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Per una alleanza tra Intelligenza artificiale e Intelligenza di Gaia?

| IPPOLITO OSTELLINO

Tempo di lettura: 7 minuti

Per una alleanza tra Intelligenza artificiale e Intelligenza di Gaia?

Una occasione interessante per parlare dei rapporti tra AI, pensiero ecologico e la dimensione biofilica del nostro esistere – in occasione dell’avvio dell’Istituto Nazionale per l’AI che verrà insediato a Torino nel cuore delle Riserva della Biosfera CollinaPo – e per riflettere sul nostro rapporto e sulla natura dei “limiti” interni ed esterni all’individuo umano.

La crisi ecologica contemporanea é il risultato dell’allontanarsi della società umana dagli equilibri naturali. Ecosistemi distrutti, inquinamenti diffusi, scomparsa esponenziale di specie, utilizzo di combustibili fossili che hanno alterato lo schermo protettivo dell’atmosfera. Un modello economico che ha utilizzato la tecnologia per produrre quantità impressionanti di beni che anche con il loro stesso e solo esistere, senza contabilizzare i loro effetti nell’ambiente, rappresentato una massa di rifiuti di complessa gestione, sino ad essere dispersi senza logica per terre e oceani. E questi sono purtroppo dati di fatto, ripresi e contestualizzati magistralmente dall’enciclica di Papa Francesco Laudato si, che ha contribuito a sancirne il significato non solo ambientale ma anche sociale e delle diseguaglianze.

L’arroganza della mancanza di rispetto e l’ignoranza della conoscenza dei rapporti profondi che legano la nostra comunità umana sul pianeta con le nostre origini naturali, hanno incrinato rapporti che sono il risultato di quasi 4 miliardi di anni di evoluzione della vita sul Pianeta. Se vogliamo, il principio di Gaia – che interpreta la vita sul pianeta un complesso sistema integrato fondato su una rete di informazioni unitarie fondato dal biologo James Lovelock – rappresenta un modo per comprendere la nostra esistenza molto affasciante. Si potrebbe considerare che le recenti ricerche del noto biologo italiano Stefano Mancuso sulla neurofisiologia delle piante, vada nella direzione di comprendere come è fatta e di cosa si compone questa immensa rete vivente, connessa e probabilmente pensante: una efficiente “noosfera” biologica che ricomprende tutte le forme della materia, comprese quelle minerali.

In questo contesto è ormai diffusa una forte attenzione e impegno verso una nuova forma organizzativa “tecnologica” che coniuga ingegneria, tecnologie avanzate e logica cibernetica, l’intelligenza artificiale, una nuova frontiera di azione nella gestione del rapporto uomo-ambiente esterno, che in se proietta ancora di più l’esistere umano lontano dai suoi originari strumenti di vita, esaltando l’autonomia del fare umano dalle sue radici ecologiche naturali.

Un tema che nel territorio di una delle Riserve della Biosfera italiane, quella di CollinaPo, è di grande attualità vista la decisione presa mesi fa dal Governo italiano di insediarvi il “Istituto per l’Intelligenza artificiale”, che dovrebbe nascere nel Comune di Torino, l’amministrazione più grande della Riserva della biosfera tra il Po e la Collina torinese nata nel 2016, ormai 5 anni fa.

L’azione governativa viene da una iniziativa locale davvero interessante che coniuga etica, religione e responsabilità, specie verso i giovani, e che ha le sue radici nell’Arcidiocesi di Torino e nella determinata azione innovativa avviata ed animata da Don Luca Peyron.

Infatti in seguito alla pubblicazione del MISE della Strategia italiana per l’Intelligenza Artificiale, l’Arcidiocesi di Torino, attraverso il progetto attivato di grande innovazione denominato Servizio per l’Apostolato Digitale e con il sostegno dei principali stakeholder industriali, istituzionali e accademici locali, ha lanciato la candidatura per portare a Torino l’I3A (Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale).(Vedasi altri materiali qui.)

In occasione di tale progetto sul torinese che sta sviluppando i suoi primi passi, occorre porsi diverse domande etiche e di approfondimento, anche in relazione alla continua, ed avviata da anni, diffusione dei sistemi dell’AI nella nostra vita di tutti i giorni, riflettendo in un territorio che UNESCO ha eletto anche nel 2016 a luogo di eccellenza nella gestione dei rapporti uomo-natura, inserendolo nel Programma mondiale Man and Biosphere. Proprio grazie a questa originale coincidenza di attori presenti sul territorio ne scaturisce un potenzialmente ricco confronto e spazio di evoluzione.

Una delle domande che può sorgere riguarda il rapporto tra AI e l’intelligenza di Gaia: il complesso insieme di reti del vivente che compongono il puzzle dei sistemi del Pianeta – che includono pacchetti di informazioni che sottendono la geosfera, l’atmosfera, l’idrosfera e la biosfera – che tipo di impatto può avere con un sistema di pensiero umano che sviluppa una forma molto evoluta di “infosfera”? Una forma evoluta a tal punto da rappresentare un complesso logico tendente all’autonomia, a costituire una nuova specie ibrida tra umano e artificiale? Può esistere un rapporto cooperativo, ma basato su quali presupposti? O prevarrà la tentazione di utilizzare l’AI per aumentare ancora il divario tra Terra e Umani.

La tendenza di alcuni di cadere nella “condanna dell’artificiale”, in una forma di luddismo che demonizzi l’AI come la nuova macchina verso la quale scagliarsi per salvare la vera natura umana, non rappresenta certo la strada da seguire: pensare di opporsi ad un fenomeno culturale, etico ed industriale che ormai ha invaso moltissime sfere della nostra vita quotidiana, è semplicemente una battaglia persa. Una constatazione questa non per una intima arresa alla forza invasiva economico, finanziaria e tecnologica che sostiene l’avanzata dell’AI nella nostra società, ma bensì per altre ragioni.

La capacità umana di costruire strumenti che permettano la sua azione nello spazio e nel tempo è infatti una prerogativa “naturale” della nostra specie, in quanto fattore evolutivo molto più sviluppato che in altre, dove elementi cognitivi e fattori biologici si sono uniti (vedasi la lucida visione che in proposito l’antropologo Leroi-Gourhan ha descritto nel suo saggio “Il gesto e la parola”) nel dare vita ad un specie capace di intervenire con particolare capacità nel modificare l’ambiente in cui vive (un campo questo non esclusivo della nostra specie come ha ben descritto da anni la disciplina della sociobiologia fondata da E.O. Wilson).

Ecco che allora non si deve rifiutare la nuova dimensione dell’intelligenza artificiale (o della dimensione dell’intelligenza elettronica che sempre Lovelock ha delineato nel suo ultimo saggio Novacene) perché essa è il proseguimento dell’agire della specie Umana sul pianeta che può continuare, ma recuperando tuttavia in modo più concreto e profondo, la ragione e l’attenzione al reciproco rispetto tra sfera naturale ed artificiale: muoversi con rispetto e non con arroganza, come invece fatto complessivamente sino ad ora nello sviluppo dell’era illuministica tra ‘700 e ‘900.

Se non si abbandona il vecchio modello del dominio, la tendenza sarà quella di una esponenziale azione di affrancamento volontario dell’uomo dalle sue origini, con risultati e conseguenze che la migliore letteratura fantascientifica ha saputo ben descrivere.  Il pericolo di proseguire, con questo strumento, secondo l’atteggiamento arrogante e dissociato tra pianeta e società umana che ha contraddistinto dall’avvio della rivoluzione industriale ad oggi l’operato delle società umane sul pianeta, è certo e presente.

Il confronto “sull’umano” e sulla nostra essenza è sempre attuale ed è utile riprendere le parole recenti di Vito Mancuso che danno una lettura anche del confronto naturale e artificiale: “Siamo i leader incontrastati del pianeta. Perché allora siamo così sfiduciati verso noi stessi? Forse perché non sappiamo più chi siamo, cosa significa essere un essere umano? Abbiamo sviluppato e svilupperemo sempre più un’intelligenza artificiale che rende le macchine più intelligenti e più performative di noi, non solo nei calcoli e negli scacchi, dov’era prevedibile, ma persino nella creatività; la tecnologia d’altro lato renderà i nostri corpi sempre più simili a macchine con tutti i microchip che vi installeremo per inibire o potenziare una particolare prestazione: insomma, le macchine stanno diventando umane e gli umani stanno diventando macchine. Che cosa ne sarà quindi di questo umano nell’uomo? Ma prima ancora, che cosa si intende con questa bella ma oscura espressione?” .

Dunque in queste parole è presente la domanda sulla natura umana resa ancora più attuale proprio a fronte dell’emergere della dimensione “postumana” (vedasi a tal propsoito il MANIFESTO DEL POSTUMANO  di Robert Pepperell, tra le varie espressioni culturali che intorno a questo tema si affacciano) che non appare più a cavallo tra artificiale e naturale, ma entra direttamente dentro il rapporto tra uomo e macchina, perché la macchina si fa uomo e l’uomo si fa macchina.

Ora questa tendenza distopica che potrebbe portare ad una alienazione definitiva tra origini umane e suo sviluppo futuro (con il dominio completo dell’esprit arrogante) può essere contrastata sviluppando una base etica naturale, la sfera di quella dimensione che possiamo chiamare dell’ecologia intima, nella quale ricomprendere il sentimento del rispetto, visto come il mantenimento del legame con la nostra natura originaria, una radice che occorre preservare e di cui prendersene cura per affrontare con il bagaglio corretto le nuove sfide che ci attendono. Parliamo di quel senso di etica del Terra che già il grande pensatore americano Aldo Leopold scrisse nel suo “Sand County Almanac”.

E’ quella componente del nostro esistere che possiamo dire magistralmente, sempre E.O. Wilson ha definito come “biofilia”, ovvero la tesi che rileva empiricamente nell’essere umano la “tendenza innata a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali”.

Non si deve ora scorgere nel concetto di innato un tentativo di ricondurre la nostra essenza ad una sorta di vincolo evolutivo: al contrario si tratta di comprendere con responsabilità che il nostro algoritmo interno risponde ad un logica “naturale” e che ogni nostro sforzo di scollamento repentino da questa dimensione rischia di trasformarsi in un vero e proprio strappo. Una rottura, con conseguenze non prevedibili ma di certo non positive.

E cosa testimonia la negatività di queste conseguenze? Bene, non solo lo stato in cui siamo stati capaci di ridurre il nostro pianeta, ma anche le conseguenze sulla nostra salute mentale e fisica: il continuo affrancamento dai modello di vita naturali hanno causato l’esplosione di sindromi e malattie che hanno trasformato la società sviluppata in una gigantesca fucina di malati, come la stessa Pandemia del 2020 testimonia. Un uomo tecnologizzato, ma malato, nel corpo ed anche nello spirito.

Intendiamo dire che non può esserci intelligenza artificiale in equilibrio con il suo percorso etico-culturale, se non sorretta da una forte connessione tra la dimensione culturale dell’umano – che la regola, progetta e controlla e le sue radici e visioni che lo legano alla radice della vita. La cultura ecologica e l’etica della natura devono così far parte integrante del percorso di coscienza di coloro che si fanno interpreti dell’ideazione dei sistemi dell’IA e che progetteranno la sua “evoluzione”, ma soprattutto di coloro, i cittadini, che avranno la possibilità/compito di controllarne l’utilizzo.

Un percorso formativo di etica della natura deve quindi far parte di questa avventura, nel quale anche i fattori del contatto con la natura, che hanno anche forme e pratiche quali il Bagno in Foresta di origine giapponese e tante altre pratiche esperte esistenti (a partire dall’Outdoor education), sono altrettanti metodi e strumenti per tenere insieme armoniosamente naturale e artificiale, l’umano di oggi capace di unire il ieri con il suo futuro. Occorre evitare di tradire le nostre radici biofiliche, pena il perdere l’ennesima occasione che abbiamo di unire progresso e etica.

Pensare di più pertanto alla nostra sfera naturale anche personale ed a valorizzare il rapporto tra noi e l’ambiente naturale, può essere anche visto come un percorso d’esplorazione dell’uomo che invece di continuare a ricercare limiti esterni fuori di se, cosa che lo ha anche portato ad arrecare molti danni all’ambiente, dovrebbe riprendere a cercare di confrontarsi con i suoi limiti interni: un viaggio questo che a differenza del primo non ha confini, e che le civiltà antiche avevano saggiamente già intrapreso e ed è quindi forse nuovo coltivare.

Il confronto tra cultura tecnologica e cultura naturale, costituisce una occasione davvero unica ed originale di elaborazione specie e proprio nel territorio del torinese, dove grazie alla iniziativa del Parco del Po torinese nel 2014, e con l’adesione di oltre 80 amministrazioni comunali, si è potuto raggiungere l’obiettivo di insediare nel suo territorio il programma di UNESCO con la Riserva della Biosfera CollinaPo: un progetto che è proprio ispirato alla ricerca delle vie di composizione pratica ed anche etica tra le istanze delle comunità umane e gli equilibri della natura. L’occasione di avviare quindi un dibattito locale sul tema etico dell’IA diventa particolarmente densa di radici culturali nelle quali possiamo trovare da un lato la tradizione di riflessione etica e religiosa, interpretata dalle tante esperienze che il mondo cattolico ha saputo generare nel territorio torinese, e dall’altro il contributo di elaborazione sul rapporto uomo-pianeta che sempre in questo ambito ha visto una lunga tradizione ispirativa filosofica e di pensiero: basti pensare al torinese Aurelio Peccei ed alla sua intensa attività legata alla pietra miliare del Club di Roma.

La posta è alta, perché forse è l’ultima occasione per noi per contribuire con la pratica e con il pensiero, all’armonia tra uomo e pianeta, mentre la vita sul pianeta continuerà a percorrere la sua strada, iniziata 4 miliardi di anni fa, in attesa di completare il suo ciclo di presenza nel nostro sistema solare nei prossimi circa 6 miliardi di anni, ovvero il tempo necessario perché il nostro sole termini di bruciare la sua riserva di idrogeno per poi spegnersi.

 

Scrive per noi

IPPOLITO OSTELLINO
Ippolito Ostellino nasce a Torino il 16 agosto 1959. Nel 1987 si laurea in Scienze Naturali e opera come prime esperienze nel settore della gestione e progettazione di Giardini scientifici Alpini. Nel 1989 partecipa alla fondazione di Federparchi Italia. Autore di guide botaniche e di interpretazione naturalistica e museale, nel 1997 riceve il premio letterario Hambury con la guida ai Giardini Alpini delle Alpi occidentali. Dal 2007 al 2008 è Presidente nazionale AIDAP, Associazione italiana dei direttori dei parchi italiani. Dal 2009 partecipa come fondatore al Gruppo di esperti nazionale sulle aree protette "San Rossore". Nell'area torinese opera in diversi campi: è il promotore del progetto Corona Verde dell'area metropolitana torinese per la Regione Piemonte, e svolge attività di docenza presso il Politecnico di Torino; nel 2008 progetta il format della Biennale del Paesaggio Paesaggio Zero; nel 2009 è autore con i Prof. Pala e Occeli del progetto della ciclovia del canale Cavour ; nel 2011 ha ideato il marchio di valorizzazione territoriale “CollinaPo” sul bacino di interesse dell'area del fiume Po e delle colline torinesi e nel 2016 porta a riconoscimento UNESCO Mab il territorio di riferimento; nel 2016 coordina il tavolo Green infrastructure nel III Piano strategico dell'area metropolitana. Autore di saggi, contributi congressuali e libri sul tema Natura, Paesaggio e Ambiente, nel dicembre del 2012 è stato insignito del premio Cultori dell'Architettura da parte dell'Ordine degli Architetti della Provincia di Torino. Dal 2022 è membro effettivo del Centro di Etica ambientale di Parma e prosegue la sua attività presso l’Ente di gestione regionale del Parco del Po piemontese.