volte superiore al proprio peso; nove volte il proprio peso ogni anno solo di rifiuti domestici. Non si tratta di futili esercizi ecologisti; una buona contabilità ambientale è indispensabile per poter stabilire quanto un paese deve spendere per diminuire l’inquinamento, quanto costa agli italiani la mancanza di depuratori, di filtri, di opere di difesa del suolo. Essa offre, insomma, il più utile strumento di politica economica per un paese europeo moderno e anche occasioni per nuove ricerche e nuova occupazione.