“Il senso di gratitudine rivolto all’eterno in divenire”. Una testimonianza su Elisabetta Falchetti

(Nell’immagine di apertura, Elisabetta Falchetti – di spalle – a Serra Guarneri)

Nel mio percorso professionale, mentre frequentavo il master in Educazione, comunicazione ed interpretazione ambientale, tenutosi a Palermo in quell’anno e diretto dal prof. Aurelio Angelini, ho avuto la fortuna di sperimentare in prima persona cosa vuol dire la terminologia “educazione ambientale”.

Elisabetta Falchetti (a sinistra) con i giovani corsisti del master in educazione ambientale.

Erano giorni di ottobre correva l’anno 2010, io ed i miei colleghi di master stavamo per organizzarci per partire verso “Serra Guarneri”, un borgo, abbandonato e poi recuperato, con sede tra le colline del Parco delle Madonie, vicino Cefalù in Sicilia, immerso nel bosco di Guarneri. Proprio in quella sede ad attenderci c’era la professoressa Elisabetta Falchetti – la quale ci attendeva per avvicinarci al contatto essenziale e diretto con la natura, così da farci riscoprire il senso di convivialità e di appartenenza in un ambiente non urbano.

La metodologia utilizzata dalla professoressa Falchetti era strettamente legata ad un tipo di approccio diretto, attraverso l’esperienza, tentando di spiegarci quello che oggi comunemente chiamiamo “educazione ambientale ed educazione alimentare”.

L’organizzazione non era semplice, dato che dovevamo affrontare tre giorni e due notti in un ambiente totalmente immerso nella natura, utilizzato dai ragazzi per i campi estivi sulle Madonie, ed in quei giorni di ottobre la temperatura in altura non era delle migliori. Ricordo che arrivammo dopo quasi due ore a bordo di un pulmino messo a disposizione dall’organizzazione del master, nell’aria c’era un misto di curiosità e di stanchezza ma quest’ultima, alzando gli occhi verso le montagne di Serra Guarneri inevitabilmente spariva.

Una piccola e grande donna

Dopo le presentazioni iniziali, a turno, ricordo che eravamo seduti su delle panche in legno in una casetta adibita ad aula universitaria, una piccola e grande donna sottolineava la vera novità di questo approccio educativo da replicare, esso risiedeva nel cercare di coniugare la conservazione delle risorse naturali con l’uso sociale delle stesse e con la ricerca dello sviluppo compatibile alla società. La professoressa ne sottolineava la finalità principale di ricercare, promuovere e sostenere una convivenza che fosse compatibile fra l’ecosistema naturale ed ecosistema umano, nella reciproca salvaguardia dei diritti territoriali di mantenimento, evoluzione e di sviluppo.

Il principio cardine di quelle lezioni in mezzo alla natura riguardava esclusivamente l’obiettivo di “smuovere le coscienze” per attuare realmente un’educazione all’ambiente che non fosse quelle letta sui libri o nelle enciclopedie ma che spingesse l’uomo a diventare consapevole del valore ambientale, e quindi della natura, poiché esso arricchisce a sua volta il diritto fondamentale ad una vita dignitosa e salubre.

Con il senno del poi e ripensandoci meglio la vera difficoltà, quasi come una barriera, nell’apprendimento di quelle lezioni non era il metro comunicativo utilizzato, semplice e diretto, ma l’inesperienza di noi ascoltatori in un contesto che andava oltre la nostra zona confort.

Una pratica metodologica che non ha uguali

Nel pensiero di gratitudine che la professoressa Falchetti ha lasciato a tutti noi, nell’ampio spettro di valori e di finalità, riflette in positivo una sensibilità e una pratica metodologica che non ha uguali. In quel caso tutti quanti eravamo chiamati all’ascolto, a porre attenzione ai rumori ed agli odori che ci circondavano, alla condivisione degli stessi.

Con il tempo e lasciando spazio alle teorie elaborate all’interno delle agende ambientali che si sono susseguite, credo fermamente che la metodologia utilizzata dalla professoressa Falchetti si a stata una delle migliori. L’utilizzo dello storytelling e la condivisione di “immaginari” comuni e diversi, la riflessione sugli stessi.

Nelle sue parole l’educazione ambientale è stata, pur continuando a chiamarsi così, molte e diverse cose: da una forma di educazione alla conoscenza e al rispetto del mondo naturale, a una forma prescrittiva di rieducazione comportamentale degli “errori ecologici” delle persone.

Nella piena fermezza di pensiero per cui l’educazione allo sviluppo sostenibile può sviluppare la capacità dei singoli individui e delle comunità di lavorare per un futuro sostenibile, mirato a formare cittadini più consapevoli, meglio informati, sorretti da valori morali, responsabili, critici, preparati ad agire per una vita salubre e produttiva in armonia con la natura.

Le priorità personali trasformate e riorganizzate

L’approccio diretto e a contatto con la natura migliora ed ha migliorato la consapevolezza di quello che all’inizio sembrasse portarci al di fuori della zona confort (ma che in realtà è il vero valore della vita) e ci ha portati alla riorganizzazione delle nostre priorità in termini personali e di condivisione.

In conclusione, nel mio ricordo della professoressa Elisabetta Falchetti, poter fare educazione ambientale non significa soltanto sviluppare la conoscenza di una questione ambientale, significa anche: promuovere atteggiamenti, comportamenti consapevoli e responsabili verso sé stessi e verso gli altri.

La promozione di atteggiamenti, comportamenti consapevoli e responsabili verso l’ambiente, cioè l’educazione ambientale, non riguardava più soltanto gli individui in formazione, insomma gli adulti del domani: ma riguarda e riguardava sia l’educazione da trasmettere non solo tra gli adulti, ma soprattutto ai bambini. Senza dimenticare che l’interpretazione ambientale non è altro che l’arte di spiegare il posto dell’uomo nel suo ambiente, con lo scopo di accrescere nei visitatori, negli studiosi, ai bambini che saranno gli adulti del domani – la consapevolezza dell’importanza di questa interazione e di risvegliarne il desiderio di contribuire alla conservazione dell’ambiente.

Coagulatrice di risorse nascoste

Infine, vorrei ricordare un’email che la professoressa Falchetti aveva indirizzato a noi studenti: «Grazie a voi per l’accoglienza, l’attenzione e l’affetto di cui mi sono sentita circondata. Mi sembra che abbiamo quasi fatto avvenire quel miracolo che vi avevo preannunziato come possibile nel mio PowerPoint iniziale (ricordi il film “il concerto”? l’orchestra fuori esercizio, inizialmente un po’ distratta da tante altre cose, un po’ sfiduciata…). Se ci sono la motivazione, la partecipazione, la disponibilità, la ricchezza interiore, anche un’orchestra che non ha mai lavorato insieme può suonare melodie divine. Io ho solo avuto il ruolo di “organizzatore” – “coagulatore” delle vostre meravigliose arti e risorse nascoste; bastava solo sollecitarle ed attivarle e farvi credere in voi/in noi. Il luogo, poi, ha rappresentato il teatro migliore che potessimo desiderare.

Che dire? Speriamo di poter suonare ancora insieme. Se la prima volta siamo riusciti a tanto, la seconda forse riusciremo ad addolcire un pezzetto di mondo ed aiutare anche altri a credere che con le nostre mani possiamo costruire una vita migliore. Un abbraccio forte a tutti. Elisabetta».

Da una semplice e-mail che iniziava con un “grazie” e nella sua capacità di condividere empaticamente la propria esperienza, la propria essenza.

La ricordo nelle sue parole… grazie professoressa Elisabetta Falchetti, siamo noi che ringraziamo Lei. La sua meravigliosa essenza resti sempre ad illuminarci, guidarci.

Ad maiora.

Rossana Salerno

 

Elena Pagliarino, Donne e uomini dell’educazione ambientale.

Leggi l’intervista a Elisabetta Falchetti nel libro di Elena Pagliarino “Donne e uomini dell’educazione ambientale”

Parliamone ;-)