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Le aree protette italiane: le ragioni della Storia.

| IPPOLITO OSTELLINO

Tempo di lettura: 11 minuti

Le aree protette italiane: le ragioni della Storia.

Una raccolta di scritti dello storico Luigi Piccioni per comprendere l’esperienza dei parchi italiani tra società, politica, cultura e costume edita dall’Università di Camerino nell’anno delle celebrazioni del Centenario della nascita dei primi parchi nazionali del Gran Paradiso e d’Abruzzo (1922-2022)

E ci risiamo. I mezzi di comunicazione, divisi tra guerra oriente-occidente e pandemia da Covid19, abbandonata di recente per affrontare l’annunciata da anni guerra in Ucraina, hanno riservato davvero poco o potremmo, dire per la rilevanza del tema, nessuno spazio ad una importante celebrazione che questo 2022 segna nel suo calendario.  La rilevanza del tema è data dal fatto che attraverso la protezione della natura e lo sviluppo della cultura ambientale-naturalistica passa innanzi tutto qualsiasi progetto di sostenibilità, di adattamento al cambiamento climatico, che troppo spesso viene confuso con una sorta di riscatto dell’agire umano che pensa, emettendo meno in atmosfera e consumando meno plastica ed altro, di comunque superare i limiti di un pianeta che invece ha confini e meccanismi legati alla vita che si devono rispettare per una ragione innanzi tutto etica. C’è chi gridava all’allarme del cambiamento degli equilibri climatici ed alla possibili (reali) conseguenze sulle attività umane; chi al continuo crescere delle sperimentazioni biologiche chimiche sulle armi biologiche ed alle conseguenze ancora oggi non ufficialmente chiarite su quanto successo in Cina a Whuan; a quando la crisi biologica che sta colpendo i temi della diversità delle colture e le problematiche degli insetti impollinatori diverranno anch’esse notizie da prima pagina e non da rubrica “le scienze” portando il tema della crisi della biodiversità nella vita quotidiana come avvenuto per le altre due problematiche?

Ciò premesso tra le diverse iniziative che tuttavia un manipolo di convinti sostenitori dei temi della Natura portano avanti in questo 2022, fa piacere qui dare conto di una operazione editoriale, magari meno glamour d’altre, tanto più perché sorta nel grembo delle pubblicazioni di una Università , quella di Camerino (nella Collana Natura e aree protette diretta dal Prof. Franco Pedrotti) ma per questo agevolata nella sua diffusione perché scaricabile gratuitamente dalla rete: parliamo della raccolta “Cento anni di parchi. Scritti di storia delle aree protette italiane – Piccioni L. (2022”) (scaricabile a questo link).

In questo lavoro grazie alla perizia e il rigore scientifico della ricerca storica, che sono un tratto distintivo dell’attività di ricerca del prof. Luigi Piccioni, si ha la possibilità di leggere nelle pieghe delle vicende più esterne e di immagine della protezione della natura, quelle tracce dell’essenza storica delle politiche di conservazione della natura, che permettono di mettere a fuoco gli stretti legami che i parchi hanno con il contesto scoiale, civile, politico ed economico della nazione in cui sorgono, delineando un profilo attuale che oggi non possiamo purtroppo affermare essere positivo: ma di questo nelle conclusioni più avanti diamo conto, avanzando una possibile ipotesi interpretativa.

Alla presentazione di queste 265 pagine di raccolte di saggi ed interventi pubblicati da Piccioni in oltre 26 anni (dal 1996 al 2022) di attività di studio e pubblicazioni, ricchissime di apparato bibliografico, di elegante e scorrevole schematizzazione del percorso di conoscenza ideato dall’autore, premettiamo solo due parole sul tema delle date di cui parliamo, ed alle quali il volume fa riferimento, non per amore dei calendari, ma bensì della categoria del tempo, la base della Storia.

Sono infatti i 100 anni dalla fondazione dei due primi Parchi nazionali italiani, in un accavallamento di date sovrapposte che tra il 1921 e il 1923 che determinano le fasi istitutive dei due primi istituti di protezione della natura in Italia.  Per il Parco d’Abruzzo fu certo grazie alla Commissione per i Parchi Nazionali della bolognese Federazione Pro-Montibus, che il 2 ottobre 1921 nel comune di Opi, sotto la guida di Alessandro Ghigi (zoologo)  e di Romualdo Pirotta (botanico), che venne istituita la prima area protetta d’Italia affittando dal comune stesso 500 ettari della Costa Camosciara, nucleo iniziale del Parco, situato nell’alta Val Fondillo. Nel successivo 25 novembre 1921 ci fu la cerimonia inaugurale del costituito l’Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo, mentre è del 9 settembre del 1922, per iniziativa di un Direttorio Provvisorio presieduto dall’onorevole Erminio Sipari, parlamentare locale e autorevole fondatore del Parco, un’area di 12.000 ettari ricadente nei comuni di  OpiBisegnaCivitella AlfedenaGioia de’ MarsiLecce dei MarsiPescasseroli e Villavallelonga, insieme a una zona marginale di 40.000 ettari di Protezione Esterna, divenne Parco Nazionale alla presenza di tutte le autorità.

Poco più tardi lo Stato italiano, con Regio decreto-legge dell’11 gennaio 1923, n. 257 (G.U. 22 febbraio 1923, n. 44) ne riconosceva ufficialmente l’istituzione.

Per il Parco Nazionale Gran Paradiso la data ufficiale è certo quella del Regio decreto-legge 3 dicembre 1922, n. 1584 (G.U. 13 dicembre 1922, n. 291), che ne sancisce la formulazione di parco nazionale un mese prima del decreto che darà la stessa qualifica al Parco d’Abruzzo, anche se già nel 1856 Vittorio Emanuele II dichiarava l’area Riserva Reale di Caccia le montagne del Gran Paradiso, salvando dall’estinzione lo Stambecco, che in quegli anni aveva ridotto la sua popolazione a livelli allarmantiNel 1913 si svolge inoltre l’ultima caccia reale, e sei anni più tardi Vittorio Emanuele III decise di cedere allo Stato i territori del Gran Paradiso di sua proprietà con i relativi diritti, indicando come condizione che si prendesse in considerazione l’idea di istituire un Parco Nazionale per la protezione della flora e della fauna alpina.

Le iniziative a cura dei due rispettivi parchi non mancano, in una sana alleanza che li ha visti insieme, al di la delle date di primogenitura, in un calendario di eventi che ha anche il suo spazio web https://100anniparchi.it/

Ma è anche utile segnalare altri dati d’informazione e di iniziative come ad esempio il volume, sempre a cura del prolifico sulla materia Prof. Piccioni, edito da ETS di Pisa che raccoglie gli atti di un convengo tenutosi in Calabria in previsione del centenario nel 2010, dal titolo Cento anni di parchi nazionali in Europa e in Italia (edizione acquistabile online)

Se andiamo a fare una breve ricerca sulla rassegna stampa che riguarda il tema purtroppo gli esiti sono davvero scarsi: l’articolo di Enzo Lavarra su Huffingtonpost, e poi un resoconto del convegno evento di 3 giorni di Federparchi Roma di aprile 2022, alla certo autorevole presenza del Presidente Mattarella, di Maria Neve Iervolino su una testata del titolo “KODAMI”, un articolo dell’agenzia DIRE in seconda indicizzazione, oltre a qualche blog e testata anche nazionale, per la quale occorre però andare nella rubrica “viaggi” come per Repubblica  mentre occorre andare in un blog, quello di Filippo Didonato , per trovare una illustrazione giornalistica della tre giorni organizzata a Roma come prima ricordato dedicata al centenario. Vi è poi il video di Rainews: 1 minuto e 24. Insomma il panorama comunicativo desumibile dalla rete non è edificante, e considerata la crisi di sistema degli ambienti naturali, forse questa occasione avrebbe meritato qualche pubblicità progresso, qualche iniziativa mediatica di ben più diffusa fruizione da parte del pubblico generalista, invece di essere riservata sostanzialmente a chi del tema si occupa, anche e purtroppo con esclusione degli studiosi della loro storia.

Il volume di cui parliamo qui è certo un’inziativa di ricerca: ma proprio queste occasioni celebrative devono essere occasione non solo per capire a che punto si sia giunti, certo con un lavoro fatto non secondario, ma anche per comprendere, grazie alla ricerca storica, limiti dinamiche e tendenze di una politica pubblica, ed a tratti anche privata, dedicata alla conservazione della natura. È un volume, quello di Piccioni pubblicato nella ricca collana dell’Università di Camerino diretta dal Prof. Franco Pedrotti, che esce in un periodo non banale: il 2022 sono i 150 anni del primo Parco nazionale al mondo quello dello Yellowstone, solo nel 2016 sono stati celebrati i 100 anni del NPS, e lo scorso anno i 30 della legge nazionale sulle aree protette italiana.

Il primo contributo fornisce un excursus davvero ampio sull’intero periodo storico sino ai giorni nostri che evidenzia con efficacia diverse fasi così descritte: “si tratta di uno schema in sette punti, in parte cronologico in parte tematico.
1. la fase pionieristica: 1910 ca-1933 ca
2. la “grande glaciazione”: 1934-1970
3. la prima radice del cambiamento: l’ambientalismo storico: dal 1962-64
4. la seconda radice del cambiamento: l’avvento delle autonomie locali: dal 1970
5. la terza radice del cambiamento: l’ambientalismo diffuso: dalla metà degli anni ‘70
6. il laboratorio della legge quadro: 1987-1995 ca
7. le incertezze recenti: una nuova, per quanto piccola, glaciazione?: dal 1995

E’ da questa analisi dettagliata, con titoli davvero evocativi, che fanno anche rimando alle glaciazioni della storia geoclimatica delle nostre regioni, che Piccioni trae una prima conclusione così descritta:

“Ci sono (…) anche delle osservazioni negative:
primo. il processo di creazione delle aree protette ha in Italia avuto ritmi estremamente irregolari, con fasi di grande slancio e lunghissime fasi di rallentamento quando non di totale stasi
secondo. ci sono stati diversi periodi in cui l’esistenza stessa di alcuni parchi italiani è stata a rischio, sia dal punto di vista della loro integrità ambientale sia – in qualche caso – dal punto di vista amministrativo
terzo. le classi dirigenti nazionali – e questo è l’elemento più negativo – non hanno mai fatto propria, in nessuna fase storica, l’idea della necessità delle aree protette e quindi della necessità di elaborare una politica organica che le riguardasse – come è invece avvenuto in altri paesi europei e dell’America settentrionale. questa estraneità – se non ostilità – di fondo ha fatto in modo che i notevoli risultati raggiunti siano quasi sempre stati il frutto di spinte dal basso; ma questa estraneità o ostilità di fondo è stata anche la causa del sistematico ritorno delle lunghe glaciazioni, delle fasi di crisi profonda e di fasi come quella odierna, contraddistinta da una delegittimazione strisciante delle aree protette, da frequenti travisamenti della loro funzione istituzionale, da notevoli tagli ai finanziamenti, da una applicazione lacunosa della legge quadro, insomma da una profonda trascuratezza.
Mi pare insomma che si possa descrivere la storia dei parchi nazionali italiani e, più in generale, delle aree protette italiane, come una storia costantemente attraversata da una tensione tra spinta creativa e trascuratezza, abbandono.”

E’ in particolare qui che si evidenzia lo stretto rapporto tra vicende sociopolitiche e tutela della natura e parchi, che cresce quando la società incontra fasi di crescita e sviluppo e decresce quando anche questa incontra periodi di buio, di crisi economica e di confusione politico-istituzionale. Un legame questo tra aree protette e stato sociale ed economico che ne determina quindi inesorabilmente i destini, favorevoli o non.

Nel secondo sono invece descritti, con dovizia di particolari, i passaggi culturali e politici che portarono alla crescita della sensibilità verso il tema dell’istituzione dei parchi nazionali in Italia: un percorso dove spicca il ruolo di spinta dal basso che autorita scientifiche, personaggi collocati tra i mondi del turismo, dell’esplorazione alpinistica, e della ricerca scientifica, soprattutto botanica, seppero imprimere nel dibattito nazionale come ad esempio i resoconti di viaggio americani di Gianbattista Miliani nel parco dello Yellowstone, o i contributi di Lino Vaccari, Henry Correvon,  o l’opera di molti altri protagonisti nazionali e esteri a vario titolo e livello come Carl Schröter, Renato Pampanini, Pietro Pirrotta, Luigi Parpagliolo, Luigi RavaMeuccio Ruini, Enrico Festa, Erminio Sipari, Mansueto De Amicis, i cui ruoli e contributi potete scoprire nell’interessante puntuale ricostruzione che Piccioni sviluppa e che permette di conoscere uno spaccato di una realtà che si muoveva con attenzione sempre dal basso per coinvolgere le isituzioni, animate purtroppo da altri interessi.

Un versante questo del confronto fra ambiti diversi tra ricerca, fruizione e istituzione, che oggi purtroppo ha perso quella originalità di allora, in continua ibridazione tra di loro, senza tralasciare il mondo dell’esplorazione (alpinistica e non solo): oltre alla sindrome delle specializzazioni e delle divisioni, che non pernette di creare alleanze, oggi registriamo come specie il mondo scientifico appaia sempre più diviso tra la necessità di garantire le necessarie pubblicazioni a garanzia delle carriere interne (sempre più specializzate è quasi autoreferenziali) o la visibilità mediatica del giornalismo scientifico, a scapito di quell’impegno politico civile che spesso ha garantito il trait d’union dalla scienza alle scelte politiche di conservazione, come accadde appunto negli anni di inizio secolo così ben descritti da Piccioni.

Il terzo capitolo è dedicato, in un dettagliato rapporto denso di riferimenti e memorie , a quella che potremmo chiamare la magnifica stagione regionalista dei parchi, che si apre con l’istituzione delle Regioni agli inizi degli anni ‘70: le diatribe sulle assegnazioni delle competenze alle nuove articolazioni regionali da parte di uno stato tutto sommato recalcitrante, la passione che alla scala locale mobilita tante energie sostenute anche da una società in fermento, appena uscita dal ‘68 e con un ambientalismo associativo diffuso che giunge a stimolare l’editoria importante (è del 1981 il primo numero della rivista Airone) , l’entrata in scena di veri e propri modelli gestionali che il dibattito regionale alimenta e fa nascere come quello “urbanistico” dei parchi, che incardina queste politiche in quelle della pianificazione territoriale. Insomma davvero una forte crescita di contenuti e di quantità, visto che le Regioni si rendono artefici dell’istituzione dopo la fine degli anni ’70 di oltre 150 Parchi e 400 riserve naturali, oltre che del primo organismo nato dal basso che diventa interlocutore di carattere nazionale come il Coordinamento nazionale dei parchi regionali istituito su proposta di 4 parchi regionali italiani nel 1979 e che editò la prima rivista di settore italia “Parchi” di cui qui potete trovare i numeri online.

È poi la volta di una descrizione appassionata del caso Abruzzo, dove non è solo la spinta istituzionale del decentramento amministrativo a fare la parte del leone, ma bensì quella politica. Un incrocio di attenzioni che radicano nelle organizzazioni sindacali, nella CGIL in particolare come nelle dirigenze e militanze politiche del PCI locali e non solo, divengono protagonisti di proposte di istituzione di aree protette a corollario dell’importante parco nazionale, questa volta sulla spinta dell’idea di costruire nuovi modelli di sviluppo locale. Alla finalità conservativa viene così ad affiancarsi quella socioeconomica ma in una accezione più complessa e integrata di quanto il filone “turistico” dei primi anni del ‘900 aveva portato avanti. Nasce l’idea di un sistema integrato a scala regionale portando avanti un’esperienza e soggetti esperti che contribuiscono a formare un cenacolo contemporaneo intellettuale sui parchi . Una risorsa che darà i suoi frutti per anni, anche a livello tecnico dell’allora Ministero dell’Ambiente.

Nel quinto contributo di questa prima parte della raccolta, sono le Alpi le protagoniste: sulla scia dell’approccio territorialista promosso dalle Regioni , le politiche delle aree protette sanno raggiungere la dimensione reticolare, abbracciando interi comparti geografici. Sono infatti 1000 i parchi alpini che coprono ben un quarto della loro superficie e la loro originalità viene sottolineata in quanto questi enti mirano ed operano per la cooperazione Transfrontaliera con iniziative di pregio internazionale riconosciute dalla stessa UE . Ma qui si tracciano e riprendono anche le vicende della nascita dei parchi nazionali che interesseranno proprio aree Alpine a partire dall’Engadina Svizzera che sarà esempio modello di stimolo per il dibattito italiano sul tema. Anche la vicenda scientifica, personale e di passione che coinvolge fortemente personalità di spicco come quella di Renzo Videsott che dall’Universita di Torino praticamente in solitaria riscatta il Gran Paradiso dall’oblio che lo stava colpendo nel dopoguerra dopo l’abbandono causato dal regime fascista. Una figura esemplare (sito web dedicato) che lascia tracce nella nascita di nuovi parchi alpini anche fuori d’Italia come la Vanoise, o nella nascita della convenzione europea per le Alpi.

La ricerca scientifica è anche tema di attenzione, per vedere come nei primi tempi i parchi vivono di rendita, dopo le tante ricerche sviluppate nei primi decenni del ‘900, per descrivere poi l’esempio di Videsott ideatore e propugnatore di una intima alleanza tra ricerca e gestione, passando quindi allo sviluppo contemporaneo tutto da ricostruire come afferma Piccioni.

La seconda parte è invece una dedica intera al Parco d’Abruzzo: un modello storico e gestionale che ha dato vita ai primi scontri per la tutela, in seguito all’assalto del turismo edilizio del dopoguerra, che ha allevato scuole di tecnici e direttori, che ha rappresentato un modello di dialogo tra economia e salvaguardia. Insomma un vero “caso” al quale Piccioni dedica una intera parte di suoi scritti, con una tale dovizia di analisi che permette di comprendere come alcune esperienze rappresentino un vero mondo concentrato di storie, passioni e impegni individuali, che fanno di queste operazioni di gestione un vero crogiuolo misto tra privato e pubblico, etica e impegno pratico: insomma scuole di vita.

I temi affrontati nella seconda parte del volume sono tanti: dalla comunicazione al turismo, al ruolo delle categorie delle figure del guardiaparco, alla gestione dell’immagine pubblica e degli archivi, sino a riprendere figure di innovatori come il professionista architetto Carmelo Bordone e della sua vicenda progettuale locale che mette in pratica la teoria di un paesaggio costruito attento all’impatto delle opere (qui un lavoro sempre di Piccioni sul tema). Un insieme di contributi che, partendo dal caso specifico, disegnano quali e quante energie e sfaccettature possano dare vita ad una reale esperienza di gestione, al di là delle leggi e delle carte bollate.

Ed infine la terza parte, che ci offre i colori del dialogo fatto di botte e risposte sui mezzi di informazione, tra l’autore è una figura importante del sistema dei parchi italiani, Enzo Valbonesi che ricoprì anche la carica di presidente di Federparchi. Qui è davvero lucida l’analisi di Piccioni che dal suo articolo apparso su Eddyburg potremmo dire riesce a smascherare e snocciolare le molteplici facce della crisi contempranea dei parchi: asfissia finanziaria, smantellamento lucido della tutela, latitanza del governo, presidenti e direttori appendici dei partiti, associazionismo diviso.  Ma lascio alla vostra curiosità in dettaglio la lettura perché solo dalla tagliente riga scritta di Piccioni e dai tentativi di ricucire un tessuto ormai strappato di Valbonesi, si può rileggere e verificare quanto affermato all’inizio di questa presentazione: lo stretto legame di dipendenza che le politiche delle aree protette hanno con il contesto socio-politico del paese in cui sorgono e dal quale non ci si può illudere vi sia una indipendenza che  garantisca una sorta di vita autonoma, nella speranza di non subirne contraccolpi e conseguenze. In merito qui la raccolta degli scritti di Luigi Piccioni su Greenreport per potersi fare una idea più complessiva del suo contributo tra ricerca e giornalismo ambientalista oltre a quelli su Eddyburg.

Pirandellianamente l’autore fa così luce nel buco del Così è (se vi pare), quell’area nera che campeggiava nella scenografia della rappresentazione scritta dal grande drammaturgo nel 1917, confermando quindi con la storia che solo in una società in cerca di speranza possono vivere parchi animati da progetti e crescita. Non siamo oggi aimè in questa fase e se si volesse lavorare per una nuova stagione dei parchi occorre partire dai segnali che la storia ci ha insegnato: un lavoro svolto dal basso con scienza, economia e cultura alleate in un unico progetto innovativo, da portare ai tavoli governativi, da cui non possiamo aspettarci nulla, perché così è stato ed è per questa materia della Natura che rappresenta il nostro futuro, orfana culturale dello Stato e da questo solo riconosciuta all’anagrafe, senza una vera e vissuta paternità che ne potrebbe davvero garantire un futuro.

Scrive per noi

IPPOLITO OSTELLINO
Ippolito Ostellino nasce a Torino il 16 agosto 1959. Nel 1987 si laurea in Scienze Naturali e opera come prime esperienze nel settore della gestione e progettazione di Giardini scientifici Alpini. Nel 1989 partecipa alla fondazione di Federparchi Italia. Autore di guide botaniche e di interpretazione naturalistica e museale, nel 1997 riceve il premio letterario Hambury con la guida ai Giardini Alpini delle Alpi occidentali. Dal 2007 al 2008 è Presidente nazionale AIDAP, Associazione italiana dei direttori dei parchi italiani. Dal 2009 partecipa come fondatore al Gruppo di esperti nazionale sulle aree protette "San Rossore". Nell'area torinese opera in diversi campi: è il promotore del progetto Corona Verde dell'area metropolitana torinese per la Regione Piemonte, e svolge attività di docenza presso il Politecnico di Torino; nel 2008 progetta il format della Biennale del Paesaggio Paesaggio Zero; nel 2009 è autore con i Prof. Pala e Occeli del progetto della ciclovia del canale Cavour ; nel 2011 ha ideato il marchio di valorizzazione territoriale “CollinaPo” sul bacino di interesse dell'area del fiume Po e delle colline torinesi e nel 2016 porta a riconoscimento UNESCO Mab il territorio di riferimento; nel 2016 coordina il tavolo Green infrastructure nel III Piano strategico dell'area metropolitana. Autore di saggi, contributi congressuali e libri sul tema Natura, Paesaggio e Ambiente, nel dicembre del 2012 è stato insignito del premio Cultori dell'Architettura da parte dell'Ordine degli Architetti della Provincia di Torino. Dal 2022 è membro effettivo del Centro di Etica ambientale di Parma e prosegue la sua attività presso l’Ente di gestione regionale del Parco del Po piemontese.