Che cos’è il “femminismo bianco”?
Tempo di lettura: 3 minuti
Contro il femminismo bianco. Appunti per un cambiamento radicale
Rafia Zakaria
Traduzione di Alessandra Castellazzi
Saggio multidisciplinare
Add Torino
2023 (orig. 2021)
Pag. 237, euro 18
Usa, Pakistan e non solo. Storia e cultura, moderne e contemporanee.
Una femminista bianca è una persona che rifiuta di riconoscere il ruolo che la bianchezza, con il conseguente privilegio razziale, ha avuto e continua ad avere nell’universalizzare le preoccupazioni, l’agenda, le convinzioni delle femministe bianche, spacciandole per quelle di tutti i femminismi e di tutte le femministe; una persona che accetta di fatto i benefici conferiti dalla supremazia bianca a spese delle persone non bianche. Non bisogna essere bianche per essere femministe bianche ed è pure possibile essere bianche e femministe senza essere femministe bianche. Il termine descrive una serie di presupposti e comportamenti integrati nel femminismo occidentale mainstream, anziché l’identità razziale dei suoi soggetti.
Per contrastare il femminismo bianco serve sia esaltare l’intersezionalità, ovvero considerare le disparità strutturali delineate lungo le linee del colore della pelle, del credo religioso, della disabilità e così via (oltre al genere) sia riconoscere spazio alle femministe non bianche (afroamericane di incarnato scuro oppure brown, in linea di massima non di incarnato scuro ovvero perlopiù originarie del subcontinente indiano e del Sudamerica), quasi sempre ignorate, cancellate o escluse dal movimento femminista. Lo scopo non è espellere le donne bianche dal femminismo, ma smantellare o recidere la bianchezza con tutti i suoi presupposti, per promuovere la libertà e l’empowerment di tutte le donne, in modo che qualsiasi donna possa diventare o continuare a definirsi femminista, qualunque siano il colore della sua pelle, la classe, la nazionalità e la religione.
Un punto di vista acido ma indispensabile
La brava avvocata e giornalista musulmana Rafia Zakaria (Kharaci, Pakistan, 1977) a 17 anni acconsentì in patria a un matrimonio contrattualmente combinato, il marito era maggiore di 13 anni e lavorava come medico negli USA, sicché arrivò come una giovane sposa. Ebbero una figlia, frequentò l’università americana (come da accordo), le fu poi rifiutato di iscriversi alla facoltà di Legge ma, dopo anni di soprusi maschili e liti familiari, fuggì in un rifugio per vittime di violenza domestica e fu capace di costruirsi a fatica una vita da madre single negli anni Duemila, affermata legale a difesa di altre vittime donne e apprezzata autrice di saggi e articoli di filosofia politica.
Dopo un paio di volumi di storia e cultura soprattutto sul Pakistan, ha realizzato una disamina colta del femminismo bianco con cui si è confrontata e scontrata nel paese d’adozione. Il suo punto di vista è acido ma indispensabile, prende di petto le origini coloniali e il colonialismo permanente del pensiero bianco, anche quello rivolto alla “liberazione” dal patriarcato e dal maschilismo.
In otto densi capitoli, con acume e cognizione di causa riesamina le icone del femminismo mainstream, da Eve Ensler a Melinda Gates, da Simone de Beauvoir a Betty Friedan, da Kate Millett a innumerevoli eroine del cinema, della letteratura, del giornalismo per mostrarne la bianchezza; scandaglia eventi e fenomeni storici (diritto al voto delle donne, delitti d’onore, mutilazioni genitali femminili, lotta al terrorismo islamico) per mostrare la parzialità interessata dei riferimenti culturali bianchi occidentali sia maschili che femminili (per esempio il conservatorismo sessuale); ci consente di conoscere studi e riflessioni poco diffuse di femministe non bianche (come Sarojini Naidu, Kimberlé Crenshaw, Gita Sen, Audre Lorde e tante altre); sottopone a scandaglio polemico i “precetti” capitalistico-consumistici del diffuso femminismo a noi noto negli ultimi cinquant’anni, anche per come sono stati talora assecondati dall’Onu. Ben venga. Si tratta di un colto libro “contro”, vuole motivare la necessità di un “cambiamento radicale”; asprezze ed enfasi eccessive vanno meditate senza fastidio, anche quando si commette l’errore di dare per naturale la “razza” e l’identità razziale. Niente apparati o elenco finali (note a piè di pagina).
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- Valerio Calzolaio
- Valerio Calzolaio, giornalista e saggista, è stato deputato (1992-2006) e sottosegretario all’Ambiente (1996-2001). Ha pubblicato numerosi libri sul tema della migrazioni e dei profughi ambientali.
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