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Antiche Vie e “espaces” contemporanei: paesaggi e cammini tra ecologia, storia e antropologia culturale.

| IPPOLITO OSTELLINO

Tempo di lettura: 16 minuti

Antiche Vie e “espaces” contemporanei: paesaggi e cammini tra ecologia, storia e antropologia culturale.

Una riflessione intorno ai cammini, ai borghi ed alla disciplina dell’ecologia storica, tra complessità linguistiche, nuove dinamiche turistiche, riconoscimenti Unesco, percorsi ebike (ed anche motoristici) nelle aree interne e sulle loro tradizionali vie di collegamento, attraversando i parchi e le aree protette. Una occasione per fare il punto sul caso delle Strade Marenche liguri-piemontesi, grazie al contributo del dr. Giampiero Laiolo, studioso di storia dell’area ligure e dello spazio geografico delle Alpi del Mare e per toccare il tema delle nuove professioni per il territorio degli “operatori di facilitazione”.

Per ragionare intorno ai temi dei cammini e delle antiche vie, oggi non si può prescindere dal fare riferimento al più vasto fenomeno del tema dei “borghi”, dell’Italia cosiddetta minore o delle “aree interne”, che interessano una vasta superficie del Belpaese (così denominato dal Petrarca e da Dante e poi ripreso dall’Abate Stoppani). Una fetta dello stivale che interessa la maggioranza del suo territorio con il 60% della superfice e oltre 4000 Comuni (la metà dei campanili italiani) rispetto alle aree di pianura industrializzate e urbanizzate. Un argomento dai profili anche filosofici e culturali che ha in una vasta letteratura del cammino una ricca occasione di approfondimenti che qui tralasciamo per non prendere una “strada” diversa dal nostro primo obiettivo.

Il borgo di Lucinasco nell’entroterra imperiese

Questi ultimi anni hanno visto un ritorno del ruolo dell’Italia minore e dei paesaggi sconfinati (oggetto di abbandono nel ‘900 specie nei territori appenninici senza tralasciare anche porzioni importanti delle più sfruttate Alpi). Un interesse dimostrato da parte di molti settori della vita socio-economica, culturale e politica italiana: dai ricercatori di territorio, architetti e pianificatori, ai pensatori delle nuove strategie di sviluppo come economisti e sociologi, agli ecologi enaturalisti, al mondo politico che promosse la questione aree interne già dai primi anni 2000 per divenire nel 2014 una ufficiale strategia nazionale. Financo i cosiddetti archistar si sono cimentati negli elogi del vivere fuori dalle città, non senza qualche dubbio che molti hanno maturato sulla reale loro convinzione in merito, visto anche l’utilizzo della categoria dei borghi per reimmaginare le stesse città incorrendo in ossimori davvero stupefacenti .

Il tema è divenuto oggetto di una specifica legislazione dedicata come la legge salva borghi del 2017, con la nascita di realtà associative nazionali e diversi strumenti di valorizzazione e promozione (I piccoli borghi, I borghi autentici, I borghi più belli d’Italia etc…) e tante altre iniziative, come persino un premio letterario a loro dedicato.

Il dibattito di avvio sull’argomento è già della fine degli anni ’90, e trova il suo primo ancoraggio nel 2004 nel Codice del paesaggio, e 4 anni prima nella Convenzione europea del Paesaggio, che aprono il concetto della tutela all’insieme delle manifestazioni visive della percezione di uno spazio geografico, abbandonando la cosiddetta ”vista panoramica” o della “veduta” (una visione superata e che semplifica gravemente i contenuti di percezione e fruizioen del territorio purtroppo tuttavia non del tutto abbandonata nelle pratiche di gestione ancora oggi), per abbracciare invece l’intero territorio, aprendo le porte ai temi delle riqualificazioni e della collocazione di questi territori in nuove progettualità territoriali, in una visione non di separazione ma di connessione con la parte cosiddetta più sviluppata dei territori urbani.

Le aree interne sono spesso ambiti in cui sorgono anche le aree protette, con parchi nazionali e regionali, che a volte svolgono anche un ruolo di primo piano nella partita dello sviluppo locale, gestendo programmi europei di promozione di cammini con ricadute su un vasto territorio anche esterno ai loro stretti confini istitutivi.

I parchi nazionali la cuidistribuzione presenta forte coerenza con le aree interne pilota
Le aree interne pilota individuate sul territorio nazionale

Il movimento di promozione dell’Italia minore, parte dalla convinzione che l’infinito bacino di risorse storiche, architettoniche, paesaggistiche, etnografiche, antropologiche e naturalistiche dell’Italia fatta di paesi, borghi, centri minori (come li si voglia denominare), è un giacimento di valore inestimabile, spesso inseguito dai curiosi turisti stranieri e recentemente dall’immobiliarismo di stampo “rurale”, che cerca di dare una risposta ai cittadini in fuga dalle città sempre meno vivibili, tra smog, rumore, criminalità: una seconda Italia per nulla considerata dai programmi di sviluppo del dopoguerra, sino alla fine degli anni ’90 e che ora vede addirittura incentivi per i giovani per trasferirsi (come nel caso della Regione Piemonte).

A ben vedere il tema di quale pensiero di sviluppo dedicare alla problematica dei territori facenti parte degli entro-terra, caratterizzati da minori potenzialità di sviluppo dei suoli a causa delle loro minori fertilità e più difficili da colonizzare a causa degli aspetti idrogeologico e delle acclività (le pendenze), affonda le sue radici nel dibattito degli anni ‘40,’50 prendendo forma nella nota metafora dell’economista Manlio Rossi Doria della polpa e dell’osso:

Manlio Rossi Doria

“Polpa” era territorio costiero denso di risorse irrigue che, per natura di terreni, di clima e di altre condizioni ambientali, si mostrava “altamente suscettibile allo sviluppo”. L’osso era la “montagna e le zone latifondistiche (…) in avverse condizioni ambientali”; uno spazio naturale e sociale dove, in passato, più grave è stata la miseria contadina e dove poco è cambiato nel tempo: “Vecchi e donne coltivano ancora i campi, che nessuno vuol vendere, ma di fatto questi poveri villaggi – anche se provvisti di qualcosa che un tempo mancava (la luce, la scuola, la televisione) – ogni giorno di più diventano campi di concentramento per vecchi, donne e bambini e, quando gli uomini validi avranno trovato una qualche sistemazione e non torneranno più nei paesi, diventeranno sacche di miseria, vergogna di un paese civile”.

Dopo l’avvio dell’interesse pubblico per queste aree nel 2000, mosso da un manipolo di intellettuali e ricercatori accompagnati da istituzioni come la presidenza di UNCEM, o da personaggi e pensatori politici come Fabrizio Barca (con il suo interessantissimo progetto del forum sulle disuguagliane e le diversità), 9 anni dopo arriva il coup de théatre: la pandemia così come classificata dall’OMS da Covid19, scatena tre fenomeni che intrecciano anche il tema dei borghi.

Il primo culturale, con il quale in seguito ai lockdown forzati le persone riscoprono il valore di quanto ti circonda, l’importanza di avere un verde intorno dove poterti muovere liberamente, insomma il valore delle cose semplici e davvero utili per il benessere individuale.

Il secondo potremmo dire antropologico-prossemico, con la necessità di stare un po’ più lontani dagli altri, non più ammassati, anche perché la distanza di oggi del “metro antinfezione” ha fatto riscoprire l’importanza della libertà di scegliersi il proprio intorno, decidendo di scendere sotto il metro con chi scegliamo noi e non per obblighi di spazio a disposizione.

A questi due aspetti si è poi aggiunto un terzo elemento legato all’impiego lavorativo da remoto: lo Smart working obbligatorio e lo sviluppo esponenziale dell’uso delle tecnologie di collegamento per il telelavoro, hanno reso praticabile la possibilità di lavorare anche da molto lontano dalla propria tradizionale scrivania, magari da un balconcino di una vecchia casa in un borgo italiano. Un fenomeno che ha addirittura visto la mobilitazione d’incentivo da parte di amministrazioni pubbliche e private.

La bibliografia in materia di aree interne e le attività associative, come quella di Riabitare l’Italia, sul tema borghi e dintorni, sono oggi praticamente infinte ed interessano organizzazioni, istituti di ricerca che ormai coprono l’intero territorio nazionale, con un proliferare pressoché continuo di convegni seminari, gruppi di ricerca tesi di laurea e chi più ne ha ne metta. Da segnalare in proposto la dettagliata ed approfondita attività editoriale del gruppo Donzelli (nella collana Saggine)  con una serie di volumi di particolare interesse a partire dalla raccolta di saggi “Riabitare l’Italia”, passando per il Manifesto omonimo, sino al recentissimo Contro i borghi.

La ragione del fermarci in questa trattazione sul vasto dibattito che interessa il tema aree interne, è che la meta di questo nostro dialogo parte si dai borghi, per poi però dirigersi da questi lungo le antiche vie di collegamento economico e di spostamento per ragioni di come quella religiosa, denominate variamente Vie del sale, Strade Marenche, Vie Francigene e cammini storici e contemporanei di varia natura.

Un grande fascio di itinerari pedonali che spesso sono anche state connotate da un certo sapore di “invenzione”, essendo divenute appetitose modalità progettuali per costruirci intorno candidature di varia natura per accedere ai fondi dell’UE dello Stato e delle Regioni.  Le reti dei cammini e delle vie che attraversano le distese dei paesaggi dell’Italia minore (incrociandpo a volte anche le aree più abitate delle grandi pianure) sono un patrimonio che si colloca all’interno del più generale dibattito sul “cosa fare dell’osso” (le aree rurali ed interne), dopo esserci dedicati alla polpa (le pianure industrializzate) per tanto, decisamente troppo, tempo.

La dimensione della cartografia e della pubblicazione di dati ed informazioni in formato digitale sui cammini, ha permesso la produzione di una galassia di siti web, dai più raffinati ai meno, con i quali guidando il mouse è possibile percorrere in un attimo km e km lungo crinali, boschi, valli e i loro centri abitati e borghi, dove è possibile trovare anche ristoro e pernottamento. Il tema è divenuto di interesse istituzionale alto, fino ad avere dedicato uno specifico spazio web a cura del Ministero italiano dei beni culturali, anche in considerazione del fatto che il fenomeno ha assunto connotati di interesse economico con dati di presenze (calcolati sulla base delle credenziali rilasciate ai passaggi tappa) di rilievo economico (verso i 35.000 passaggi di media solo sui 14 cammini principali italiani). Se a questi associamo gli ormai centinaia di itinerari che moltissime realtà locali hanno promosso i numeri diventano da statistiche dell’economia turistica. (Italia dei cammini, Cammini, Movimentolento).

Interessante l’iniziativa alla quale attingere per informazioni e riflessioni sul tema è anche quella di Fondazione Symbola che nell’ambito della ricerca Piccoli Comuni e Cammini d’Italia, ha pubblicato un interessante dossier, che offre con una gradevole e immediata grafica illustrativa, il quadro delle risorse locali economche e sociali che la rete dei Piccoli Comuni e dei Cammini che li attraversano offre, fornendone un volto affatto secondario di questa dimensione territoriale, oltre ad avere sul proprio web un’area dedicata ai cammini con informazioni di dettaglio.

La mappa dei principali Cammini italiani tratta dal sito web del Ministero dei Beni culturali.

Ecco che quindi a corollario del tema dei borghi il movimento di attenzione all’Italia minore coinvolge anche la riqualificazione e promozione delle antiche vie che annoverano molte tipologie di realtà di strutture della viabilità dei tempi che furono, in cui il motore erano i piedi o al massimo le 4 zampe di muli, asini e cavalli: tempi che oggi sono in rivalutazione come pratica per combattere “il logorio della vita moderna” oltre che le eccessive emissioni di CO2 in atmosfera, con una esplosione di utilizzo anche di un nuovo mezzo lento come la bicicletta anche nelle sue più recenti evoluzioni delle ebike. In questo caso le batterie suppliscono a deficit di prestazione e permettono di coprire in maggiore scioltezza itinerari di una certa importanza chilometrica: sulla loro sostenibilità la questione pacchetti batterie è tutta da discutere ed anche su ciò il dibattito è aperto, vista la necessità di individuare possibili tecniche di riuso e la questione del corretto smaltimento , visto che una batteria ben utilizzata ha un ciclo di vita di 4-6 anni, non di più. E la sostenibilità si misura innanzi tutto con il fattore tempo.

Un territorio in particolare che sta vivendo una stagione di fermento di riproposizione del tema è quello che sta a ponte tra Piemonte e Liguria, costellata di aree protette che sorgono specialmente sul crinale dove Appennino e Alpi si congiungono, per tramite del lembo sud-ovest delle Alpi Liguri. (Parco naturale Alpi Marittime e Parco naturale Alpi Liguri).

Il lettering del progetto di via Montaldo Mondovì-Loano

Si tratta in particolare di quell’insieme di fasci di percorsi che legavano e connettevano a partire dal medioevo (ma di certo con antichi primi collegamenti anche prima) il Piemonte con la Liguria e per questo denominate Strade Marenche (che portano al mare): strade di scambio di intere economie territoriali, lungo le quali non passava certo solo il sale, ma bensì un intero complesso di scambi economici (che divennero poi anche culturali con importati ricadute insediative ed architettoniche). Come precisa il prof. Giampiero Laiolo studioso da anni dei fenomeni geografici e dell’ecologia storica e del comprensorio delle Alpi del mare, parlare di Vie del Sale è in qualche modo riduttivo, trattandosi invece di strade di collegamento di intere economie che

Le ampie viste che si possono godere dai rilievi alpini dell’entroterra ligure

collegavano il nord europa occidentale (tramite Francia e Svizzera) attraverso il bacino del Po alla costa ligure (i territori nord orientali invece raggiungevano il bacino mediterraneo giungendo all’Adriatico per ovvia vicinanza del relativo golfo). In termini generali si possono denominare Strade Marenche, ma al plurale, essendo fasci di percorsi che andavano a trovare la loro strozzatura e unione solamente nei passi delle Alpi, punti obbligati per loro particolare comodità di formazione per lo svalicamento verso la costa ligure.

 

 

Sentiamolo dalla sua viva voce qui di seguito:

I 5 fasci storici delle Strade Marenche tra pianura del Po e Liguria

In questo territorio non sono mancati periodi intensi di attività come quella nata, su iniziativa sempre di Laiolo, che aveva portato alla costituzione dell’Associazione dei Comuni interessati dalla casata feudale dei Ventimiglia Lascaris, che aveva anche dato vita ad una serie di convegni e pubblicazioni quali i due interessantissimi volumi dedicati proprio alla Via Marenca ed un secondo riservato alle Terre e Paesi dei Ventimiglia Lascaris: una narrazione interessantissima che anche qui, come fu per la casa Medicea a Firenze, testimonia il ruolo del mecenatismo di grandi famiglie che investivano i loro proventi (derivanti dalle amministrazioni dei vasti territori feudali nonché dalle gabelle di passaggio sui colli come quello di Tenda) nella cura dei territori oggetto di attraversamento, con la costruzione di pievi e luoghi di culto, oggi testimoni delle economie e delle società di quel tempo.

Cultura, arte e società economiche che si intrecciano in un complesso e affascinante sistema territoriale che da luogo a ciò che oggi noi chiamiamo Storia. Sentiamo ancora le illuminanti parole in proposto di Laiolo:

L’unità territoriale omogenea delle Marittime tra imperiese e nizzardo

Un territorio questo che vede anche iniziative come le attività di promozione via web della storia locale e della conoscenza dell’architettura come quello di Mialiguria.it, gestite da una infaticabile e convinta coppia di Chiusavecchia, uno dei centri presenti nell’entroterra di Imperia, su stimolo della storica locale Orietta Brunengo che mantiene viva nel piccolo centro di fondovalle del Fiume Impero il giornalaio/tabaccheria nonchè punto di scambio di libri e saperi.

Vi sono poi vere e proprie chicche: guidati dallo speciale gusto e gentilezza della sindaca di Lucinasco sig.ra Marilena Abbo e dal suo fidato gruppo di volontari locali,  si può visitare una serie di allestimenti museali tra arte sacra e contadinerie, che ha dell’incredibile nella messe interessante di opere d’arte e attrezzi raccolti e musealizzati, soprattutto per la pulizia e il decoro con il quale tutte queste raccolte sono ancora oggi splendidamente visibili dopo oltre 50 anni di paziente salvataggio dall’incuria. Tutte le info su Museo diffuso Lazzaro Acquarone. Qui poi arricchisce ulteriormente il luogo una coppia di chiese romaniche di straordinaria collocazione paesaggistica (quella di Santo Stefano e quella di Santa Maria Maddalena), due perle che ti proiettano istantaneamente nella dimensione medievale (una dimensione tutta da riscoprire e che la volgata di oggi rinvia ad una immagine cupa, mentre in questo periodo si celano notevoli sorprese (un tema di grande interesse che parte dal famoso saggio il “Gusto dei primitivi” di Lionello Venturi e che merita una incursione a parte).

La sala delle Carte come si presentava in origine nel Comune di Mendatica

Ma in questi territori sono presenti altri siti che testimoniano l’importanza della raccolta delle documentazioni storiche, come ad esempio i piccoli musei etnografici di Mendatica nell’omonimo Comune. Sono attività che necessitano ovviamente di una continua attenzione e cura e, dalle notizie raccolte recentemente purtroppo – in particolare la sala delle cartografie (che raccoglie anche nel suo archivio deposito oltre 500 slide di cartografie storiche realizzate oltre

25 anni fa negli archivi di Stato di Torino e Genova, mentre sono esposte una 30 di carte di particolare interesse) – versano in condizioni non più adeguate e di degrado. Inziative come questa, avviata dalla commissione cultura del Comune di Mendatica di anni fa, erano oggetto di un notevole interesse di pubblico, che oggi purtroppo si è ridotto ai ricercatori che traggono da queste fonti importanti elementi di studio: un motivo sufficiente comunque per fare qualcosa perchè un patrimonio così non vada disperso. Ci si augura che le nuove iniziative come il nuovo protocollo di intesa di cui parliamo più avanti, sappiano anche guardare al recupero di beni culturali che hanno impegnato per anni studiosi e indagini e che possono essere di interesse per non perdere la memoria di questa antica tradizione di conoscenza geografica del territorio.

Oggi questo insieme di itinerari a cavallo tra Piemonte e Liguria è oggetto di molte attività di rilancio sia di natura paraistituzionale, che vede organizzazioni come Conitours (il consorzio di Confcommercio degli operatori turistici del cuneese) sulla Via del Sale o il gruppo dei Comuni che collegano il Monregalese con l’area più occidentale della provincia di Savona sino ad esempio a Loano: un progetto recente questo che porta la denominazione di Roa Marenca che ha come sua partenza il Comune di Montaldo Mondovì ed anche la sua pagina FB.

Una attività che sta generando un ritorno di interesse, che a dire il vero aveva già avuto una sua prima fase nelle attività lanciate dal prof. Laiolo come ricordato precedentemente. Purtroppo però il nostro paese è noto per avviare processi, faticosi di per se, che purtroppo non riescono ad avere garantita una sufficiente continuità per potersi radicare e dare risultati concreti.

Recente è ad esempio una nuova iniziativa con la sottoscrizione di un protocollo di intesa che interessa una vasta fetta di territorio dell’entroterra tra Valle Tanaro e imperiese, che tuttavia già vede l’assenza di Comuni cardine storicamente interessati dal tema della Strada Marenca nella sua fascia occidentale.

Altre attività di promozione sugli itinerari sono ad esempio quella innovativa, perché nata dalla cooperazione tra due associazioni come wepesto https://wepesto.it/ e Ponente experience, che hanno insieme promosso il progetto Liguriawow con la mappatura mediante trakker di Google dei sentieri dell’area imperiese. Una impresa con geode geografico a spalle non da poco, che oggi conta ben 500 km di sentieri visibili su web in modalità Street View.

L’interesse locale è anche tenuto in vita da iniziative di promozione che sono in corso da anni (nel 2022 alla sue 13° edizione) come la traversata Imperia – Limone Piemonte organizzata dal vivace gruppo di Monesi Young che quest’anno ha visto sulla 4 giorni di trasferimento nella fine del mese di agosto, la presenza di circa 40 partecipanti oltre il folto gruppo di operatori a supporto per tappe sicurezza etc.., che hanno ripreso e percorso le antiche tracce di collegamento tra Alpi Liguri e mare, ma al contrario rispetto ai percorsi storici originari, ovvero dal mare verso i monti.

Ma occorre a questo punto della nostra riflessione, non tralasciare come dietro al fatto della ricerca di nuove occasioni per far camminare turisti lungo valli e regioni, vi sia in realtà un tema connesso alla storia delle scienze, che in questa occasione vede l’intreccio tra la Storia e l’Ecologia, in quel affascinate campo di indagine dell’Ecologia storica, che ha visto proprio in Liguria una importate scuola di riferimento con i prof.ri Roberta Cevasco e Diego Moreno, oltre ad un ambiente di pensiero che ha avuto un fine pensatore e studioso come Massimo Quaini, con il quale aveva anche collaborato il dr. Laiolo. Lo studio delle antiche vie ci mette nelle condizioni di sovrapporre analisi documentali, geografia fisica, meteorologia storica, dinamiche della vegetazione, il tutto in rapporto al contributo fornito dalle comunità economiche e sociali che nei secoli hanno interessato i territori dell’entroterra ligure e il confinante Piemonte. Un campo pluridisciplinare che mira alla sintesi e non alla separazione, che presenta affascinanti scenari che nel dibattito di oggi, tutto spinto alla semplificazione del reale per meglio gestirlo (in realtà per meglio venderlo), è spesso assente, mentre il locale urla e chiede a gran voce uno spazio suo per poter sopravvivere alla degradante e unificante macchina del globale (vedasi il contributo di Cevasco-Moreno).

Laiolo ci ricorda a proposito che intorno a questi temi si articola lo stesso principio di sviluppo delle identità locali di uno spazio geografico, senza le quali chi viene a contatto con esse non può percepirne il vero senso o “valore aggiunto”, come lo stesso Laiolo denomina, il cuore dell’identità di un luogo. Sentiamo sul tema dell’identità culturale dalle sue vive parole di cosa precisamente dobbiamo intendere: “le componenti di una identità culturale e le polarizzazioni territoriali collegate per gli abitanti di un territorio”.

Siamo di fronte tuttavia ad una problematica che vede due polarizzazioni diverse: una legata a chi vive un luogo e la seconda a chi lo frequenta dall’esterno, spesso per interesse turistico. I cosidetti insider ed outsider di Eugenio Turri del suo basilare saggio “Paesaggio come teatro”. Anche su questo tema è interessante ascoltare il pensiero di Laiolo, che mette bene in evidenza quale sia quel “delta” o valore aggiunto che un territorio dal suo interno può far emergere come vera attrattività, a dire il vero tutta immateriale, che può fare la differenza nello sviluppo di un sistema locale: un tema che troppo spesso si limita ad essere risolto fornendo strutture e servizi, certo indispensabili, ma che rischiano di essere vuoti di anima identitaria, se non accompagnati da processi culturali, quelli appunto immateriali, che hanno a che fare con la categoria delle identità, antropologicamente così importanti.

Ma sul tema identitario non mancano altri aspetti di interesse come il riconoscimento che proprio di recente UNESCO ha assegnato alla attività che sta a cavallo tra materiale e immateriale, dei manufatti di tenuta delle cosidette “fasce”, in Liguria molto diffuse per le coltivazioni  dell’Ulivo, che ha preso a tipologia esempi presenti in più location italiane (14 siti, compresa la Liguria), appositamente denominato “L’Arte dei muretti a secco” . Una nomina che ha interessato proprio l’ambito del Patrimonio culturale immateriale di UNESCO, e che il Comitato relativo, riunito dal 26 novembre al 1 dicembre 2018 a Port Louis, nelle isole Mauritius ha sancito nella Lista di riferimento, con una operazione transnazionale che ha coinvolto otto paesi europei: Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Slovenia, Spagna e Svizzera. (qui la pagina UNESCO relativa al sistema mondiale dei patrimoni immateriali).

Anche partendo da queste realtà che sono entrate in un contesto mondiale di riconoscimento è importante partire: non si tratta però solo di tracciare e marcare al suolo mille vie (che si farebbe poi fatica a capire chi potrà percorrere e gestire rischiando una esplosione di offerta a fronte di una domanda ovviamente di fatto limitata), ma di affiancare a queste attività un progetto tutto immateriale per mirare a riprendere, in uno scenario attualizzato, i mille lacci di memoria e di valori locali che fanno loro in se il valore identitario culturale del luogo, il “valore aggiunto” di Laiolo.

Per un impegno come quello qui auspicato è necessario far entrare in scena competenze nuove, tutt’altro che settoriali, ma che avendo avuto modo di formarsi su piattaforme interdisciplinari, riescono a dialogare sui diversi fronti che un progetto identitario locale deve saper gestire: del progetto, della pianificazione, della cultura, delle arti, della comunicazione, della natura. La si potrebbe chiamare la professione dell’operatore locale di facilitazione, che ponendosi come un enzima tra amministratori, economie locali, cittadino e territorio naturale o storicamente modificato –  che ha le sue dinamiche invarianti, piaccia o no all’uomo prometeico – riesce a stimolare la giusta reazione, per fare le scelte più efficaci per il mantenimento del tessuto sociale di uno spazio vissuto, per ricomporre il suo ruolo nel contemporaneo. Appare chiaro che in questo percorso invece di esperti geometri o architetti compilatori di dossier di candidature a progetti europei, occorre anche che ci si doti di antropologi culturali: quasi una bestemmia per certi ambienti, ma è cosi.

Certo pare proprio si possa trarre una triste conclusione in merito all’impegno che i territori dedicano allo sviluppo locale: oggi non è più presente quella forte alleanza che vedeva uniti da un lato gli amministratori pubblici illuminati e dall’altro gli ambienti della ricerca e della cultura (istituzionale o locale) che trovandosi reciprocamente sullo stesso terreno della qualificazione del territorio, sapevano unire azione di gestione politica e riflessione di ricerca. E’ questo il mix di valori che si aveva trent’anni fa e che possono mobilitare in modo adeguato l’impegno per il territorio, beninteso coinvolgendo tutti gli interessati ed appassionati dei propri spazi di vita di un luogo, in un sano processo di partecipazione collettiva.

Non semplice certo, ma la società nostra si salverà complessificando il suo approccio e non semplificandolo come vorrebbero i mercati (quelli della acezzione contemporanea e non quelli delle storiche piazze cittadine): a questi interessa l’abitante come centro di fatturazione e non come centro di costruzione di senso del luogo in cui vive.

Scrive per noi

IPPOLITO OSTELLINO
Ippolito Ostellino nasce a Torino il 16 agosto 1959. Nel 1987 si laurea in Scienze Naturali e opera come prime esperienze nel settore della gestione e progettazione di Giardini scientifici Alpini. Nel 1989 partecipa alla fondazione di Federparchi Italia. Autore di guide botaniche e di interpretazione naturalistica e museale, nel 1997 riceve il premio letterario Hambury con la guida ai Giardini Alpini delle Alpi occidentali. Dal 2007 al 2008 è Presidente nazionale AIDAP, Associazione italiana dei direttori dei parchi italiani. Dal 2009 partecipa come fondatore al Gruppo di esperti nazionale sulle aree protette "San Rossore". Nell'area torinese opera in diversi campi: è il promotore del progetto Corona Verde dell'area metropolitana torinese per la Regione Piemonte, e svolge attività di docenza presso il Politecnico di Torino; nel 2008 progetta il format della Biennale del Paesaggio Paesaggio Zero; nel 2009 è autore con i Prof. Pala e Occeli del progetto della ciclovia del canale Cavour ; nel 2011 ha ideato il marchio di valorizzazione territoriale “CollinaPo” sul bacino di interesse dell'area del fiume Po e delle colline torinesi e nel 2016 porta a riconoscimento UNESCO Mab il territorio di riferimento; nel 2016 coordina il tavolo Green infrastructure nel III Piano strategico dell'area metropolitana. Autore di saggi, contributi congressuali e libri sul tema Natura, Paesaggio e Ambiente, nel dicembre del 2012 è stato insignito del premio Cultori dell'Architettura da parte dell'Ordine degli Architetti della Provincia di Torino. Dal 2022 è membro effettivo del Centro di Etica ambientale di Parma e prosegue la sua attività presso l’Ente di gestione regionale del Parco del Po piemontese.