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Università, scuola, agricoltura per la transizione urbana

| Giovanni Lamacchia

Tempo di lettura: 8 minuti

Università, scuola, agricoltura per la transizione urbana

A Bari sta nascendo una struttura interdipartimentale per promuovere l’agricoltura urbana, il biologico, i prodotti a chilometri zero e programmi educativi nelle scuole. Medicina, Farmacia, Agraria, Sociologia, Economia e Finanza si alleano: per la prima volta l’Università di Bari si presenta in maniera univoca rispetto al sistema regionale pugliese sui temi del verde urbano e dell’agricoltura sostenibile. Intervista al professor Dante Mazzitelli (Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università di Bari).

di Giovanni Lamacchia

(Immagine di apertura: foto di Giovanni  Lamacchia)

Le macroaree della transizione ecologica

Nei più importanti stati d’Europa e del mondo oggi l’obiettivo è quello di realizzare un rilancio dell’economia, all’interno di un quadro ben definito che metta al centro la tutela ed il rispetto dell’ambiente.

Il 26 febbraio 2021 è nato ufficialmente in Italia il Ministero della Transizione Ecologica. Si prevede che il MITE avrà a disposizione circa il 37% dei fondi europei del Next Generation Eu destinati all’Italia. Le macroaree della transizione ecologica, per le quali sono stati stanziati 68,9 miliardi di euro, sono quattro:

  • agricoltura sostenibile ed economia circolare;

  • energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile;

  • efficienza energetica e riqualificazione degli edifici;

  • tutela del territorio e della risorsa idrica.

Puntiamo i riflettori sulle attività possibili nei territori urbani, dove spesso l’obiettivo della tutela dell’ambiente si fa più difficile e per questo non meno ambizioso che in altre aree del pianeta a minore densità abitativa. Servono gesti di speranza per scongiurare i grandi rischi del surriscaldamento globale, dobbiamo invertire in modo radicale il rapporto tra gli spazi costruiti e la natura. Abbiamo bisogno di alberi e piante per assorbire l’anidride carbonica, per pulire l’aria dalle polveri sottili, per ridurre il calore, per migliorare la qualità della nostra vita.

Foto di Giovanni Lamacchia.

Nelle realtà urbane giocano un ruolo le principali istituzioni locali, naturalmente i Comuni, le aree metropolitane e le Regioni, ma anche gli atenei e le istituzioni private. L’obiettivo di realizzare aree verdi urbane è grandioso, ma sono necessarie le migliori energie positive. Per cambiare la qualità dell’ambiente nelle grandi aree cittadine occorre ideare progetti in grado di rivolgersi soprattutto ai giovani.

Tutto questo ha in sé una dimensione fortissima di carattere formativo: piantare alberi e manutenere aree verdi sono azioni virtuose che vorremmo diventassero parte della coscienza civile di tutti gli uomini. È quanto si sta facendo, ad esempio, a Bari e nella sua area metropolitana. La costruzione di un percorso educativo, che si rivolga certamente alle scuole di questa città e in generale a tutti i suoi abitanti è una parte fondamentale del progetto di cui parliamo con il suo principale artefice, il professor Dante Mazzitelli, docente di Statistica all’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” e da sempre impegnato in importanti attività imprenditoriali anche nel settore primario.

Le aziende agricole che ricadono in territori urbani non possono usufruire di contributi pubblici

Professore, sappiamo che lei in seno all’Università di Bari si sta rendendo promotore dell’istituzione di un Centro Interdipartimentale. A partire dal Dipartimento di Economia e Finanza al quale lei afferisce, il progetto mira ad occuparsi della coltivazione di prodotti agricoli nell’area urbana di Bari. Come nasce questo programma? È vero che vi è disparità di trattamento legislativo tra aziende agricole che operano su territori urbani ed aziende che lo fanno su territori extraurbani?

Foto di Giovanni Lamacchia

«Purtroppo, sì! Sostanzialmente l’area di Bari non è considerata dalle norme comunitarie un’area agricola, bensì un’area urbanizzata e quindi le aziende agricole che ricadono in territori urbani non possono usufruire di contributi pubblici e di quelli che sono i sussidi all’agricoltura, di cui tutte le altre aziende che operano su territori extraurbani usufruiscono. Alla luce di questa stortura normativa, siamo andati con i rappresentanti del Dipartimento di Farmacia dall’assessore regionale all’agricoltura ed abbiamo rappresentato questa esigenza, cioè che fossero anche ricomprese le aziende agricole posizionate nelle aree urbane, in modo da evitare discrasie nei comportamenti della pubblica amministrazione.

In più questa richiesta era supportata dalla necessità di portare avanti un progetto di ricerca, proprio con il Dipartimento di Farmacia, su tutta una serie di colture: non solo le colture di piante officinali, ma anche tutto ciò che riguardava un progetto già iniziato dal Dipartimento di Farmacia sull’utilizzo dell’olio, quindi su tutto un percorso di natura non solo agricola ma anche industriale. Il Dipartimento di Farmacia ed il Dipartimento di Agraria hanno messo a punto una macchina che è stata poi realizzata dalla Pieralisi, una ditta esperta nel settore olivicolo: costruisce infatti tutte quelle macchine che servono alla produzione dell’olio nei frantoi. Questi impianti, attraverso un nuovo sistema di molitura delle olive messo a punto proprio dall’Università di Bari come progetto di ricerca, consentono di migliorare le qualità organolettiche e nutritive dell’olio prodotto. Di qui la necessità di mettere a sistema da una parte questo progetto di ricerca e dall’altra cercare di operare con un’agricoltura che sia monitorata secondo quelli che sono i parametri del Dipartimento di Farmacia e di quello di Medicina.

Foto di Giovanni Lamacchia

Questo Interdipartimento sarà costituito dai Dipartimenti di Medicina, di Farmacia, di Agraria, di Sociologia e poi quello di Economia e Finanza al quale io appartengo, per guardare lo stesso progetto e quindi la stessa problematica secondo i vari aspetti, ciascuno per la propria area di competenza: questo è un po’ il piano nella sua prima accezione. Ovviamente tutto ciò comporterà la realizzazione di un processo virtuoso di produzione e quindi di impiego anche di risorse umane, di unità lavorative che verrebbero ad essere utilizzate in queste aziende, anche per la distribuzione dei prodotti agricoli stessi. Rimane fermo il fatto che siamo in presenza di un programma di ricerca, perché si andrà a migliorare la qualità dei prodotti senza l’utilizzo di anticrittogamici e ci sarà una coltivazione biologica di tutte queste piante.

Mi piacerebbe porre ora l’accento sugli aspetti sociologici di questo suo bellissimo piano. Quale ruolo pensa possa giocare in termini di formazione e educazione nei ragazzi? L’atto di nutrirsi è certamente un fatto culturale: assume anche un significato sociale ed un valore di comunicazione?

«Assolutamente sì, perché il progetto è ideato, proprio come dicevo pocanzi, anche con il Dipartimento di Sociologia e va portata nelle scuole tutta un’attività di formazione e di acculturamento in relazione a quella che è l’educazione alimentare e quindi a cosa fa bene e cosa fa male: come approcciarsi a quelli che sono i prodotti da poter mangiare, quali caratteristiche devono avere. Questo non soltanto dal punto di vista della fruizione, ma anche dal punto di vista della produzione: quindi ci sarà da una parte un’attività di monitoraggio sulla produzione e poi un’attività di “education” che verrà fatta nelle scuole per la preparazione dei ragazzi. In più ci sarà anche la formazione delle persone che saranno occupate stabilmente: io nella mia azienda ho eliminato tutto l’uso degli anticrittogamici, quindi facciamo tutte le concimazioni con prodotti biologici assolutamente atossici. Molta gente non lo sa, ma se un agricoltore fa un trattamento per esempio al suo oliveto, questo permane sulle olive per poi essere trasferito nell’olio prodotto; i risultati sono sotto gli occhi di tutti: l’incremento dei tumori, l’incremento di varie malattie e quant’altro.»

Sviluppare il biologico a chilometri zero

Professore, si darà dunque una ratio ad alcuni terreni a Bari che, diversamente, rimarrebbero incolti!

Foto di Giovanni Lamacchia

«Oltre quelli delle aziende che sono localizzate a Bari, c’è la pubblica amministrazione che si è dichiarata disponibile a mettere a disposizione delle stesse diversi terreni incolti, per renderli produttivi. Su molti di questi ci sono alberi di ulivo: si eviterà che la non coltivazione e quindi la non pulizia degli alberi e dei poderi possa portare a far avanzare la Xylella fastidiosa, con tutti i problemi annessi; quindi, possiamo dire che si potrebbe così scongiurare l’attecchimento di questi batteri.»

Questo è un ulteriore aspetto positivo del programma. Professore, i difensori del chilometro zero sottolineano l’importanza della localizzazione dei produttori e dei consumatori il più vicino possibile tra loro, in un raggio massimo di 100 km. I prodotti frutto di questo progetto seguiranno questa modalità? Si contribuirà a definire un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo, garantendo dunque anche la sua ecosostenibilità?

«Diciamo che noi puntiamo come attività agricole alle modalità del chilometro zero e quindi a portare in città, con alcuni punti di distribuzione, quelli che saranno i frutti della terra. Parliamo di ortaggi, di frutta, di olio, di vino, tutti prodotti nell’area urbana di Bari. Ci sono tre aziende agricole e dovranno collaborare a questo progetto di sinergia del territorio.»

Ricerca a 360 gradi

È evidente che coniugare scienza e produzione è uno dei suoi obiettivi primari, nell’interesse sociale. Per la prima volta l’Università di Bari si presenta in maniera univoca rispetto al sistema regionale pugliese, per intercettare quelli che sono i fondi destinati alla ricerca scientifica. Quali sono le azioni di ricerca che lei intravede nel contesto di questo ampio programma? È auspicabile per esempio, a suo avviso, la nascita di uno spin-off?

«No, non è necessario lo spin-off, perché la struttura interdipartimentale di fatto sopperisce, anche perché è questa che si farà carico di tutta l’attività di ricerca, sulla base di un filone che è dettato dalle aziende. Quindi ci sarà una compartecipazione delle aziende e dei Dipartimenti dell’Università, ciascuno per i propri ambiti di competenza, per portare avanti un progetto di ricerca a 360 gradi, sia per quelli che sono gli aspetti farmacologici, sia per quelli che sono gli aspetti medici e sia anche per quelli che sono gli aspetti agronomici.»

Per concludere, laddove il contesto climatico lo consenta si rievoca talvolta la possibilità che le attività didattiche possano svolgersi all’aperto. La conoscenza diretta è basilare nell’educazione, nell’approccio pedagogico; siamo chiamati anche a riscoprire e valorizzare il gioco come elemento imprescindibile per proporre la cultura, per avvicinarci sempre meglio alla natura e metterci nelle condizioni di camminare speditamente verso la transizione ecologica. Che ne pensa dell’apprendimento acquisito con la pratica e magari dell’esercizio della coltivazione?

Coltivare è un gioco da ragazzi

«Questo sicuramente è un aspetto ludico tramite il quale si insegna ai ragazzi e soprattutto a quelli in tenera età che cosa significa coltivare una pianta, come si mette a dimora una pianta, per poi far vedere loro alla fine del percorso il risultato e quindi raccoglierne i frutti. Sicuramente è un fattore estremamente interessante, culturalmente valido ed anche stimolante per i ragazzi. Io ricordo che, per quello che è stato il mio programma di formazione, alle scuole elementari ci insegnavano quali fossero le differenze tra le varie essenze. Tutte queste cose forse oggi si sono un po’ dimenticate. A scuola avevamo il famoso sussidiario nel quale era possibile cercare le differenti piante.

Oggi è importante riavvicinarsi alla natura, anche perché è in atto questo progetto dell’energia verde, accompagnato da ingenti finanziamenti che la Comunità Economica ha messo a disposizione dell’Italia; penso che non possiamo perdere l’opportunità, che è unica e irripetibile! Quindi dobbiamo dotare il nostro Paese di quelle strutture tecnico-produttive che ci consentano una indipendenza economica ed un benessere non soltanto dal punto di vista economico strettamente, ma anche dal punto di vista biologico, alimentare e medico.»

Immagino che questo abbia anche una ripercussione immediatamente economica, nel senso che laddove i cittadini stanno bene in salute, spendono anche meno in termini di assistenza sanitaria e non solo.

«Certo, va tutto in una logica di economia circolare ad alleggerire il bilancio sanitario.»

Quindi mi sembra di capire che lei vede di buon occhio le modalità dell’economia circolare!

«Assolutamente! Penso che, considerato il punto in cui siamo, non ne possiamo fare a meno!».

Agricoltura biologica per la transizione

Come redazione della rivista “.eco” torneremo ad occuparci dell’evolversi del virtuoso progetto del professor Mazzitelli, sempre al lavoro secondo solidi principi e con encomiabile rispetto delle Istituzioni, certi del proficuo attuarsi della sua azione propositiva!

Intanto, con grande curiosità e interesse seguiamo anche l’iter di approvazione del disegno di legge n. 988 sull’agricoltura biologica, da parte dello Stato. Auspichiamo che la Camera dei Deputati approvi rapidamente il testo licenziato dal Senato a larghissima maggioranza, con un solo voto contrario ed un astenuto. Chi si oppone all’approvazione del D.d.l n. 988 intende ostacolare la transizione ecologica dell’agricoltura, richiesta dalla Commissione UE con il Green Deal.

Vogliamo ridurre l’inquinamento dei terreni, salvaguardare la salute di tutti i cittadini e non essere più costretti a tollerare un’agricoltura intensiva basata sull’utilizzo sconsiderato di pesticidi!

Scrive per noi

Giovanni Lamacchia
Giovanni Lamacchia è presidente della sezione regionale della Rete WEEC Italia per la Puglia.
“Sono una delle guide ufficiali della Riserva naturale statale di Torre Guaceto.
Sempre alla ricerca di meraviglie, a piedi o in bicicletta, con occhi curiosi mi diverto a condurre avventurose escursioni: adoro comunicare con i più piccoli e divertire la parte di bimbo che è in ogni adulto. Amo giocare il ruolo di mediatore tra le bellezze della natura e la sfera emotiva di ogni interlocutore. Considero le diversità culturali e linguistiche autentiche opportunità di arricchimento. È davvero una fortuna avere il privilegio di lavorare come educatore ambientale!
Grazie a .eco ho l'opportunità di condividere le mie riflessioni personali e mi auguro così di poter umilmente contribuire a rafforzare la resilienza della nostra società!”