di Monica N. Mantelli
Mi trovate d’accordo con il poeta anglo-americano T. S. Eliot quando utilizza l’espressione “correlativo oggettivo” per spiegare la sua idea di arte. A suo parere l’arte deve trovare nella realtà concreta della sua espressione – linguaggi, dimensioni, situazioni – fatti capaci di evocare emozioni. E l’unico modo per esprimere un’emozione in forma d’arte consiste nel trovare un “correlativo oggettivo”; in altre parole, una serie di “oggetti” che costituiranno la formula di quella particolare emozione, cosicché, quando siano dati i fatti esterni, che devono concludersi in un’esperienza sensibile, l’emozione ne risulti immediatamente evocata.
Cosi parto da una suggestione quasi sinestesica, per raccontarvi la produzione artistica di Francesco Preverino, artista piemontese con esposizioni museali da Shanghai a New York, che sono andata a visitare più volte nel suo simbiotico studio.
Il mondo di riferimento pittorico di Preverino è sovente regolato dal ritmo cromatico del giorno e della notte: dal buio e dalla luce. La luce dà una spinta a vivere, al piacere, all’attività. Il buio e la penombra induce a uno stato riflessivo, di difesa e di calma contenuta. I colori caldi sono quelli della luce: rosso, giallo, arancione; i colori freddi vanno dal viola al verde, al blu, al nero pece. E per ciascun colore esiste il suo valore simbolico e il suo riverbero emotivo.
Nella sua produzione su tela o tavola è evidente l’uniformità simbolica tra i colori “freddi” e “caldi” e come essi siano inevitabilmente legati alla sua sfera emozionale. Il suo è un linguaggio informale, intimo e introspettivo che permette di evidenziare aspetti, altrimenti insondabili, del suo immaginario.
La singolarità dei segni antropomorfi aggiuntivi a ogni singolo lavoro, riescono a dare forza alle piccole parti che costituiscono l’insieme. Un delicato equilibrio tra massa e singolo, tra le cui righe emerge la ricerca di sé attraverso gli universi d’acqua, terra o cielo.
Iniziamo il nostro viaggio nel suo studio partendo dal dipinto IL SILENZIO DEL NAUFRAGIO, dove si evocano – tra lo sfondo dell’orizzonte e le increspature inquietanti delle acque in primo piano – una moltitudine di ombre tra le masse liquide: possibili ologrammi / fantasmi di esuli migranti, a loro volta custodi di ipotetici tentativi di sbarchi/fughe da navi e piroscafi. Anime galleggianti, ormai uniche testimoni di esodi censurati. Le note cromatiche sferzate in quest’opera, rigorosamente tra i grigi e neri, rinviano ai pericoli risuonanti ovunque. Pericoli che, pur terminato il disastro, ancora vibrano l’eco dei loro colpi, incontri e scontri.
Ne IL SETACCIO DELLA STORIA e PIOGGIA SPORCA ci si strugge verso i luoghi della mente, custodi dei ricordi più nascosti e segreti, accantonati nei meandri della coscienza. Paiono, tra forme antropomorfe e macchie evocative, rimembranze di una FELICITA’ NEGATA che malinconica affiora tra sole e luna. E che, sempre, nel giorno o nella notte, immutabile segue il continuo peregrinare delle genti ALLA DERIVA.
Dipinti come i FRAMMENTI DI TEMPO e LA DIFFICOLTA’ DEL RICORDO, ci riportano ai suoni bluastri di quegli spazi che più di altri raccolgono e concentrano le comunità e i popoli in continuo movimento: sono le metropoli, dove il Maestro Preverino – che in una di queste (Torino) ha Il suo studio/fucina/laboratorio – intesse, tra i suoi rendiconti personali, denunce sociali ispirate a storie sia attuali che di un tempo che fu. Poi c’è un lavoro come LA DIFFICOLTA’ DEL VIVERE, che ci narra di come l’Amore – a volte malamente – si giustizia da sé, tra i meandri della sorte quotidiana, rischiando di perdere se stesso nelle distanze labirintiche tra mente e cuore. Lo sguardo volge ora all’opera MAI PIU’ FERITA. Qui c’è l’inno corale al rinnovamento spirituale del femminile. Un guizzo, un’intuizione di elevazione che veglia e impera per la difesa dell’integrità corporea, morale e psicologica della donna.
La gestualità di Preverino prende corpo e agita i venti dell’eremita che vive in lui, facendogli emergere dal buio la luce, e riportando al nitore del bianco sacrale il magma del suo comparto stilistico. Ma è in OSSESSIONE che sono in gioco le ibridazioni fermentose che hanno ispirato uomini e donne di tutti i tempi. In questo rituale da Araba Fenice, per cui dalle ceneri si risorge, ecco la spinta di una linfa sotterranea che proviene dalle viscere profonde della follia e che balla, tra incroci e saliscendi tonali, come un dio Pan ubriaco. Irrequieto e ricorrente con i suoi cromatismi e le sue dissonanze, Preverino si danna l’anima, mentre già forma su tela radici nuove, di cui intravediamo bagliori oltre l’oscurità. Per lui ogni trasformazione è, insieme, recupero e scomparsa del passato nella COMPRESENZA.
Scatta ora il pentagramma cromatico de IL COLORE DEL NERO, un dipinto che alterna vita, morte, rinascita. La determinata intemperanza si mitiga a favore di una dimensione più etica della realtà. Qui la storia raccontata dall’artista naviga tra sogno e mito, recuperando il sacrificio e giungendo all’amor mortis. Subito dopo arriva l’opera omnia …POI…che come l’ingresso di un offertorio all’altare della vita, porge da Artista un cuore, pari a una preghiera che si incarna attraverso una carezza rossa e salvifica. In questa grande tela “vulcanica”, convivono tutta una serie di riferimenti alla negazione del corpo, della felicità e del volo pindarico dell’Uomo, che ciò nonostante, mette ancora una volta la donna al centro.
Ma l’opera di Preverino non è altro che l’esplicazione del vero cammino verso il superamento del concetto Spazio-Tempo. E così Preverino apre una cupola scalare che avanza per riordinare il senso di ciò che abbiamo fatto come umanità, vacillando e assolvendoci da ogni male. E’ questo stesso Male viene dissacrato ne IL SETACCIO DELLA STORIA, quasi un ironico e amaro saluto alla mancanza di memoria che schiaffeggia e lenisce l’anima antica del mondo, trasformando qualsiasi conflitto passato in un errore ineluttabilmente ripetibile.
Ed è poi nella L’ASSENZA DI AIUTO che l’Autore controcanta le meschine stonature per bocca delle generazioni attuali, denunciando – con il suo grido esistenziale – l’imbarazzo, la vergogna e il pudore per il menefreghismo sociale contemporaneo. Una sfida che con L’ATTESA si dischiude in un desiderio di riscatto, che porta in sé la voglia di combattere per le creature future e il ritorno degli ideali perduti. Una scommessa che si augura venga raccolta da chi, nonostante ciò, scelga con coraggio di vivere controcorrente, sottolineando – pur nel suo breve passaggio su questa Terra – l’adesione alla fratellanza umana. Oltre gli scarti, le divagazioni, le coazioni e le deboli incostanze della sua personale narrazione.
Preverino arriva ad arrendersi – come un medium che canalizza la scrittura automatica – alle forze centrifughe, elicoidali e multiformi del Vivente. La sua è una pittura gestuale sonora, assordante e potente. Un’arte destinata a trasmettere in ogni sua trascrizione gli impulsi liberatori verso l’incendio epifanico del Risveglio. Un battito d’ala che finalmente solca i cieli senza trovare più ostacoli e confini, per raggiungere l’infinito.
E’ un’Artista che da sempre ha abbandonato le oscure catene del formalismo, andando, pronto, oltre la Luce.
Francesco Preverino (1948) nel 1971 inizia la sua attività di insegnante e dal 1998 è stato titolare della Cattedra di Decorazione presso le Accademie di Reggio Calabria e successivamente Firenze e Venezia. Tenutario della Cattedra di Arti Decorative all’Accademia di Belle Arti di Torino sino al 2018, l’artista detiene un fare pittorico caratterizzato da una prorompente gestualità, da grumi di colori, da uno spazio lacerato che esprime la forza di una pittura mai rasserenante o piacevolmente descrittiva. Lavora per cicli principalmente sul rapporto uomo/natura con soluzioni e sperimentazioni grafiche, disegnative, pittoriche, ceramiche e scultoree. Sue opere si trovano in collezioni sia in Italia sia all’estero. Vive e lavora a Torino.
Contatti: e-mail francesco@preverino.it
Immagine “Il setaccio della Storia” per gentile concessione dell’Artista.