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Scuola, dalla maschera di Carnevale alla mascherina anticovid

| Angela De Venuto

Tempo di lettura: 3 minuti

Scuola, dalla maschera di Carnevale alla mascherina anticovid
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Una insegnante racconta la sua esperienza di didattica distanza. Ostacoli tecnici e la difficoltà di trovare comunque un rapporto con gli allievi e una didattica che non fosse solo trasmissione di contenuti. Perché tutorial e video non potranno mai sostituire gli insegnanti e la scuola.

La mia esperienza con la DAD. Il passato

Sono una insegnante in pensione. Specifico: non ex-insegnante, perché non si smette mai di essere insegnanti.

L’anno scorso durante la clausura dovuta alla pandemia ho dovuto affrontare l’insegnamento a distanza con una prima della primaria; una bella classe, con bambini e genitori attivi, collaborativi – una eccezione, ma ci sta. In presenza avevamo lavorato in modo partecipativo; nel corso degli anni avevo imparato molto da un gruppo di cooperative-learning e cercato di applicare nel concreto le mie conoscenze. In classe, per fare un esempio, la posizione dei banchi cambiava spesso, a seconda dell’attività da svolgere; quando facevamo L2 (Lingua straniera) i bambini si dovevano poter muovere liberamente per eseguire-impartire comandi e richieste in inglese, quindi usavamo il canto e la gestualità per un apprendimento duraturo, perché apprezzata la modalità, senza portare gli alunni alla noia e soprattutto alla disaffezione verso lo studio e la cultura in generale.

Per quanto riguarda la lingua madre avevano a febbraio imparato a leggere e scrivere in stampato maiuscolo e, da Natale, avevamo una biblioteca di classe e si scambiavano i libri una volta alla settimana. Io leggevo loro un libro più lungo e complesso quasi tutti i giorni – un regalo, forse lo definirebbe così Pennac. Ci eravamo salutati alla vigilia delle vacanze di Carnevale con la mia promessa, accolta con entusiasmo, che al rientro ci sarebbero stati nuovi libri in stampato minuscolo. I bambini sono usciti da scuola con le maschere di Carnevale preparate da loro e il sorriso sulle labbra.

Un’esperienza devastante

Al di là della retorica non mi sembra difficile per nessuno capire che tutto ciò con la DAD non si può fare. Tralascio il primo periodo, durante il quale ci era stato consigliato di essere vicini alle famiglie e null’altro; arrivati a metà marzo la DAD diventa obbligatoria, d’altro canto non si potevano abbandonare gli alunni senza fare nulla.

Purtroppo oltre ai limiti tecnici, (che ri-elenco per precisione: difficoltà nella connessione dovuta anche al sovraccarico della rete, mancanza di strumenti anche solo perché altri fratelli/sorelle o i genitori lavoravano da casa, necessità di essere accompagnati e seguiti, vista l’età, da genitori; che magari invece lavoravano fuori casa, guasti degli apparecchi elettronici in particolare delle batterie) bisognava reinventarsi un modo per arrivare a questi piccoli senza farli stare ore davanti ad uno schermo e senza semplicemente dargli come compiti esercizi di copiatura.

Leggo post eccellenti sui vari social di insegnanti eccezionali che sono riusciti a coniugare tutte le necessità… Per me è stata un’esperienza devastante e non solo per l’età – è evidente che non sono nata digitale – ma fondamentalmente per la mia idea di scuola. Una grossa fatica è stata nel confronto con le colleghe: con alcune la sintonia era grande, con altre mi sono scontrata in modo brusco, proprio per l’idea che l’insegnamento non è trasmissione pura e semplice di contenuti. Se così fosse non ci sarebbe bisogno né di scuola né di insegnanti; basterebbero i milioni di tutorial e video in circolazione.

Aumentato il divario

Abbiamo dovuto mediare cercando contenuti di qualità. Nonostante il nostro impegno chi non è dell’ambiente si rende conto di quale enorme differenza ci sia tra il vedersi tutti i giorni, per molto tempo e ripetere, ripetersi e scambiarsi in continuazione informazioni, pareri ed esperienze e invece vedere l’insegnante una o due volte la settimana e poi lasciare ai genitori- e alle loro iniziative e abilità, tutto il resto del lavoro? I più attenti e responsabili sono andati in ansia e alla prima occasione chiedevano a noi come fare per “non perdere l’anno”. Altri – una nel mio caso -, hanno gettato la spugna, dicendo che non erano in grado di seguire i figli e noi non potevamo capire. Gli stessi che non condividevano prima il lavoro eseguito in classe e non rispettavano alcuna regola di convivenza civile, considerando la scuola un mero parcheggio.

Navigando in Internet, ho visto allucinanti enormi masse di compiti da consegnare poi con file, non foto, che non potevano essere correte.

Insomma, è già stato detto e scritto da persone più competenti di me che questo sistema di didattica a distanza ha aumentato il divario esistente tra classi sociali, mentre la Costituzione recita che la Repubblica ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” (art 3 principi fondamentali).

La mia esperienza con la DAD. Il presente

Al momento ci sono limitazioni e difficoltà tali, che nemmeno in presenza l’attività scolastica è di facile gestione. Pensando ad una soluzione possibile, sarei dell’idea di diminuire l’orario scolastico degli studenti e aumentare la possibilità di confronto-scontro e arricchimento culturale dei docenti.

Un limite del momento e delle istituzioni italiane è che non si possano sfruttare quelli come me disposti a dare il loro contributo, non solo critico, ma effettivo, ad esempio nella gestione delle biblioteche scolastiche.

Scrive per noi

Angela De Venuto