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Un telefonino fatto di sangue e minerali rari e pregiati, come il coltan. Forse allora anche il silenzio è d’oro

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Un telefonino fatto di sangue e minerali rari e pregiati, come il coltan. Forse allora anche il silenzio è d’oro

La produzione, l’uso e lo smaltimento dei telefoni cellulari hanno un grande impatto ambientale e sociale. Materie prime preziose, elettricità, rifiuti da smaltire, manodopera sfruttata, conflitti, danni alla salute: anche gesti banali e comuni innescano processi di modificazione dell’ambiente che ricadono poi sempre sulla vita umana. Chissà che anche nel caso dei telefonini non vada riscoperta la virtù dello star zitti

Un “telefonino” del peso di circa un etto contiene moltissimi materiali: circa il 40 % è costituito da metalli, circa il 40 % da materie plastiche e circa il 20 % da materiali ceramici e altri materiali vari. Fra i metalli alcuni sono insanguinati come il coltan, la cui conquista è fonte da molti anni di conflitti nella zona dei Grandi Laghi centro-africani: Uganda, Ruanda, Congo.

Il coltan è una miscela di minerali chiamati “columbite” e “tantalite”, ossidi di niobio, tantalio e altri metalli. Il niobio è stato scoperto nel 1801 dal chimico inglese Charles Hatchett che lo ha chiamato columbio. Il tantalio è stato isolato in forma pura nel 1820 dal chimico svedese Jons Berzelius che gli ha dato il nome del personaggio mitologico Tantalo. Nel 1844 il chimico Rose scoprì che il columbio aveva comportamento chimico simile a quello del tantalio, con cui si trova associato in tutti i minerali, e gli cambiò nome in quello di niobio, da Niobe, mitologica figlia di Tantalo. Circa la metà del tantalio è impiegato in elettronica, fra cui negli apparecchi di telefonia mobile.

Lo squillo che inquina

In Italia ha sempre successo il mercato dei telefoni cellulari e simili apparecchi, offerti in forme sempre più raffinate; i venditori dei cellulari per la telefonia mobile — quelli chiamati familiarmente “telefonini” – sono ben contenti ma troppo poco si pensa all’effetto ambientale associato alla produzione, all’uso e allo smaltimento di tali telefonini. Anche i telefonini hanno una loro vita che viene analizzata da uno speciale capitolo della Merceologia, quello dell’analisi del ciclo vitale, una procedura che descrive la quantità di materie e di energia richiesta durante l’intera vita di ciascuna merce, da quando le materie prime erano nelle miniere a quando un prodotto usato viene gettato via.

Nei telefoni cellulari la maggior parte dei metalli preziosi si trova nella “scheda” stampata che costituisce il vero e proprio cervello che riceve le notizie dalla rete di telecomunicazioni, rimbalzate da un luogo all’altro attraverso i satelliti o le antenne trasmettitrici o ripetitrici dei segnali elettromagnetici, e trasformate nei segnali, parole o immagini, che appaiono nel video del cellulare che si tiene in mano in un involucro di plastica. Basta toccare con un dito e appare il messaggio o l’immagine voluta e tutto sembra facile e gratis, ma quel semplice gesto, così familiare, fornisce il risultato voluto attraverso un flusso di elettricità che tiene in moto i servizi di telecomunicazioni e che viene “consumata” durante il funzionamento del cellulare.

Telefonate e messaggini che riscaldano il pianeta

Si dice spesso con fastidio che il cellulare è scarico e si ricorre ad un caricabatteria che in qualche ora “ricarica” la batteria del telefono assorbendo altra elettricità fornita dalla rete e che si deve pagare nella bolletta alla fine del bimestre. Questa si paga sempre anche quando le tariffe telefoniche appaiono tanto invitanti. Molti di quelli che si lamentano per i mutamenti climatici passano le ore attaccati al telefono cellulare senza pensare che ciascun click, ciascun messaggio richiede elettricità e inquina l’atmosfera. Ogni chilowattora di elettricità consumata per tali i messaggi e messaggini, che a miliardi si rincorrono nell’etere, fa finire nell’aria mezzo chilo di anidride carbonica e di gas che fanno peggiorare il clima futuro.

Non voglio criminalizzare l’uso dei cellulari, anche se, personalmente, cerco di usare il meno possibile e di non usare il telefono cellulare. Voglio solo ricordare che anche gesti banali e comuni innescano processi di modificazione dell’ambiente che ricadono poi sempre sulla vita umana. Non si tratta di tornare, come ironizzano alcuni, alla vita delle caverne, ma di usare la tecnica, che è liberatoria, con parsimonia, quando è necessario, perché niente è gratis nella vita e nella tecnica.

Ci vuole un po’ di un po’ di parsimonia

Senza contare che ogni nuovo telefono cellulare va a sostituire un altro meno raffinato, meno bello, meno comodo, il quale viene gettato via ma “non muore”.

Nel caso migliore finisce in una massa indifferenziata di rifiuti elettronici ed elettrici usati, dai telefoni, ai computer, ai televisori, eccetera, miliardi di pezzi, milioni di tonnellate ogni anno che in gran parte vengono esportati a intere navi di rottami ogni volta, nei paesi in cui esiste una mano d’opera a basso prezzo che, senza precauzioni per la sicurezza e salute sul lavoro, tratta, smonta, smantella, brucia tutto quello che si può bruciare (la parte plastica), rifonde e recupera i metalli, in mezzo a nuvole di fumi tossici. E a loro volta i fumi e le sostanze tossiche non scompaiono ma entrano nei fiumi e da qui nelle sostanze alimentare e nelle merci riciclate e ritornano nella nostra vita.

Mi rendo ben conto che dovere delle imprese è produrre più merci, sempre nuove merci, creare nuovi bisogni necessari e non necessari, perché così va avanti l’economia. Ma vorrei modestamente suggerire un po’ di parsimonia nei consumi perché se gli affari aumentano, aumenta anche l’intossicazione ambientale e umana. Nel caso della telefonia chi sa che non vada riscoperta la virtù dello star zitti.

Scrive per noi

GIORGIO NEBBIA (1926-2019)
GIORGIO NEBBIA (1926-2019)
Giorgio Nebbia, scomparso all'età di 93 anni il 3 luglio 2019, è stato una delle principali figure del movimento ambientalista. Bolognese di nascita (nel 1926), è stato professore ordinario di Merceologia all’Università di Bari dal 1959 al 1995, poi professore emerito, insignito anche dottore honoris causa in Scienze economiche e sociali (Università del Molise) e in Economia e Commercio (Università di Bari; Università di Foggia). Le sue principali ricerche vertono sul ciclo delle merci, sull’energia solare, sulla dissalazione delle acque e sul problema dell’acqua. Per due legislature è stato parlamentare della Sinistra indipendente alla Camera (1983-1987) e al Senato (1987-1992). L'archivio Giorgio e Gabriella Nebbia è ospitato presso il centro di storia dell'ambiente della Fondazione Luigi Micheletti.