La Siberia è una regione dalla natura splendida e multiforme anche perché nei suoi 13.100.000 km² gli abitanti sono solo 35 milioni, vale a dire 3 per chilometro quadrato. Un piccolo numero che consente alla natura di non essere calpestata dalle grandi masse. E, infatti, sul suo territorio si incontrano tundra, foreste di conifere e le catene montuose con Urali, Altai e Verkhoyansk. Nella parte più meridionale vi è il Baikal che è il lago più profondo della Terra, circondato da una rete di sentieri chiamati The Great Baikal Trail. Vi passa anche la famosa ferrovia Transiberiana che collega Mosca con Vladivostok e Pechino.
Ma quello che non hanno fatto (o non hanno potuto fare) i Siberiani lo hanno fatto i più lontani conterranei del pianeta responsabili delle micidiali azioni causa dei mutamenti climatici. E l’incremento delle temperature che ne sta derivando, massimamente concentrato nelle aree polari e nelle loro vicinanze, ha trovato qui grande quantità di materiale da distruggere con incendi che favoriti dalle alte temperature e dallo spirare dei venti, si sono agevolmente diffusi nei boschi: oltre tre milioni di ettari negli ultimi giorni di luglio. Un disastro che, secondo l’opinione generale, contribuirà ad accelerare lo scioglimento dei ghiacciai dell’Artico.
Aggravata la reazione a catena
Perché si innesca in tal modo una catena che diventa sempre più difficile spezzare: il progressivo mutamento del clima incrementa le temperature; gli incendi immettono in atmosfera maggiori quantità di anidride carbonica e ciò ulteriormente accelera l’avanzata del mutamento e dei suoi effetti.
Uno di questi, come è noto, è l’accelerato scioglimento dei ghiacciai polari. L’Artico è quello che maggiormente ne sta risentendo anche perché, come spiega l’Organizzazione meteorologica mondiale in una nota a proposito degli incendi siberiani, «c’è l’ulteriore problema della fuliggine che cade sul ghiaccio o sulla neve favorendone lo scioglimento perché, scurendo la superficie, ne riduce la riflettività e intrappola più calore». Secondo la stessa organizzazione il fenomeno ha interessato numerose regioni dell’Artico quali l’Alaska e la Groenlandia. Nel solo mese di giugno gli incendi nell’Artico hanno prodotto una quantità di anidride carbonica equivalente al totale emesso dalla Svezia in un anno.
Come se non bastasse, la esigua densità di popolazione di cui dicevo e la loro concentrazione in un limitato numero di città – dalla più popolosa Novosibirsk alla più piccola Tomsk – non consentono interventi di spegnimento degli incendi dal momento che in Russia una legge del 2015 consente ai Vigili del Fuoco di intervenire solo se le fiamme minacciano centri abitati.