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La Dad non è la panacea ma aiuta a meglio motivare

| Ciro Raia

Tempo di lettura: 4 minuti

La Dad non è la panacea ma aiuta a meglio motivare

La pandemia contribuisce a negare ai giovani il diritto all’apprendimento, aggravando la frattura tra i pochi che sanno ed i molti che non sanno. E la scuola crea disagio: agli studenti come agli insegnanti. La Dad – pratica emergenziale e non sostitutiva di quella in presenza – allora può e deve diventare occasione di un recupero della motivazione e della finalità di un progetto educativo.

Il danno maggiore causato dalla pandemia in atto – e i cui effetti saranno drammaticamente visibili nei prossimi anni – risiede nella scelta (indispensabile o inutile, meditata o improvvisata, di pancia o di testa) di contribuire a negare ai giovani il diritto all’apprendimento.

Succederà così che, in un tempo di numerosi e complessi cambiamenti, emblematici distintivi della società europea, il nostro Paese si caratterizzerà per l’esibizione di una sempre più netta frattura tra i pochi che sanno ed i molti che non sanno.

…quando i nati nella seconda decade del terzo millennio varcheranno la soglia della maggiore età, per essi si configurerà il rischio di ritrovarsi in pochissimi in grado di interpretare il reale, mentre saranno sempre di più coloro capaci solo di utilizzare quanto imposto dal consumismo ed ancora più numerosi coloro che vivranno da emarginati in una società destinata passivamente ad assisterli.

Emarginati e passivi

Infatti, quando i nati nella seconda decade del terzo millennio varcheranno la soglia della maggiore età, per essi si configurerà il rischio di ritrovarsi in pochissimi in grado di interpretare il reale, mentre saranno sempre di più coloro capaci solo di utilizzare quanto imposto dal consumismo ed ancora più numerosi coloro che vivranno da emarginati in una società destinata passivamente ad assisterli.

In netta controtendenza, in tal modo, rispetto alla necessità di acquisire capacità tese a cogliere il significato delle cose, a comprendere e dare un giudizio, a produrre un adattamento all’evoluzione dell’economia e del lavoro.

Il malessere della scuola è sempre più palpabile

Oggi il malessere della scuola è sempre più palpabile e gli eventi che ne scaturiranno saranno, purtroppo, sempre più negativi. Nell’anno da poco concluso sono aumentati gli sconfitti della scuola; ad essi si sommeranno i perdenti dell’anno scolastico appena (o forse mai) cominciato. Sta, infatti, succedendo che la scuola, istituita per creare agio (vantaggio, opportunità), crea, invece, solo disagio (svantaggio, mancanza di opportunità). Crea disagio ai giovani, perché la percepiscono inutile, distante dai problemi reali, incapace di rispondere all’inconsapevole bisogno di conoscere il senso di quello che si insegna.

Crea disagio ai docenti, che, schiacciati da un cumulo di responsabilità (molte delle quali posticce), non riescono a dare risposte ai tanti messaggi di (in)sofferenza dei giovani.

Crea disagio alle famiglie: ad alcune perché vien meno alla funzione di parcheggio assistito dei minori; ad altre perché indecise nella scelta tra il primato della salute (importante è stare bene, tutto il resto è relativo!) e quello di un titolo di studio (un pezzo di carta, quale che sia, si troverà sempre!); ad altre ancora perché, vista la lampante incoerenza/incompetenza di chi siede nei luoghi di potere decisionale, seriamente preoccupate del futuro dei propri figli e di quello dell’intera società.

Nuove risposte e nuove strade

Urgono, allora, domande da fare e farsi, piuttosto che dare risposte scontate e, spesso, ripetitive, inconcludenti e confuse. E, contrariamente a un senso comune abitudinario e discriminante, questi nuovi interrogativi, forse, se li pongono maggiormente i giovani, perché, come qualcuno ha detto, essi sono più saggi dei vecchi, in quanto più vicini alla fine del mondo. Per cui le nuove domande, tenendo conto della scontata vecchiezza di un sistema scolastico e del suo apparato di trasmissione dei saperi, non possono prescindere dal generare nuove strade in cui si dimostri (sperimenti, razionalizzi e documenti) che in ogni apprendimento deve essere presente la fatica dell’imparare con regole formali e rigorose.

La Dad – pratica emergenziale e non sostitutiva di quella in presenza – può rappresentare un primo passo sulla via di una innovazione del fare scuola e sul conseguente apprendimento di tutti i soggetti (pur in ruoli diversi) in campo. Infatti, essa può aiutare a chiarire che l’apprendimento è da intendersi -oltre che come naturale risultato dei processi di insegnamento – come l’insieme di quei processi stessi nel corso dei quali il risultato “apprendimento” ha luogo. Cioè, insieme alla modifica di comportamento degli studenti, viene tenuto in debito conto anche il cambiamento generato in tutti i soggetti in interazione: allievi, insegnanti, classe, scuola, famiglia e società. Ed è in questo modo che si può configurare con chiarezza anche il passaggio dalla scuola d’élite a quella di massa. Che resta, quest’ultimo ed antico nodo, l’equivoco di fondo di un sistema di formazione teso, nelle intenzioni, alla mondializzazione ed ancorato, nei fatti, a perseguire un sapere non significativo per sé.

Costruire concreti laboratori didattici

Per cui la Dad – pratica emergenziale e non sostitutiva di quella in presenza (repetita iuvant) – non può essere vissuta ed interpretata come una teoria di interventi slegati, scoordinati e impartiti con disposizioni differenziate da scuola a scuola (le ore di lezione sincrone, le ore di mezz’ora, le fotocopie di schede, gli esercizi dal manuale e via dicendo). La Dad può/deve diventare occasione di un recupero della motivazione e della finalità di un progetto educativo, che intenzionalmente insegni a studiare.

Ciò impone che, nella drastica riduzione dei tempi per gli insegnamenti-apprendimenti, vada perseguita una didattica giocata tutta sulla pulizia dei ragionamenti e sulla loro essenzialità. Il risultato finale non potrà che essere la costruzione di concreti laboratori didattici. In essi si supporteranno e potenzieranno metodi di studio, sviluppo di capacità di autonomia e di curiosità di sapere (curiositas = attenzione, interesse, calore della conoscenza, voglia di esperienze). E si potranno ottenere lavorando sia con argomenti-pretesto, sia con materie-pretesto, in modo tale che, ancora una volta, i docenti si possano confermare veri facilitatori dell’apprendimento, senza, magari, ispirarsi ai modelli passati di chi intende caparbiamente “spiegare col cucchiaino”.

Perché, spesso, si potrebbe finire col seguire i comportamenti di un personaggio che vive in alcune pagine di Domenico Rea (Ritratto di Maggio) il quale «sosteneva di saper spiegare col “cucchiaino” e non sopportava che, dopo, qualcuno, ed erano molti, non avesse capito […] ed allora, per non correre il rischio di rimanere troppo indietro nello svolgimento del programma abbandonava gli “asini” al loro destino».

Scrive per noi

Ciro Raia
Ciro Raia
Ciro Raia, preside in pensione, è Presidente dell'I.Re.S.CO.L. (Istituto regionale per lo Studio della Storia dei Comuni e delle Comunità Locali).