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Made in Fukushima: il libro che trasforma la scienza ambientale in qualcosa di tangibile

| Arianna Cislacchi

Tempo di lettura: 4 minuti

Made in Fukushima: il libro che trasforma la scienza ambientale in qualcosa di tangibile

A Fukushima, un team di scienziati ha studiato un metodo di decontaminazione sostenibile per risollevare le sorti dei terreni: per aiutare le persone a riacquistare fiducia nelle coltivazioni locali

Parlare di decontaminazione evoca inevitabilmente qualcosa di spiacevole: se c’è necessità di decontaminare significa che un “intruso” sta danneggiando uno specifico ambiente.  Il nostro compito dunque, è quello di agire per il bene del territorio, bloccando il processo di contaminazione attraverso sistemi efficaci e depurativi.

Nel corso degli anni abbiamo assistito a diversi casi, legati soprattutto all’ecosistema e alcuni di questi, seppur risolti, sono rimasti impressi dentro di noi. Pensiamo al disastro di Chernobyl nell’aprile del 1986: chiunque, da ogni parte del mondo, è rimasto profondamente colpito dalla catastrofe nucleare avvenuta in Unione Sovietica. L’evento causò numerose vittime e, secondo dati aggiornati, fu registrato un inquietante aumento delle malattie tumorali attribuibile alla dispersione delle radiazioni nell’aria e lungo il territorio. Nello stesso tragico abbraccio, a distanza di anni, è avvenuto un altro tipo di incidente molto simile che vorrei menzionare, perché è proprio da lì che nasce l’idea del “Made in Fukushima”.

Nel lontano, ma non lontanissimo 2011, uno dei terremoti più potenti mai registrati nella storia mondiale colpì il Giappone con una spaventosa magnitudo di 9.0; il sisma provocò uno tsunami con onde anomale alte dieci metri che viaggiavano a 750 km/h (e i dati ci informano che su una costa in particolare si registrò il record di un’onda alta quasi quaranta metri abbattutasi vicino alla città di Miyaco). La stima dei danni e delle vittime rilevati fu impressionante, e tra i tanti edifici colpiti, la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi si trovò al centro di un nuovo disastro; a seguito dell’impatto, i sistemi di raffreddamento andarono in tilt e le successive esplosioni rilasciarono grandi quantità di materiale radioattivo, materiale che contaminò 25.000 ettari di terreni agricoli, molti dei quali dedicati alla coltivazione di riso.

Subito dopo la catastrofe, venne avviata un’attività di decontaminazione per tutti i campi colpiti, ma il sistema riscontrò non pochi ostacoli: il metodo utilizzato non era sufficiente a rimuovere le enormi quantità di scorie radioattive, che anzi continuavano a persistere nel terreno, rendendo impossibile l’agricoltura.

La speranza rinasce nel campo

Poi finalmente, fu escogitato un sistema più efficace che prosegue tuttora grazie agli studi di un gruppo di scienziati ambientali guidati dal dottor Masaru Mizoguchi dell’Università di Tokyo e al supporto di alcuni agricoltori locali e della Meter Group (una multinazionale che sviluppa strumenti scientifici e sensori per l’agricoltura e l’industria alimentare). Ci sono voluti diversi anni e moltissimi test, ma alla fine il team è riuscito a perfezionare il metodo di decontaminazione rendendolo sostenibile e in grado di preservare il suolo fertile, consentendo così ai produttori di coltivare nuovamente riso seguendo parametri semplici e privi di rischi per la salute. Nonostante le rassicurazioni però, la popolazione locale non si è fidata ad acquistare il prodotto, perché la paura a volte è molto più forte di un risultato scientifico.

Per questa ragione, entra in scena il “Made in Fukushima”, un libro illustrato dedicato alla storia dei campi decontaminati che raccoglie design, tradizione e scienza, per dimostrare ai più timorosi, che non c’è nulla da temere (digitando il seguente link www.madeinfukushima.com avrete modo di conoscere più da vicino il progetto). L’idea è nata dalla Serviceplan Group, un’agenzia internazionale leader nel mercato dello sviluppo e della comunicazione integrata che oltre al concept, si è occupata di dirigere la parte creativa; gli aiuti sono giunti anche dallo studio tedesco di design digitale di Moby Digg – pluripremiato per i suoi progetti concettuali e visivi versatili – che ha pensato alla grafica del libro, e dalla splendida fotografia di Nick Frank, fotografo professionista classe 1975 nato a Monaco di Baviera. L’efficacia di questo progetto sta proprio nell’unione di una squadra multifunzionale che ha saputo unire e valorizzare alla perfezione testimonianze, dati scientifici,  interviste, fotografie e infografiche. E non è tutto: le pagine del libro non sono fatte di una carta qualunque. La carta prodotta è composta da paglia di riso, riso che proviene proprio dai terreni decontaminati. La meravigliosa lavorazione è stata svolta dalla cartiera Gmund Papier, nel Sud della Baviera. Il libro sarà presto acquistabile sul sito segnalato qualche riga sopra, disponibile in due lingue – giapponese e inglese.

La ripresa positiva della coltivazione ha permesso a chi si era ritrovato in ginocchio dopo la catastrofe del 2011, di rimettersi in gioco. In particolare riporto una breve e toccante storia avvenuta a Namie, nella prefettura di Fukushima: questa è stata una delle tante zone dove la produzione di riso è ripartita più forte che mai, e proprio qui un tempo un mastro distillatore Daisuke Suzuki – perse tutto a causa dello tsunami. Daisuke, dopo aver visto finalmente la luce nella svolta agricola, ha deciso di riprendere la produzione di Sakè nella prefettura di Yamagata, in attesa di potersi trasferire di nuovo nella sua amata Namie. Con il riavvio della distillazione il mastro è tornato a rifornirsi dai produttori di riso di Fukushima (e che distillazione! Parliamo di un metodo che risale alle antiche tradizioni del periodo Edo, fase storica del Giappone di inizio ‘600).

Queste sono storie di cui abbiamo bisogno: storie di rivalsa che insegnano a non arrendersi mai, anche quando tutto sembra perduto.

Scrive per noi

Arianna Cislacchi