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Thailandia: risultato di una sintesi di tradizioni e culture

| Pier Luigi Cavalchini

Tempo di lettura: 6 minuti

Thailandia: risultato di una sintesi di tradizioni e culture

La grande Thailandia è un vasto mosaico di etnie con tradizioni, lingue ed abitudini proprie, unite da una forte identità “Thai”. Tra queste, operosi cinesi, popoli delle foreste e dell’acqua e gruppi tribali presenti in molte leggende dell’Oceano Indiano, ripresi anche dal nostro Emilio Salgari ne La Perla di Labuan”

Pier Luigi Cavalchini

 

Siamo al terzo appuntamento con la realtà thailandese, in vista del WEEC 2019 che si terrà in autunno a Bangkok. Questa puntata a tenere banco saranno le popolazioni, i vari gruppi etnici, con tradizioni, lingue ed abitudini proprie. Un mosaico che cominciò a definirsi fin dal 1300, praticamente agli albori della storia del “Paese del Loto”. Infatti, quando furono fissate le attuali linee di confine ci si trovò di fronte ad un vero e proprio puzzle, molto più rilevabile sette ottocento anni fa, di quanto non lo sia oggi.

D’ altra parte, siamo di fronte ad una diversità etnica tipica anche di altre nazioni del Sud Est Asiatico, risultato soprattutto delle migrazioni, anche stagionali, di gruppi tribali con caratteri sempre particolari e riconoscibili. Di seguito, proveremo a conoscere meglio la situazione…

Oggi, in particolare a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la maggioranza della popolazione si sente “Thai”, con un radicamento progressivo che risale agli inizi del “Reame del Paese del Loto”, quindi al XIII secolo.

 

Minoranze ben riconoscibili

 

Ci sono però diversi gruppi “non Thai” che costituiscono minoranze ben riconoscibili. La più grande comunità non parlante il thai ufficiale è quella “Malay”. Vi sono, poi, gruppi sostanzialmente ancora tribali che si rifanno ad abitudini e a modalità linguistiche mon, khmer ed altre più o meno incrociate e legate alla famiglia linguistica austroasiatica. Questa varietà è presente soprattutto nelle zone ovest e nord, cioè al confine con il Myanmar e con la Cina.  É utile ricordare anche come il grande e ospitale territorio tailandese abbia registrato negli anni numerose presenze straniere, esito di migrazioni forzate da Cina (a partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo), Cambogia e Laos (soprattutto dagli anni Settanta). Questi “nuovi” cittadini normalmente vengono assimilati in fretta e parlano più o meno fluentemente il thai, lasciando il cinese o il khmer per l’ambito familiare. Tra l’altro, le percentuali sono aumentate nel tempo, passando da poco più del 75 per cento di parlanti thai agli inizi degli anni Sessanta (dati UNESCO) agli attuali 92 per cento, con un 4 per cento di parlanti cinese (scelta dichiarata in occasione del Censimento 2015) e il restante 4 per cento suddiviso fra le etnie minori.

Il gruppo principale Thai, lo ricordiamo, non è autoctono. Pare sia arrivato tra il 600 e l’800 d. C. dalla zona di confine tra la Cina del sud e l’attuale Vietnam, portando con sé alcune rimanenze linguistiche e culturali, ad esempio nell’abbigliamento e nella cucina, che ne tradiscono questa lontana origine. Esso trovò, in quella che sarà poi la Thailandia, un insieme di popoli di etnia “Mon” e “Khmer” con cui iniziò una lunga competizione per territorio e risorse. Tra l’altro, buona parte della cultura, in senso antropologico, di Mon e Khmer ha radici nel subcontinente indiano ed ha molte somiglianze con lingua e abitudini della vicina Birmania (attuale Myanmar). Sostanzialmente, ciò che avvenne a partire dal tredicesimo secolo fu una sorta di lenta metamorfosi che vide i vincenti Thai in armi mescolarsi con le tradizioni buddiste di Mon e Khmer, fino a formare quella che è oggi l’“identità thai”.

 

Da cacciatori a ammaestratori di elefanti

 

Le restanti minoranze sono quelle dei “Lao” a nord est, giunti dal Laos in innumerevoli momenti storici e i “Kammüang” all’estremo nord del Paese, strettamente legati all’area di influenza cinese.

Interessanti le attribuzioni di alcuni di questi popoli, vere comunità autonome all’interno dell’universo Thai. Per esempio, i “Kuy” (appartenenti ai Mon-Khmer) definiti “Suai” dai thailandesi, sono conosciuti come “cacciatori di elefanti”, molto probabilmente per aver svolto questa attività in diverse epoche. Ora la caccia all’elefante è, per fortuna, fortemente avversata e gli stessi Kuy sono considerati degli ottimi ammaestratori e conduttori di pachidermi, anche nei lavori (leggeri) a cui talvolta vengono destinati.

Sempre in quel 4 per cento a cui si faceva riferimento prima, rientrano le piccole minoranze del nord dei “Lawa” e dei “Lua” collegati all’etnia Mon. In loro è c facile trovare contatti con le parole, il cibo e le consuetudini tipiche dei vicini birmani a cui sono legati per la comune evidente origine. Il Buddismo (*) è un altro tratto costitutivo dell’identità Mon-Khmer, così come l’abitudine a costruire case quasi interamente in legno; vere opere d’arte che hanno il bambù come intelaiatura di base, varietà di tek per le coperture e amache e altre suppellettili in foglia di palma. Uno spettacolo per gli appassionati di architettura naturale.

Anche se tendono ormai ad una integrazione completa, sono numerosi anche i cinesi, ben inseriti nel tessuto Thai. Oggi circa un decimo della popolazione complessiva vanta antenati cinesi, mentre a metà XIX secolo si aveva addirittura un quarto della popolazione in qualche modo collegata alla madre patria cinese. Questa operosa e organizzata minoranza fu più volte oggetto di emarginazione arrivando anche ad essere interessata da “pulizia etnica”, con trasferimenti forzati e, a volte, pressioni al limite della coercizione.

Con la “rivoluzione cinese”, però, tutto cambiò. La Thailandia divenne uno dei principali e più accoglienti luoghi per i milioni di cinesi in fuga dal regime maoista e la loro forte presenza in tutte le principali città ha contribuito fortemente allo sviluppo del Paese.

 

Popoli delle foreste e popoli del mare

 

Altra minoranza di estremo interesse è quella “Malays”, rimasta praticamente autonoma fino al XVIII secolo; di religione islamica prevalentemente, presente nel sud e sulle isole. Fino agli anni Ottanta dello scorso secolo gli appartenenti a tale minoranza erano considerati dai Thai maggioritari “popoli delle foreste” ed erano conosciuti per i loro gruppi tribali molto organizzati e talvolta bellicosi. Fra questi ci sono anche i “Karen”, i “Mong” e gli “Akha” presenti in molte leggende dell’Oceano Indiano, ripresi anche dal nostro Salgari nella “Perla di Labuan”.

Nel XX secolo c’è stata una graduale e continua assimilazione di questi popoli delle acque (soprattutto del mare), con una leggera regressione del credo islamico, qualche timido ritorno al buddismo e al cristianesimo. Un tempo erano fra i principali coltivatori e produttori di papavero da oppio e di altre sostanze utili per confezionare unguenti, polveri psicotrope e semilavorati del legno. Tali attività sono ancora in uso, seppure in modo minore, gestite in totale contrasto con le leggi notoriamente molto severe, specie in materia di droghe. Si tratta di comunità abituate a vivere in condizioni difficili con buone capacità di adattamento, continuamente in conflitto con i nuovi arrivati dagli esodi causati dalle guerre in Indocina e in Myanmar.

 

Quattro grandi famiglie linguistiche

 

La maggior parte delle lingue e degli innumerevoli dialetti parlati in Thailandia appartengono a quattro grandi famiglie linguistiche: thai collegata ai “Thai-Kadai languages” delle catene montuose cinesi del sud, la sottofamiglia austroasiatica delle lingue mon-khmer, l’austronesiano e il sino-tibetano. Ovviamente trova buon gioco la lingua inglese che fa un po’ da ponte fra i diversi gruppi linguistici (oltre al thai, ormai parlato da tutti) e soprattutto come chiave di apertura verso il mondo. Ciò, sia perché i thailandesi sono, con gli indiani, fra i più abituati a vivere fuori dal loro territorio sia per l’intensa attività turistica e commerciale che tocca direttamente città, isole e montagne del territorio thailandese.

Come risulta dal quadro precedente, siamo di fronte ad una situazione fortemente variegata, frutto di sovrapposizione e mescolanze che si perdono nella notte dei tempi. La stessa origine dell’etnia oggi dominante – quella Thai – come si è visto, è ancora oggetto di dibattito. Alcuni antropologi locali, per esempio, insistono per una sostanziale preesistenza thai al periodo delle invasioni khmer.

Molto presente anche l’influenza culturale indiana, con abitudini, scelte dei cibi, modalità di matrimonio e sistema religioso risalente al quinto secolo della nostra era: un’altra tessera del puzzle, già complesso, che va a disegnare una realtà in perenne evoluzione e cambiamento. Anche in questo caso, comunque, si è assistito col tempo ad una perfetta integrazione nel tessuto thai.

Si può perciò affermare che la cultura thai, nella sua particolare capacità di sintesi di più stili e abitudini, ha cominciato ad affermarsi nel bacino del Chao Phraya (quindi nell’area centrale) fondandosi su due elementi principali: l’identità linguistica e la religione. Da questa zona iniziò una unificazione fondata sull’imposizione del thai come lingua ufficiale e della religione buddista nella sua forma “Therawada”, di cui tratteremo nel prossimo intervento. Anche nella modalità religiosa di buddismo scelta si compenetrano più tradizioni e, addirittura, trovano posto concezioni e pratiche tipicamente animistiche, retaggio della religione autoctona locale. Per esempio “il culto dei geni, degli antenati” è un chiaro segno di legame all’animismo di origine.

Non è una scoperta, d’altronde, il fatto che il popolo sia profondamente superstizioso e legato a modi di dire, formule e amuleti che risalgono almeno al XIII secolo. Fu in questo periodo che il primo regnante dei Thai, Sonsan Sukhotai, si liberò del giogo del popolo Khmer che da Angkor Vat – nell’attuale Cambogia centrale – comandava questo territorio fino alla Birmania. Nel giro di cento anni dal periodo di regno di Sukhotai, si perfezionò l’alfabeto (di chiara derivazione khmer), si incentivò il più possibile l’uso di una lingua unitaria e, soprattutto, furono penalizzati (se non spazzati via) tutti quei fenomeni di dubbia superstizione e di culti non autorizzati a vantaggio del Buddismo Therawada. Tale impostazione non fu modificata dal nuovo regno thai di Ayuttaya e si protrasse praticamente invariata nella sua struttura fino alla fine del Settecento quando i Thai dovettero subire, seppure per pochi anni, prima l’invasione e poi il regno birmano. Subito dopo prese il potere il gruppo tribale allargato (definirlo famiglia è troppo poco) dei “Chakkri”, che, di fatto, con la dinastia Rattanakosin governa ancora oggi. Interessante notare, sempre da un punto di vista etnico, che i vari sovrani non ebbero remore a sposare dignitari delle etnie minoritarie, Khmer e Mon. Anzi, proprio grazie a tali matrimoni riuscirono a rendere più salda l’alleanza fra i diversi gruppi, favorendo sempre e comunque l’affermazione dei tre capisaldi thai: lingua, tradizioni, religione.

E proprio della religione, anzi delle complesse pratiche religiose sparse per tutto il Paese del Loto, tratteremo a breve.

 

Scrive per noi

Pier Luigi Cavalchini
Pier Luigi Cavalchini
Pier Luigi Cavalchini è docente di lettere al Liceo, membro del direttivo nazionale FIMA, delegato per il nordovest di Docenti Senza Frontiere, membro di Pro Natura regionale e direttore del giornale online Città Futura, collabora con varie riviste tra cui “.eco”.