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Parchi del Po in Piemonte: verso i quarant’anni di vita.

| IPPOLITO OSTELLINO

Tempo di lettura: 10 minuti

Parchi del Po in Piemonte: verso i quarant’anni di vita.

1990-2020. Con il mese di aprile 2021 si apre in Piemonte il quarto decennio di vita delle aree protette del Po, nate da un grande progetto visionario di pianificazione e tutela della natura guidato del Piano d’area unico del fiume Po, che oggi necessiterebbe di un aggiornamento, tema analizzato dal recente quaderno di ricerca pubblicato da IRES Piemonte. “30 ANNI DI PIANIFICAZIONE DELLA FASCIA FLUVIALE DEL PO. Verso una green infrastructure metrofluviale.” Una nuova fase temporale dove lo spirito del programma Man and Biosphere possa ripartire con nuovo slancio.

di Ippolito Ostellino

Era il 17 aprile del 1990 quando l’amministrazione regionale Piemontese (con l’Assemblea presieduta da Aldo Viglione, padre delle precedenti acquisizioni importanti di aree destinate a parco come La Mandria a Venaria e Druento o Le Vallere a Moncalieri) approva l’istituzione di un nuovo “parco” regionale: Il Sistema delle aree protette della fascia fluviale del fiume Po. Un bell’inizio di un decennio che sarà significativo, grazie ad altri importanti parchi istituiti, a cui la Regione Piemonte arriva a 15 anni dalla prima legge promulgata sulle Aree protette, la n. 43 del 1975, tra le pioniere in Italia con Liguria e Lombardia.

Nel 2020 il trentennale della nascita dei parchi del Po in Piemonte è purtroppo stato sommerso dalla emergenza pandemica COVID-19, che ha assorbito completamente l’attenzione di media come anche dei gestori dei parchi. Ma con il 2021 c’è tempo per riflettere e ricordare una importante tradizione apertasi in quella primavera di 31 anni fa, che ha dato molti frutti e generato mille esperienze, segnate da fattori di forte innovazione e creatività.

La straordinarietà di quel passo fatto negli anni ‘90, sta soprattutto nell’aver diffuso in modo esteso  ad un territorio che tocca ben 4 province piemontesi, il modello dei parchi negli ambiti della pianura, tradizionalmente più antropizzati e segnati da degrado e contraddizioni negli usi del suolo, oltre tuttavia alla presenza ancora viva di spazi di natura, che lungo il fiume sono riusciti a sopravvivere, spesso grazie alla capacità dei corsi d’acqua di riprendersi i loro spazi durante gli eventi di piena, tenendo lontane (faticosamente) da loro le attività antropiche.

Sino al 1990 i parchi naturali istituti (oltre una trentina in tutto) avevano interessato prioritariamente le aree montane ed alpine o le grandi porzioni unitarie sotto il profilo del regime proprietario (come l’area della Mandria a nord di Torino), anche se c’erano stati già segnali di impegno sui temi delle aree umide (con le aree protette dei laghi di Avigliana nel 1980 o le Riserve naturali delle Garzaie vercellesi o di sistemi fluviali importanti, con il Parco del Ticino piemontese istituto nel 1978). Anche il Po era già stato interessato da iniziative di tutela, come nel caso della Riserva naturale di Valenza Po nel 1978 o l’area attrezzata delle Vallere nel 1982, che tuttavia riguardavano territori di grande interesse ma di limitatissime estensioni.

Una novità, quella della tutela dell’intera asta del Po, sia perché l’insieme della protezione fluviale interessa si ampie aree demaniali, ma soprattutto ed anche territori privati, aree agricole, di servizi ed urbanizzate, iniziando così quel dialogo complesso tra istituti di vincolo e proprietà privata, e sia per costituire la prima iniziativa di tutela di una vasta porzione del fiume Po rispetto alle altre Regioni padane (nel 1988 e nel 1998 nascono rispettivamente le aree protette regionali del Delta del Po emiliano-romagnola e veneta).

Fu un avvio complesso quello del Po, tant’è che alla sua prima proposta come “Parco del Po”, l’allora Giunta regionale respinse la proposta dell’Assessorato, che in secondo ordine presentò l’istituzione del “Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po” dove, come si legge la parola “parco” non compariva, pur essendo, come nel progetto precedente, la sommatoria di molte aree classificate a riserva naturale collegate tra di loro da aree tampone, chiamate zone di d’alba guardia (oggi ridenominate aree contigue). Un espediente nominale che seppe dare i suoi frutti positivi per la tutela della natura.

Ma in soccorso alla chiarificazione del rapporto tra vincolo e usi del suolo arriverà di lì a pochissimo lo strumento principe per la gestione del dialogo con il territorio: ovvero il Piano territoriale o Piano del Parco, che prende il nome di Piano d’area nella legislazione piemontese, che rappresenta il piano regolatore dell’uso del suolo, che sostituisce le previsioni locali dei Comuni (come previsto dallalegge nazionale in materia di parchi n. 394/91). L’8 marzo del 1995 viene infatti approvato dal Consiglio regionale, dopo le diverse fasi di consultazione, lo strumento di pianificazione che in allora ha rappresentato una novità assoluta, sia per la vastità e differenziazione del territorio interessato (dai contesti montani e di prima pianura, a quelli urbani, dei servizi, agricoli e della gestione idraulica, oltre ai mille usi del suolo che si susseguono lungo una fascia fluviale integrata nell’ambito padano) sia per la forte integrazione tra aspetti ecologici ed urbanistici. Due fronti tematici tra i quali ancora oggi possiamo di certo affermare, non esiste un dialogo facile anche se lomto più evoluto di trent’anni fa.

Con questo strumento vengono introdotte per la prima volta in Italia il principio delle “fasce fluviali” ovvero delle aree di pertinenza diretta del corso d’acqua (che comprendono l’alveo ordinario oltre ai territori circostanti interessabili dalle espansioni inoccasioen degli eventi alluvionali), che poi anni dopo sono divenute pratica acquisita per tutto il bacino del Po dal 2001, quando venne approvato il Piano di Assetto idrogeologico del Bacino del Po, (PAI). Una esperienza sviluppata dall’innovativo gruppo di lavoro del Politecnico di Torino guidato dal Prof. Roberto Gambino,che diede vita a questo istituto come anche all’impianto generale del Piano nel quadro del precedente Progetto territoriale operativo PTO del Po, sviluppato a partire dalla fine degli anni ’80.

Dopo il 1990, con la legge che estende ancora le aree protette – la numero 65 del 1995 (portando la salvaguardia all’interno del contesto urbano sul Po e degli affluenti periurbani come il Sangone e la Stura di Lanzo oltre a molte altre estensioni) – i tre enti di gestione istituti 5 anni prima, per affrontare questo complesso soggetto di conservazione del sistema fluviale del Po, avviano le loro attività con limitate risorse economiche e soprattutto quasi senza personale (parte infatti in allora il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego). Fa eccezione l’Ente dell’area del Po vercellese-alessandrino che ha beneficiato del primo nucleo di struttura dell’Ente della Riserva naturale di Valenza già istituta dagli anni ‘70.

Pur tra queste difficoltà le esperienze per ognuna di queste tre realtà si diffondono tra numerosi progetti ed attività, spesso di natura innovativa. Vediamole di seguito in sintesi.

Il tratto del Po cuneese apre ad esempio il fronte delle cooperazioni transfrontaliere, grazie anche alla presenza del confinante Parco regionale francese del Queyras , che si è tradotta in molti programmi europei di natura complessa, con una movimentazione di risorse importanti e con un partenariato territoriale che ha permesso di sviluppare la candidatura a Riserva della Biosfera UNESCO nel programma Man and Biosphere, con il riconoscimento ottenuto nel 2014 (qui i link per accedere a varia documentazione nelle diverse fasi temporali (2004-2006,  2007 2013, 2014-2020).

Una esperienza di sapore internazionale quella dell’Ente del Po cunnese (che nel territorio cuneese era già iniziata con attività pionieristiche e di notevole impatto territoriale nonché economico con il Parco dell’Argentera, oggi Parco Alpi Marittime) e che ha visto negli anni crescere notevolmente la sua matrice in realtà montana e alpina, abbandono in qualche modo quella fluviale e del Po, aspetto poi confermato dalla sua recente trasformazione in ente con la denominazione “Parco del Monviso”.

Il tratto del Po torinese ha anch’esso esplorato con particolare efficacia il tema delle relazioni internazionali, con l’adesione nei primi anni 2000 all’organizzazione dei Parchi periurbani europea Fedenatur , dalla quale fa nascere l’idea del progetto dell’integrazione fra tutte le aree protette regionali intorno a Torino, promuovendo nel 2000 il progetto Corona Verde.

Questo ente in particolare sperimenta molte attività di natura interdisciplinare, impegnandosi nei temi di rapporto con l’arte e la cultura ideando la Biennale Paesaggio Zero,  come con quelli dei Bilanci sociali, o ancora del fronte del recupero del più grande comparto estrattivo del Po in Piemonte. Ques’ ultimo punto diviene terreno di esperienze con grandi progetto di recupero (tra i quali occorre ricordare il primo del progetto delle società Germaire-Monvisonei Comuni di Carmagnola e Carignano, oggi promosso dalla pagina FB GERMAIRE Green ) che sfoceranno poi nell’idea di un grande Masterplan territoriale denominato del Po dei Laghi.

Un dialogo non facile nei primi passi, essendo un confronto tra una tradizionale e radicata attività industriale con una nuova modalità di intendere il progetto estrattivo in equilibrio con i temi ecologici e della fruizione pubblica. Tuttavia, anche grazie alla forte cooperazione con i settori regionali competenti, ad una attività di mediazione serrata ed alla disponiblità di una serie di imprenditori illumitati (organizzati dell’associazione di Imprese UNIMIN dell’Unione Industriale di Torino), i risultati sono stati decisamente importanti, con quasi tutti i progetti avviati e convenzionati, che hanno anche permesso agli enti coinvolti, Comuni e Parco, di beneficiare in più di importanti risorse finanziarie legate alle tariffe estrattive previste a livello regionale. E possiamo dire che oggi il settore delle attività estrattive è uno dei supporter più importanti del sistema dei parchi fliviali.

Anche sul fronte della ricerca e della sperimentazione si aprono molti fronti nel torinese,  come quello con il Politecnico di Torino, che darà risultati come la collaborazione con l’Osservatorio Città Sostenibili del prof. Carlo Socco, un vero innovatore (che porta l’Ente torinese a diventare un punto di riferimento nel Piano strategico dell’area Metropolitana torinese) anticipando le prime idee sulla categoria delle Green infrastructure lungo il Po nel torinese, o quella con il gruppo di ricerca dei profressori Riccardo Palma e Chiara Occelli che porterà all’esperienza, che diverrà poi progetto, della ciclovia del Canale Cavour, oggi in attuazione in coordinamento con il progetto interregionale VENTO.

E anche qui l’esperienza internazionale dei primi anni del tratto torinese, sfocerà poi nella candidatura e nel riconoscimento anche di questo territorio in Riserva della Biosfera UNESCO sotto la denominazione di CollinaPo, sostenuta finanziariamente integralmente dal Gruppo IREN, portando ad avere la prima area Urban MaB Italiana. Una meta raggiunta in particolare a partire dal 2012, quando l’Ente del Po tratto torinese estende la sua competenza sulle aree protette delle colline del Po, con in particolare il Parco naturale della Collina di Superga, naturale elemento di coniugazione tra fiume e i suoi rilievi posti a est del suo percorso planiziale, con un lavoro di branding territoriale che dava vita in quegli anni al marchio collettivo CollinaPo.

Il Parco del tratto vercellese alessandrino si distingue invece per l’intesa attività svolta innanzi tutto nel diffondere una nuova cultura progettuale nella realizzazione degli interventi di difesa idraulica e di regimazione delle acque. Grazie all’affermazione del suo ruolo, partita già dal 1978 con le attività dell’ente della riserva di Valenza, rappresenta una pietra migliare di questo lavoro di cambiamento delle idee in merito alla gestione fluviale, l’agile ma densissimo opuscolo editato nel 1988 dal significativo titolo “I fiumi italiani e le calamità artificiali“.

Un lavoro che negli anni è stato lungo e complesso anche perché affrontato avendo in qualche modo come controparte un’altra istituzione pubblica, l’allora Magistrato per il Po (oggi Agenzia AIPO) , che per tradizione pluridecennale gestiva il fiume a colpi di “mantellate”, blocchiere di cubi di cemento ed altre modalità fortemente ingegneristiche, che poco avevamo a che fare con il nuovo approccio naturalistico portato avanti dal Parco. Una nuova visione che era supportata dalla  pianificazione ambientale che già dagli anni 60 si era diffusa con ad esempio la scuola di Ian McHarg, che nel 1969 pubblico il mitico “Design with nature” : una concezione quella dell’architetto e paesaggistica scozzese, che sosteneva la necessità di un intento consapevole, di una valutazione etica, di una organizzazione ordinata, di una deliberata espressione estetica nel trattare ogni parte dell’ambiente, ponendo l’accento non sulla progettazione o sulla natura in se stesse, ma sulla preposizione “con”, che presuppone cooperazione umana e compartecipazione biologica. Una visione che cerca non di imporre arbitrariamente la progettazione, ma di sfruttare appieno le potenzialità e, con esse, necessariamente le condizioni restrittive che la natura ci offre.  Un approccio, quello del pensiero ambientale applicato alla progettazione e pianificazione, che aveva già avuto da tempo illustri predecessori, a partire da Sir Patrick Geddes  negli anni ‘20.

Ma l’area del Po tra Casale Monferrato e il confine con la Lombardia ha avuto anche un ruolo importante nel campo della pianificazione socioeconomica, sviluppando i primi documenti sul tema negli anni ‘90. Un tema sul quale anche il Po torinese ha sviluppato un modello pilota, proponendo un programma di sviluppo tra economia, sociale e indagini antropologhe. Da segnalare come da queste attività sul fronte sociale ed economico prende poi il via l’innovativa iniziativa dell’Area turistico-ambientale dell’area vercellese alessandrina che porterà poi agli sviluppi dei progetti di marchio locale.

Inoltre l’area del Po del terzo tratto gestionale, ha sviluppato negli anni una intensa attività di cooperazione tra agricoltura, ambiente e turismo (con numerose proposte di turismo slow grazie alla città rete di ciclovie fluviali segnalate). Infine il settore delle attività estrattive connesse al recupero ambientale ha dato risultati importanti anche qui, facendosi regista di numerosi progetti che hanno visto l’avvio di escavazioni con importanti ricostruzioni di aree ecologiche.

In sintesi 40 anni di progetti portati avanti da tre soggetti, grazie soprattutto alla unitarietà dello strumento urbanistico-ambientale del Piano d’area, che con la sua coerenza complessiva ha saputo tenere insieme il complesso sistema territoriale dell’asta fluviale, aprendo già in quegli anni una alleanza tra politiche della natura e del paesaggio che solo anni dopo hanno iniziato ad affermarsi (vedasi il bellissimo volume antologico a cura di Roberto Gambino e Attlia Peano “Nature Policies and Landscape Policies.Towards an Alliance”).

Sono stati anni non facili, anche per rendere accessibile a tutti la comprensione dello strumento, pubblicato dal Po torinese per tutta la tratta all’inizio degli anni 2000, e per facilitare il suo utilizzo da parte degli uffici dell’edilizia degli oltre 60 comuni interessati (tra i quali colossi burocratici come la Città di Torino), che con molte difficoltà hanno preso dimestichezza con un metodo di progettazione e valutazione ambientale che per tutti gli anni ’90 e 2000 non era certo di consuetudine nel mondo dell’urbanistica (basti ricordare che la prima legge regionale sulla valutazione di impatto ambientale è del 1998 ovvero 8 anni dopo l’istituzione del Parco del Po.)

Ora il destino unitario si è in parte modificato, con la fusione dei due enti storici dei tratti torinese e vercellese alessandrino in un unico ente, denominato Parco del Po Piemontese, mentre gli oltre 60 km del tratto cuneese del fiume Po sono rimasti separati nel Parco del Monviso.

Si è trattato di una recente modifica che ha identificato, solo però nominalmente, l’insieme delle aree protette del Po dal confine della Città metropolitana di Torino con la Provincia di Cuneo alla Lombardia, come “Parco naturale del Po piemontese” (oltre al Parco naturale del Bosco della Partecipanza e delle Grange vercellesi ed a quello della Collina di Superga), essendo purtuttavia un’area non classificata interamente a sensi di legge come “Parco”, essendo la sommatoria di riserve naturali intervallate tra di loro da aree contigue nel tratto torinese, per poi divenire una fascia a parco naturale da Verrua Savoia verso est (qui tutti i dettagli territoriali)

Si apre dunque nel nuovo decennio, una importante sfida, per mantenere una gestione unitaria del sistema fluviale “eridaneo”, che è fondamentale nel caso dei corsi d’acqua e dei bacini idrografici, e nella quale l’operato del Piano sarà cruciale. Un tema quest’ultimo che è oggetto in questi giorni di un lavoro di analisi pubblicato nei Quaderni di Ires Piemonte, e dal quale ci si augura potrà nascere un dibattito per l’aggiornamento del Piano d’Area del Po, che presenta notevoli complessità anche sotto il profilo legislativo, essendo stato eliminato dagli strumenti di piano per il Po dalla recente legge in materia di aree protette n.19/2009.  (scarica il quaderno di ricerca “30 ANNI DI PIANIFICAZIONE DELLA FASCIA FLUVIALE DEL PO. Verso una green infrastructure metrofluviale. Appunti per una nuova stagione di pianificazione integrata della fascia fluviale del Po in Piemonte”, a cura di Ippolito Ostellinoe con la presentazione di Fiorenzo Ferlaino).

Ma questo nuovo periodo ci si augura possa anche coincidere con una nuova fase dove lo spirito del programma Man and Biosphere di UNESCO possa ripartire con nuovo slancio e dove le inziative delle Riserve del Monviso e di CollinaPo (specie nel caso di quest’ultima) si portino al livello delle mille attività che nonostante la Pandemia altre MaB italiane hanno sviluppato con forza e determinazione come le Alpi Judicarie e Ledrensi, il Monte Peglia o l’Appennino Tosco Emiliano.

Mille auguri allora per iltuo prossimo quarantennio Fiume Bodincus (*), come gli antichi popoli ti chiamavano osservandoti serpeggiare tra le tue imponenti foreste di pino alla sorgente e querce in pianura oltre duemila anni fa.

 

(*) Il fiume Po: esso appare oggetto di discussione già a partire da Metrodoro di Scepsi (II-I secolo a. C.), il quale, nella testimonianza di Plinio, spiega la corrente denominazione sulla base di un idronimo gallico, affiancandola alla denominazione propriamente ligure (entrambe caratterizzanti l’alto corso del fiume): […] poiché intorno alla sorgente di questo fiume ci sono molti pini selvatici, che in lingua gallica si chiamano pagi, il Po prese questo nome, mentre nella lingua dei Liguri lo stesso fiume si chiama Bodincus, che vorrebbe significare «senza fondo». Questa notizia è convalidata dall’esistenza, sul Po, della città di Industria (nel Comune di Monteu da Po), il cui antico nome era Bodincomago, sita proprio dove la profondità del fiume comincia a farsi notevole. Dalla voce ligure Bodincus poi deriverebbe il composto decisamente gallico Bodincomagus, toponimo corrispondente alla romana Industria simile ad altri toponimi ugualmente costellanti il corso del Po o dei suoi affluenti, quali Excingomagus, corrispondente a Exilles in valle di Susa […].

Scrive per noi

IPPOLITO OSTELLINO
Ippolito Ostellino nasce a Torino il 16 agosto 1959. Nel 1987 si laurea in Scienze Naturali e opera come prime esperienze nel settore della gestione e progettazione di Giardini scientifici Alpini. Nel 1989 partecipa alla fondazione di Federparchi Italia. Autore di guide botaniche e di interpretazione naturalistica e museale, nel 1997 riceve il premio letterario Hambury con la guida ai Giardini Alpini delle Alpi occidentali. Dal 2007 al 2008 è Presidente nazionale AIDAP, Associazione italiana dei direttori dei parchi italiani. Dal 2009 partecipa come fondatore al Gruppo di esperti nazionale sulle aree protette "San Rossore". Nell'area torinese opera in diversi campi: è il promotore del progetto Corona Verde dell'area metropolitana torinese per la Regione Piemonte, e svolge attività di docenza presso il Politecnico di Torino; nel 2008 progetta il format della Biennale del Paesaggio Paesaggio Zero; nel 2009 è autore con i Prof. Pala e Occeli del progetto della ciclovia del canale Cavour ; nel 2011 ha ideato il marchio di valorizzazione territoriale “CollinaPo” sul bacino di interesse dell'area del fiume Po e delle colline torinesi e nel 2016 porta a riconoscimento UNESCO Mab il territorio di riferimento; nel 2016 coordina il tavolo Green infrastructure nel III Piano strategico dell'area metropolitana. Autore di saggi, contributi congressuali e libri sul tema Natura, Paesaggio e Ambiente, nel dicembre del 2012 è stato insignito del premio Cultori dell'Architettura da parte dell'Ordine degli Architetti della Provincia di Torino. Dal 2022 è membro effettivo del Centro di Etica ambientale di Parma e prosegue la sua attività presso l’Ente di gestione regionale del Parco del Po piemontese.