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Straniero. Sguardi interdisciplinari intorno a una parola

| FRANCESCO INGRAVALLE

Tempo di lettura: 9 minuti

Straniero. Sguardi interdisciplinari intorno a una parola

Dagli antichi greci a oggi, passando per Dante e Carlo Alberto e spaziando tra continenti e culture, docenti e dottorandi delle università del Piemonte Orientale, di Torino, di Milano e della Cattolica di Milano, della Valle d’Aosta, di Genova e della Colombia hanno discusso di cosa sia lo “straniero”. Ottenere la cittadinanza può essere stato pià facile nel passato che nell’Italia odierna e già Diogene di Enoanda diceva che «tutta la terra è patria di tutti gli esseri umani e il mondo è una sola casa». una delle poche (purtroppo) testimonianze di un intervento del mondo academico su un tema attuale, senza concessioni al “politicamente corretto” e con l’intenzione di affrontare il problema per quello che esso è.

Da qualche tempo, identitari e mondialisti si fronteggiano nelle polemiche politiche e nelle polemiche culturali e ciascuno sente l’urgenza di una messa a punto critica; e questa messa a punto viene, significativamente, dal mondo universitario.

Vercelli, il polo San Giuseppe dell’Università del Piemonte Orientale

L’11 giugno 2021 si è tenuto a Vercelli, presso il Polo didattico San Giuseppe, il seminario del Dottorato in Ecologia dei sistemi culturali e istituzionali e del Centro di Ricerca di Diritto e Storia costituzionale dedicato alla figura dello straniero, grazie all’organizzazione scientifica di Marco Pustianaz, Vittorio Tigrino, Chiara Tripodina, dell’Università del Piemonte Orientale. Titolo: Straniero. Sguardi interdisciplinari intorno a una parola.

Il seminario è stato suddiviso in tre sessioni: Lo sguardo dei giuristi e degli economisti, Lo sguardo dei letterati e dei linguisti e Lo sguardo degli storici.

Lo sguardo dei giuristi e degli economisti

Chiara Tripodina ha aperto la sessione ricordando che per il nostro diritto “straniero” equivale a “non-cittadino”. Per i Costituenti del 1946-1947 l’Italia era terra di emigrazione, non di immigrazione e non sussistevano dubbi sul diritto di accesso alla cittadinanza nei termini di ius sanguinis, cioè nei termini di un concetto “chiuso” di cittadinanza, articolato in due aspetti, l’aspetto giuridico e l’aspetto relativo alla partecipazione e contribuzione alla vita della comunità politica. Un concetto che può aprirsi perché al centro dell’ordinamento costituzionale italiano c’è la persona, non il cittadino. E la persona può diventare cittadino grazie al proprio essere persona.

Francesco Aimerito (DISCo, Storia del diritto medievale e moderno) ha ricordato che una interessante presenza dello straniero si ha nel diritto tributario medievale con il favor immigrationis Erano favoriti taluni gruppi per l’immigrazione con esenzione ereditaria dai tributi ordinariamente pagati dai comuni cittadini. Naturalmente, tale favor non comprendeva la partecipazione al governo della collettività, perché esso poggiava su contratti di diritto privato, fuori della sfera pubblica, contratti a prestazioni rispettive: gli stranieri portano cospicui vantaggi alle città e la città li remunera, entro certi limiti (un esempio fra tanti: il caso degli Ebrei).

Francesco Campobello (DISCo, Storia del diritto medievale e moderno, Università di Torino) ripercorre lo sviluppo che ha portato dal Codice civile di Carlo Alberto di Carignano (secondo il quale – art. 24  dopo dieci anni di permanenza negli Stati sardi si diveniva regolarmente sudditi, una volta riconosciuto dal pubblico potere l’intenzione – “animo” – di perpetua dimora)) all’affermarsi del ius sanguinis nel 1912.

Giovanni Cavaggion (DISCo, Diritto costituzionale, Università di Milano) ha ribadito che la Costituzione della Repubblica Italiana riconosce i diritti della persona, vale a dire i diritti “naturali”, ma che si pone il problema della istituzione dei doveri: ad esempio, il dovere di “difesa della patria” (artt. 52 e 54 della Costituzione): esso coinvolge il cittadino, ma, naturalmente, non lo straniero. L’integrazione completa non è un dovere (lo ha stabilito la Corte Costituzionale), pur essendo richiesto, comunque, il rispetto dei valori repubblicani.

Sulla condizione del “non-cittadino” o apolide nel diritto romano si è soffermata Maria Antonietta Ligios (DISCo, Dottorato curriculum Scienze storiche, Diritto romano, Università del Piemonte Orientale) richiamando il Digesto 32,1,2 e 48, 19, 17,1 e alcuni testi greci (a es. Platone, Leggi XI, 928 e-929 a, Elio Aristide, Eis Ròmen 26 (14), 75) ed evidenziando come la condizione dell’apolide conseguisse alla perdita della cittadinanza e, nello specifico del Digesto, tale condizione derivi da sentenze giudiziarie di condanna perpetua ai lavori forzati o alla deportazione.

Alessandro Magrassi (Dottorato, curriculum Democrazia sostenibile e solidale) ha sostenuto che le condizioni di cittadino e di straniero vanno lasciate “aperte”, oggi; infatti, ci sono situazioni in cui, in un municipio (a esempio: Genova), un cittadino su sei è straniero e quindi non vota, con grave pregiudizio per la effettiva democrazia locale. Dovrebbe essere possibile permettere il voto locale agli stranieri.

Antonio Mastropaolo (DISCo, Istituzioni di Diritto Pubblico, Università della Valle d’Aosta) ha rilevato come fin dalle riforme del fascismo il territorio sia oggetto di controllo, anziché essere, come sarebbe democratico, espressione di quello che socialmente è ed è modificabile attraverso una pianificazione democratica di cui dovrebbe fare parte non tanto l’integrazione, quanto l’inclusione dei migranti (perché i diritti siano effettivamente un fattore di progresso).

Riccardo Perona (DISCo, Diritto Pubblico, Università di Cartagena), trattando delle azioni costituzionali in Colombia descrive una situazione nella quale si distingue fra azioni che possono esperire soltanto i cittadini (a esempio: adire alla Corte Costituzionale per segnalare l’incostituzionalità di una legge) e altre che si possono esperire indipendentemente dalla cittadinanza (azioni a tutela di interessi garantiti costituzionalmente e che corrano il rischio di essere violati).

Massimiliano Piacenza (DISCo, Economia Politica, Università del Piemonte Orientale) muove da una domanda: in che modo gli immigrati possono usare determinati servizi di Welfare cui, come persone, hanno diritto, in particolare i servizi di cura? Esistono ostacoli quali le barriere linguistiche e culturali che limitano l’accesso effettivo a questi servizi. Tuttavia, quanto più i pazienti fanno parte effettiva di una comunità locale, tanto più è probabile che riescano ad ottenere l’erogazione di un servizio appropriato. Decisivo, qui, il ruolo dei mediatori culturali.

Davide Servetti (DISCo, Diritto Costituzionale, Università Cattolica di Milano) muove dalla constatazione che è principio costituzionale (e, generalmente, giurisprudenziale) l’uguaglianza nel godimento dei diritti inviolabili per tutte le persone. Tuttavia, la presenza clandestina nel nostro territorio limita, di fatto, le opportunità, pur senza infirmare il principio della erogazione delle “cure urgenti”.

Quello che sembra separare le condizioni “pre-moderne” dalle condizioni giuridiche e sociali attuali è il riconoscimento dello straniero come persona (anche se va riconosciuta una maggiore vicinanza del diritto romano al nostro modo di concepire il soggetto umano, grazie anche al filtro della concezione generalmente cristiana dell’uomo e alla diffusione di concezioni umanistiche di derivazione illuministica).

Lo sguardo dei letterati e dei linguisti

Spostiamo ora l’attenzione su quanto è emerso dalla seconda sessione, Lo sguardo dei letterati e dei linguisti.

Marco Pustianaz (Dottorato curriculum Tradizioni linguistico-letterarie, Letteratura inglese e teatro, Università del Piemonte Orientale) osserva che straniero non si nasce, ma si diventa; anche qui, basilare importanza ha la concezione del soggetto come persona. Lo straniero è colui che “non abita una norma” e, quindi, che “non abita un’aspettativa”. E, non appena il soggetto “non abita” uno degli assi identitari si sente – ed è- straniero. Il suo essere l’esito di più intersezioni (la sua “intersezionalità” per usare un termine usato dall’antropologa australiana Sara Ahmed) è “disordinata” e la sua corporeità – il suo aspetto corporeo – contribuisce fortemente a farlo sentire “fuori posto”.

Silvia Ferrari (Dottorato curriculum Tradizioni linguistico-letterarie) concentra l’attenzione sull’esperienza del tradurre come esperienza affine alla categoria dello straniero. Tradurre è collocarsi come straniero davanti a un testo, oppure davanti a un linguaggio “altro-da-noi”, estraniarsi dal proprio linguaggio per entrare in un linguaggio straniero. Anche il linguaggio amministrativo come “rinuncia a pensare da sé”, per usare un’espressione di Alice Krieg-Planque (Analyser les discours institutionnels, 2021) è un linguaggio straniero. La traduzione di un linguaggio espressivo in esso assorbe i diversi registri dell’espressività per subordinarli, dopo averli ‘mondati’, all’esecuzione di ordini, di direttive.

Roberta Langhi (Dottorato curriculum Tradizioni linguistico-letterarie) rileva come si giochi con il relativismo culturale in modo politicamente opportunistico, arrivando a esecrare il consumo gastronomico di cani e gatti in Cina, ma senza avere troppe difficoltà con il consumo gastronomico di bovini. Così costumi si scontrano con costumi, senza mettere in questione la liceità del ‘sacrificio dell’animale’, in una apoteosi della reciproca estraneità, dell’essere reciprocamente stranieri.

Francesca Longo (Dottorato curriculum Tradizioni linguistico-letterarie) presenta Dante Alighieri straniero, esule e pellegrino, la cui figura raccoglie in sé i temi del seminario: straniero perché nella Comedia è l’unico vivo in un mondo di morti, esule, perché, ormai, straniero per la propria patria e pellegrino, perché in cammino verso una patria spirituale. La sua patria gli appare come “matrigna” e l’unica vera patria è in Paradiso. Del resto, si può osservare qui, questa era l’indicazione contenuta già prima del cristianesimo, nel dialogo aristotelico (perduto) Eudemo e in un testo assai noto, al tempo di Dante, il Somnium Scipionis di Cicerone.

Elena Tombesi (Dottorato Tradizioni linguistico-letterarie) rivolge la propria attenzione alle parole straniere nei testi giuridici e alle modalità con le quali esse si sono acclimatate nel lessico giuridico dei nostri giorni. Le modalità sono due: i contratti di commercio internazionale (redatti dagli uffici legali delle multinazionali in lingua inglese); le norme legislative europee (in lingua inglese). La natura degli “anglicismi” è, in parte tecnica (quindi di difficile traduzione in lingua italiana), in parte non-tecnica o meno tecnica (si pensi a “anti-trust” che varrebbe “anti-monopolio”).

La diversità linguistica può diventare il luogo elettivo del reciproco essere stranieri, dato che ogni lingua veicola costumi fra loro inconfrontabili, la visione cristiana stessa celebra l’estraneità al mondo, ma anche, con Francesco di Assisi, il rapporto di amore con quello che è estraneo (sia esso il Sultano, oppure, ancora più straniero, il lupo di Gubbio) e l’intera storia occidentale del tradurre (a suo tempo magistralmente tracciata da Georges Mounin, Teoria e storia della traduzione, 1973) mostra ampiamente come il differenziarsi dell’atto linguistico nelle specifiche lingue, come il differenziarsi della socialità nei diversi costumi provengano da una comune radice antropologica che soltanto la reciproca conoscenza umana può portare alla luce.

La terza sessione è stata dedicata allo Sguardo degli storici

Vittorio Tigrino (Università del Piemonte Orientale) ha introdotto il problema degli oggetti come “semiofori” o “portatori di significato” e di veicoli per la conoscenza di ciò che è “straniero” e del modo in cui questi temi sono entrati nel discorso etnografico, rilevando l’esigenza di ricontestualizzare gli oggetti decolonizzando musei e collezioni (obiettivo indicato dall’antropologa Giulia Grechi nel volume Decolonizzare il museo, 2021) per avviare una nuova museografia antropologica: i tradizionale museo è soltanto, antropologicamente, lo sguardo dei conquistatori sui conquistati, lo sguardo dell’identità sullo straniero.

Lorenzo Baratter (Dottorato, curriculum Scienze storiche) tratta della difficile situazione balcanica nella quale più difficile è il rapporto fra popolazioni diverse, anche a causa di luoghi caratterizzati da complesse intersezioni, come la Bosnia (bosniaci croati, bosniaci serbi, bosniaci musulmani, bosniaci ortodossi, bosniaci cristiani) il che non ha escluso la convivenza, sia pure dopo conflitti notoriamente assai sanguinosi.

Fabio Caffarena (DISCo, Storia contemporanea, Università di Genova) espone quanto emerge dalle scritture popolari in merito ai fenomeni di “mobilità umana” e ad alcune dinamiche proprie del vissuto dei migranti, come i “tentativi di ricollocazione personale” che nascono in conseguenza di pratiche di riadattamento legate a processi identitari (quando si cerca, nel luogo ove si emigra, qualche cosa di quello che si è lasciato).

Dario Cellamare (Dottorato curriculum Scienze storiche) legge il tema del seminario alla luce della contrapposizione antica fra “Elleni” e “Barbari” e alla luce del tentativo dell’imperatore Giuliano (361-363 d. C.), ultimo imperatore romano della dinastia costantiniana, di fare della religiosità “pagana” il fattore identificante dell’ellenicità; grazie alle pratiche religiose si può diventare elleni e, con il loro abbandono, si può cessare di esserlo, come quando gli Antiocheni hanno fatto di Gesù il protettore della loro città in luogo di Zeus.

Chi scrive, Francesco Ingravalle (Disco, Storia delle istituzioni politiche, Università del Piemonte Orientale), ha richiamato la figura dello straniero indagata dal filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918) nella sua Soziologie, excursus del capitolo 9 (1908); per Simmel la figura dello straniero è caratterizzata, nella percezione sociale, dall’ambiguità e, in quanto tale, essa si oppone all’identità; dalla instabilità e, in quanto tale essa si oppone alla stanzialità; essa è l’unità di “vicinanza e di distanza”; lo sguardo dello straniero è oggettivo e non partecipe delle dinamiche intime del gruppo identitario rispetto al quale esso è straniero; il fatto di condividere con lo straniero le qualità generalmente umane accresce l’ambiguità della sua figura, il suo essere, al tempo stesso, “così vicino e così lontano”.

Ekaterina Knyzaeva (Dottorato, curriculum Scienze storiche) configura la condizione degli emigrati dopo la rivoluzione russa del 1917 come una situazione in cui separazione, adattamento, integrazione e assimilazione vengono complessivamente a intrecciarsi. Ma, nell’intreccio, essi danno luogo a singolari ri-identificazioni con la nazionalità ospitante: così abbiamo emigrati russi in Turchia appassionatamente turcofili, emigrati russi in Germania germanofili, emigrati in Francia francofili, nei termini dell’acquisizione di una identità “supplementare”.

Claudio Rosso (DISCo, Dottorato curriculum Scienze storiche, Storia moderna, Università del Piemonte Orientale). Chi erano gli stranieri nell’età moderna? In Francia, in Inghilterra, erano stranieri coloro che non erano sudditi dei rispettivi sovrani. In Italia, secondo quanto stabilito sul piano linguistico dall’Accademia della Crusca, lo straniero è il forestiero, colui che è “d’altro luogo”. I criteri di inclusione e di esclusione si strutturano attraverso atti e certificazioni, come gli Stati Sabaudi sotto Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I. Gli stranieri potevano farsi rilasciare lettere patenti di naturalità, cioè di naturalizzazione. Peraltro, gli Stati Sabaudi mostrano una certa forza attrattiva per i forestieri fra XVI e XVII secolo.

Gabriella Vanotti (DISCo, Dottorato curriculum Scienze storiche, Storia greca), Marta Caselle e Daniele Natale (Dottorato curriculum Scienze storiche) hanno trattato inclusione ed esclusione dello straniero nel mondo antico greco e romano. Vanotti rileva che i greci indicano lo straniero con due termini, xénos e bàrbaros e il barbaro è, per così dire, “straniero due volte”, cioè non è semplicemente il greco di un’altra città, ma qualcuno di cui non si capisce il linguaggio. Nell’ Odissea, lo straniero è il “totalmente diverso”, nei termini, per riprendere Arnaldo Momigliano, di un “disconoscimento dell’altro”. Mentre nel mondo romano, una figura come il virgiliano Enea è lo straniero che fonda’ la latinità. Per Caselle il meteco, come emerge dalla epigrafia pubblica ateniese è soggetto a un diritto particolare che lo separa dagli ateniesi, un diritto che non include i diritti politici. Per Natale, nessuno è straniero a Roma, come si evince da Elio Aristide; Roma concede la cittadinanza a ogni individuo; né il mare né le grandi distanze di terra impediscono di essere cittadino romano. Le disuguaglianze etniche ed economiche sono giuridicamente annullate. Soltanto con la Constitutio antoniniana (212 d. C.) questo quadro tracciato da Elio Aristide (II secolo d. C.) diventerà realtà.

La mobilità della configurazione dello straniero emerge con evidenza dalla molteplicità dei parametri utilizzati storicamente per definire l’identità e l’estraneità; una molteplicità che è anche ambiguità e, come ogni ambiguità, apertura al dialogo.

I diversi sguardi conducono a una considerazione importante: l’attuale ventata identitaria affonda le proprie radici nella notte dei tempi non meno della apertura al mondo e pone – come ha sempre posto- gli uomini di fronte a una scelta. Per la quale vale la pena di citare un frammento dell’epicureo Diogene di Enoanda: “I cosiddetti stranieri, in realtà, non sono stranieri. Secondo i rispettivi confini c’è chi ha una patria e c’è chi ne ha un’altra; se guardiamo, però, al mondo nella sua totalità, tutta la terra è patria di tutti gli esseri umani e il mondo è una sola casa” (fr. 25 Chilton)