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In vista del WEEC 2019 in Thailandia/2: la vita vegetale e animale

| Pier Luigi Cavalchini

Tempo di lettura: 4 minuti

In vista del WEEC 2019 in Thailandia/2: la vita vegetale e animale

Ciò che WEEC si accinge a celebrare in Thailandia è qualcosa di più di un semplice congresso, di un appuntamento “consueto” da vivere con sufficienza o poco più. È il luogo stesso a proporci qualcosa di speciale, qualcosa che non potrà non condizionare i lavori del simposio. La grande città di Bangkok andrà un po’ a riassumere tutta questa originalità che presentiamo sperando in una vostra curiosità e, magari, partecipazione diretta. Siamo al secondo appuntamento del viaggio in Thailandia, in attesa di quello vero, e, questa volta, proviamo ad immergerci nel mondo vegetale ed animale di quell’affascinante territorio.

Le immagini che ci mostrano foreste rigogliose, colline ricoperte di grovigli di latifoglie e liane sopra a corsi d’acqua zeppi di ninfee e nannuferi non sono molto distanti dalla realtà. La stabilizzazione del rapporto fra aree boscate e spazi destinati all’agricoltura è, però, solo di quest’ultimo decennio.

Khao Sok National Park, southern Thailand. Contunico © ZDF Enterprises GmbH, Mainz

Le leggi “thai” del 2002 e del 2006 a tutela del patrimonio boschivo oltre a quelle di tutela delle aree di maggior pregio, hanno permesso il rallentamento di un processo di progressiva eliminazione della componente forestale. Ad inizio 1900 ben il 70% del territorio thailandese era ricoperto di foreste, sia latifoglie che aghifoglie, con alberi pregiati di mogano, vari tipi di noce, querce e faggi, oltre a diversi tipi di pini. Progressivamente questo “polmone verde” naturale è diminuito fino ad arrivare ad uno striminzito 25% del totale intorno all’anno 2000. Da allora c’è stata una vigorosa sterzata che ha portato alla stabilizzazione attuale, con presenza “verde” consolidata, intorno al 35%del territorio. Soprattutto con molte nuove aree a tutela speciale o, in alcuni casi, integrale.
Particolarmente notevoli sono le aree di tutela del tek e degli alberi appartenenti alle Dipterocarpacee, i Lauan, i Meranti, con grandi produzioni di resina e ottimo legno. Vi sono inoltre gigantesche foreste di bambù con aste alte anche otto metri e sezioni di 25 cm di diametro. Anche queste debitamente protette o, come nel caso della Khao Sok reservation addirittura diventate una occasione di rivalutazione anche in funzione turistica e culturale. Stesso discorso vale per i grandi appezzamenti di loto e delle tre varietà di ninfee presenti, tutte ben tutelate e seguite da appositi nuclei di volontari e “green policemen”.

Cresciuta la tutela degli animali, oltre che delle foreste

Anche la tutela degli animali tipici della regione ha avuto, a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, una attenzione tutta particolare. Esistono ancora aree dove viene attuata la coltivazione di riso, cotone, canapa, ananas, palme da frutto, con i sistemi tradizionali e, anche con l’uso del bufalo, dei buoi e – seppure in modo sporadico – degli elefanti dalle piccole orecchie, ma – come si può immaginare – ormai tutte le colture sono correttamente meccanizzate, pur mantenendo estensioni poco più che familiari.
L’uso di questi animali (e soprattutto degli elefanti) è, oggi, confinato ad alcune realtà periferiche molto isolate, oppure all’interno di centri didattico-informativi specializzati nella promozione delle tradizioni “thai”. Condizione di tutela che si è esplicitata con la Legge delega del 1989 che ha definitivamente liberato da ogni forma di lavoro coatto tutti i pachidermi registrati nello Stato thailandese.
Un grave danno alla fauna selvatica è stato assestato dalla caccia di frodo e dalla cattura di particolari animali esotici. Anche se sarebbe più appropriato usare il tempo presente, visto che si tratta di uno dei crimini più sanzionati dal 2000. Gli animali più ricercati sono i tapiri, i rinoceronti e gli stessi elefanti. Un destino simile è toccato a gibboni, scimmie Khao e a molti tipi di uccelli.

Si tratta di una continua lotta fra trafficanti locali (collegati a centri di smistamento cinesi e occidentali) e le varie forze dell’ordine che, lo ricordiamo, nel caso di cattura dei responsabili, non esitano ad applicare pene pesantissime. Condizioni simili riservate anche ai molti produttori di papavero da oppio, di canapa marijuana e di altri prodotti allucinogeni (il fungo “Thran” tra questi). Un panetto di hashish pronto per l’uso, se sequestrato all’aeroporto al momento dell’imbarco per uscire dalla Thailandia, anche se di poche decine di grammi, può comportare una detenzione di minimo tre anni. Pure l’industria ittica, solo in parte thailandese (in maggioranza in mano cinese e malese), ha contribuito all’impoverimento e alla trasformazione della varietà biologica sia marina che fluviale. Non esistono praticamente più gamberetti (gli “hakif” tradizionali) in condizioni di libera circolazione, così come alcuni tipi di granchi, particolarmente ricercati per le carni saporite.
Dal 1991 sono però aumentati i centri di “coltura ittica” con una graduale ripresa, in bacini appositi, dei tradizionali prodotti della pesca locale. Diminuiti, in percentuale, anche i coccodrilli e i serpenti, soprattutto i cobra, oggetto di caccia spasmodica, seppure vietatissima. I primi per le pelli particolarmente morbide e lucenti, i secondi per il veleno (pagato a peso d’oro dall’industria farmaceutica) e per il vello variamente maculato. Persino l’industria della seta, per quasi duecento anni appannaggio della comunità cinese, è stata “recuperata” grazie ad incentivi statali che stanno facendo diventare il territorio Thai il terzo grande produttore mondiale di seta naturale, cioè quella che utilizza il baco in tutte le sue fasi.
Con questi brevi flashes sulla componente vegetale e animale chiudiamo il secondo appuntamento, anticipando che nel prossimo, previsto per metà aprile 2019, si tratterà della composizione etnica del variegato territorio e delle successive ondate migratorie che hanno portato all’attuale convivenza di più gruppi etnici.

Scrive per noi

Pier Luigi Cavalchini
Pier Luigi Cavalchini
Pier Luigi Cavalchini è docente di lettere al Liceo, membro del direttivo nazionale FIMA, delegato per il nordovest di Docenti Senza Frontiere, membro di Pro Natura regionale e direttore del giornale online Città Futura, collabora con varie riviste tra cui “.eco”.