Tratto comune a molte opere viste ad Artissima 2019 è l’utilizzo di materiali solitamente destinati alla discarica, ma richiamati in vita proprio dal non volere insistere sulla loro destinazione originaria, ormai obsoleta, ma nel trasformarli in parole di un linguaggio visuale che fonde elementi etnici e culturali.
Ad Artissima 2019 (l’importante mostra d’arte che si tiene ogni anno a Torino) si è visto il legame con una massiccia produzione artistica proveniente da tutto il mondo che fa della passerella dell’arte contemporanea la voce critica del mondo di oggi.
Ed ecco che, come un sipario sul niente, si apre l’Espacio minimo di Liliana Porter, con una sorta di crumbled paper che sembra aprirsi su uno spazio vuoto
O ecco che un ponte di mattoni porta dal niente al niente nell’opera di P. I. Artnosky.
Oppure Claire Potter – che è un “loro”, una ‘realtà collettiva’ che si esprime in colori psichedelici (A plus a Venezia): il reale trascolora dall’essere nel poter essere. Anne Sophie Beyer delinea un divano chiuso da tutti i lati.
Una sequenza di quadri bianchi di Waqas Khan (Pakistan) sembra alludere a un futuro incerto, tutto da costruire. Opera astratta, fatta di punti e di linee, come ritmate dalla respirazione; un lavoro organico, naturale, da contemplare, da meditare, per dare voce al silenzio.
Un forte senso del sociale
Le immagini di Ruben Valentin (Brasile) ci trasportano nell’atmosfera del Kandinsky dello Spirituale nell’arte. In particolare, Emblema; come scrive l’autore “Creando i miei segni-simboli cerco di trasformare in linguaggio visuale il mondo incantato, magico, probabilmente mistico che fluisce continuamente dentro di me.” (Ruben Valentin, São Paulo, 2019, p. 3) Il sostrato viene dalla terra, da Bahia, terra di fusione di elementi etnici e culturali europei, africani, amerindi. “Linguaggio plurisensoriale: il sentire brasiliano”. Ma anche un linguaggio universale: così “l’arte è un prodotto poetico la cui esistenza sfida il tempo e per questo libera l’uomo.”
Da Claire Potter, che si definisce un “loro”, abbiamo una nuova ricerca materica che rifunzionalizza il disegno a nuove percezioni dello spazio. Un forte senso del sociale esprime il bisogno di riutilizzare e di dare nuova vita a vecchi materiali obsoleti, di dare nuove forme a ciò che è invecchiato.
Infine Darren Bader ci guida a uno spazio di irrealtà… reale come nella composizione della silhouette della penisola italica fatta da oggetti usati e collocati secondo una funzionalità assolutamente stravagante: l’oggetto desituato dal proprio contesto diventa segno ed è utilizzato per delineare forme del tutto estranee alla sua originaria destinazione.
Tratto comune alle opere qui richiamate è l’utilizzo di materiali solitamente destinati alla discarica, ma richiamati in vita proprio dal non volere insistere sulla loro destinazione originaria, ormai obsoleta, ma nel trasformarli in parole di un linguaggio visuale che fonde elementi etnici e culturali. Accanto alla Street Art, ancora una volta, la poiesi afferma il primato dell’estetico sul funzionale, del sogno sulla realtà. E, forse, del progetto sullo status quo. Come ha scritto Marcuse: “L’arte sovverte la coscienza dominante, l’esperienza comune.”
Tiziana C. Carena, insegnante di Filosofia, Scienze umane, Psicologia generale e Comunicazione, Master di primo livello in Didattica e psicopedagogia degli allievi con disturbi dello spettro autistico, Perfezionamento in Criminalistica medico-legale. È iscritta dal 1993 all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si occupa di argomenti a carattere sociologico. Ha pubblicato per Mimesis, Aracne, Giuffrè, Hasta Edizioni, Brenner, Accademia dei Lincei, Claudiana.