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Cambiamento culturale, complessità, etica. Le lezione delle foreste

| MARIO SALOMONE

Tempo di lettura: 3 minuti

Cambiamento culturale, complessità, etica. Le lezione delle foreste

Alla conferenza internazionale “The forest factor” una visione ha accomunato continenti, discipline e ruoli diversi: quella dell’urgenza di un cambiamento culturale “trasformativo” e di un’azione comune.

Chi si sia perso la conferenza internazionale “The forest factor” (Roma, 6-7 giugno 2023) può intanto rivederla su YouTube (prima giornata e seconda giornata). Ma sui temi e le riflessioni che la conferenza ha suggerito ci sarà da ritornare a lungo, perché l’evento è di quelli che si spera lascino il segno.

Indubbiamente per la ricchezza di contributi e la grande varietà di provenienze (geografiche, disciplinari, di ruoli sociali e istituzionali), ma anche e soprattutto perché in tutti gli interventi, o quasi, è emerso con forza l’invito a un cambiamento culturale.

Il ruolo delle foreste per frenare almeno in parte la catastrofe climatica incombente (senza di loro staremmo molto peggio) è stato documentato con abbondanza di dati completi e aggiornati. Va da sé che ciò che accade alle foreste ha implicazioni per tutto il pianeta e che ciò che accade nel resto del pianeta colpisce e ferisce anche le foreste. Così come si è parlato del loro ruolo indispensabile per assicurare la vita di miliardi di persone (tra cui, ovviamente, i popoli indigeni che vi vivono) e custodire un tesoro di diversità biologica.

Una svolta di pensiero

Il senso profondo e l’importanza della conferenza risaltano con ancor più chiarezza grazie alla capacità di tutti i tanti intervenuti di parlare la stessa “lingua” (inter e transdisciplinarità hanno contraddistinto tutti i relatori e i partecipanti alle tavole rotonde) e di invocare in coro un cambiamento culturale.

Questo cambiamento si fonda, oltre che sull’inter e trans-disciplinarità, su una serie di svolte:

– da una tradizione scientifica che mirava soprattutto alla “terraformazione” (copyright Amitav Ghosh) e alla gestione “efficiente” delle foreste per assicurarne la “produttività” a un approccio che ne rispetta le dinamiche spontanee che lungi dal tradursi in fissità, seguono tempi e processi lontani e diversi dall’azione perturbatrice umana;

– la presenza umana ovviamente c’è, ma non quella omologante ed estrattivista del profitto e dello sfruttamento, ma quella, discreta e sapiente di popoli che vi si sono adattati e sono co-evoluti con le foreste: ciò produce una sterminata diversità bio-culturale, perché non c’è un luogo sulla Terra in cui non si sia sviluppata una specifica interazione con propri caratteri originali;

– le visione delle foreste come mondi complessi fatti di una infinità di organismi non solo vegetali: funghi, batteri, insetti, rettili, uccelli, mammiferi piccoli e grandi convivono e interagiscono indissolubilmente con il mondo vegetale formando un tutt’uno biodiverso.

Una nuova cultura contro i killer di futuro

Dai principi precedenti scaturiscono altri elementi fondamentali di una nuova cultura della foresta che, come si è visto, non si ferma al suo limitare, ma investe sia gli altri ambienti terrestri e marini di cui le foreste sono una componente fondamentale, sia l’intero paradigma culturale in gioco: il paradigma ecologico (di ampio respiro e di lunga visione) contro il paradigma dominante, economicistico e predatorio (riduzionistico, di corto respiro, nemico della pace e killer di futuro). Dunque, se ne ricava che:

  1. L’oggetto della ricerca, delle scelte e dell’azione (come aveva capito già Haeckel nel XIX secolo e come fanno tutti quelli che oggi si occupano seriamente di Antropocene) sono le relazioni: relazioni ecologiche, ma anche di linguaggi, di segni, di significati. Queste relazioni non sono prerogativa dei sapiens, ma attraversano tutti i mondi del vivente.
  2. Oltre a una ecologia delle foreste, è necessaria un’etica delle foreste. Non siamo i proprietari della Terra e pertanto nemmeno delle foreste.

La tutela dell’ambente e della biodiversità: un dovere di tutta la Repubblica

  1. Una svolta nelle politiche forestali (strettamente connesse a quelle per la protezione della diversità biologica e – come si è appena visto – della diversità bio-culturale) richiede un impegno corale di istituzioni, organizzazioni della società civile e cittadini: un impegno comune che è sia verticale sia orizzontale. L’iniziativa del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari (CUFAA) dell’Arma dei Carabinieri, grazie all’autorevolezza e professionalità di un corpo dello Stato e alle competenze e alla passione del Raggruppamento Biodiversità che della Conferenza di Roma è stato il motore, ha potuto innescare un confronto che va in questa direzione.
  2. Infine, grazie anche all’intervento di Marcello Cecchetti (costituzionalista dell’Università di Sassari) a commento delle modifiche apportate alla Costituzione della Repubblica italiana in materia ambientale si è avuta la chiara comprensione che quando si incidono nella Carta fondamentale di uno stato parole come “La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni” ciò significa che talee compito non è affidato solo a “”qualcuno”. Tutte, e ribadiamo tutte, le istituzioni e le articolazioni dello Stato sono impegnate in tale compito, posto tra i principi fondamentali. E tali principi dovrebbero valere, si spera, per qualunque stato e non solo per l’Italia.

Scrive per noi

MARIO SALOMONE
MARIO SALOMONE
Sociologo dell'ambiente, giornalista e scrittore, Mario Salomone dirige ".eco" dalla fondazione (1989), è autore di saggi, romanzi e racconti e di numerosi articoli su quotidiani e riviste. Già professore aggregato all'Università di Bergamo, è Segretario generale della rete mondiale di educazione ambientale WEEC, che realizza ogni due anni i congressi del settore.