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Alla COP27, la conferenza delle parti per il clima, si parla finalmente di scuola, università e educazione. Ed è un successo

| Carola Speranza

Tempo di lettura: 6 minuti

Alla COP27, la conferenza delle parti per il clima, si parla finalmente di scuola, università e educazione. Ed è un successo

All’evento più importante, a livello mondiale, nella lotta alla crisi climatica, l’educazione ambientale si prende uno spazio tutto suo per tutti i giorni della manifestazione. Testimonianze da tutto il mondo su come il riscaldamento globale colpisca le scuole e presentazione di esperienze di educazione al clima. Perché “Ogni cosa nuova nasce dall’educazione” e la lotta alla catastrofe climatica comincia con l’educazione. Dall’università una sincera confessione e una denuncia: è la stessa università “il più delle volte, a fare resistenza a nuovi ideali, a nuove richieste”.

È iniziata la ventisettesima COP, la Conferenza delle Parti sul Clima, dove per “parti” si intendono governi, organizzazioni, delegazioni e quest’ anno anche un intero hub dedicato all’educazione climatica. Nonostante le tante critiche che aleggiano su quella che è una delle COP più vigilate di sempre, ci sono anche dei segnali positivi: il dialogo pacifico tra USA e Cina; il Loss and Damage entrato finalmente in agenda ma, soprattutto, un intero spazio, con un proprio programma, pensato esclusivamente per l’educazione ambientale.

Come ricorda il giornalista Ferdinando Cotugno, inviato a Sharm El-Sheik, il progresso climatico arriverà sia dal basso che dall’alto, sono due direzioni di cambiamento entrambe necessarie. Il climate education hub ha proprio questo intento: all’interno della conferenza per il Clima, sfilata degli uomini e delle donne più importanti della Terra, c’è uno spazio in cui possono parlare giovani, studenti e professori: un intero spazio pensato per le scuole di tutto il mondo.

Fare educazione a scuola significa fare anche educazione ambientale

La giustizia climatica si basa sui diritti umani. Uno dei diritti fondamentali nella Dichiarazione universale dei diritti umani riguarda, proprio, l’istruzione.

Il secondo comma dell’articolo 26, dedicato al diritto all’istruzione recita:

L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

In un mondo in cui il pieno sviluppo della personalità avviene in un contesto di crisi climatica, i diritti umani e le libertà fondamentali, vincolate dallo sviluppo di una giustizia sociale e climatica, sono sempre più impari. In un mondo in cui interi gruppi razziali o religiosi sono costretti a diventare migranti climatici, con la conseguente difficoltà nel mantenimento di buoni rapporti diplomatici tra le Nazioni, bisogna considerare come questo diritto fondamentale sia ben collegato alla crisi del Secolo.

C’è un presupposto da sottolineare: il mondo dell’educazione è impattato dal climate change. Il primo panel vuole dimostrare proprio questo: cosa voglia dire andare a scuola, in alcuni parti del mondo, con un’incombente crisi climatica.

Una testimonianza che arriva da tutte le parti del mondo

Per questo motivo, l’incontro inizia con una breve testimonianza degli insegnanti da diversi parti del mondo: dalle isole Fiji, dalla Nuova Zelanda e, infine, dall’Argentina. Cosa si evince da questo primo video?

Prima di tutto, che quando parliamo di educazione e scuola, in alcuni parti del mondo, parliamo della possibilità o impossibilità di arrivare alla scuola di riferimento. Non si riferisce quindi a quello che l’impianto educativo possa offrire ma la possibilità stessa di poter presentarsi a lezione. Nelle Fiji, a causa dei danni dovuti alla crisi climatica, con risorse distrutte, famiglie ricollocate in nuovi spazi, serve, prima di tutto, un intervento per garantire la protezione sociale. In Nuova Zelanda, il livello del mare cresce sempre di più. Gran parte della società civile, tra cui gli studenti e gli insegnanti, vive vicini alla costa: bisogna cercare delle soluzioni per i Maori, per i loro bambini, affinché si possano sentire al sicuro.

Una testimonianza dallo Zimbabwe

Il problema della giustizia climatica è critico in Zimbabwe. Se è tanto vero che non hanno preoccupanti masse d’acqua nei confini del Paese, è anche vero che i problemi sono altri, e sono molti.

https://www.countryreports.org/

“Il cambiamento climatico, nelle nostre scuole, è evidente.” Gli insegnanti hanno perso le proprie case, le intere proprietà sono state spazzate vie. Il problema delle bombe d’acqua e delle tempeste è ormai, ogni volta, un’esperienza traumatica. “Abbiamo perso interi territori usati per i bambini, abbiamo perso ovviamente molto investimenti. Sapete cosa comporta questo?  Un aumento della povertà. Ma non chiamateci poveri, chiamateci sopravvissuti.” Viene poi accentuato un problema importante per le ragazze. Dopo la tempesta, non essendoci più fisicamente le scuole, le persone più vulnerabili, quindi le studentesse, hanno cercato lavori minorili e gran parte di loro sono entrate nel mondo della prostituzione.

Una testimonianza dal Regno Unito

L’insegnante del Regno Unito, prima di prendere parola per il suo intervento, ci tiene a specificare di quanto possa risuonare insignificante la sua denuncia dopo una testimonianza così forte. Ricorda, però, che essendo tutto collegato, soprattutto per quanto riguarda il cambiamento climatico, sia importante sentire più voci e sentirle insieme. Sa, infatti, che la politica del suo governo, basata su un’idea di aumento del proprio business, no matter what, ad ogni costo, c’entra anche con quello che è successo, e succede, in Zimbabwe. La crescita del grande business e l’aumento degli agenti inquinanti impatta, prima di tutto, il Sud del mondo.

https://www.countryreports.org/

Ma attenzione, ricorda, ormai sta impattando anche noi. Un esempio su tutti? Anche nel Regno Unito si sono dovute chiudere le scuole, per il caldo.  “Abbiamo avuto temperature strane questo luglio, prima che finisse la scuola. Le nostre scuole non sono progettate per il caldo. Alcune hanno dovuto chiudere per giorni e altre per una settimana. Noi abbiamo voluto comunque tenere aperto, ma era impossibile operare con dieci gradi in più del solito.”

Una testimonianza dalle Filippine

Nell’Oceano Pacifico, il più delle volte si insegna in condizioni di grande insicurezza. Quando parliamo del cambiamento climatico nell’educazione, bisogna notare come questo colpisca anche gli insegnanti sottopagati.

https://www.countryreports.org/

“Io vengo dalle Filippine, il problema sono i tifoni. Ogni volta, le persone colpite vengono sfrattate dalle loro case e dove vanno a cercare protezione? Nelle scuole.” Sono quindi le scuole ad accogliere gli sfollati: dove gli insegnanti danno una prima assistenza.

“Una volta, anni fa, in una delle isole delle Filippine, sempre a causa di un tifone, gli sfollati sono stati a scuola per 12 mesi: durante il giorno si faceva lezione e di notte si ospitavano le famiglie.”

L’ultima testimonianza è dedicata ad un’attivista dei FridaysForFuture, anche lei filippina, che spiega come il tema del cambiamento climatico debba entrare nell’agenda dei compiti, nelle scuole di tutto il mondo. Il problema di questa crisi è che non viene studiata, bisogna cambiare il modo di fare educazione.

UNICEF Philippines/2020/Ruel Saldico

“Dobbiamo cambiare il nostro modo di comunicare e insegnare la giustizia climatica, bisogna insegnare come cambiare il sistema, nel generale. (…) Bisogna investire in campagne, spazi per i giovani, bisogna investire i soldi che si danno alle scuole per creare questi spazi. Bisogna pretendere che l’università usi i soldi della tua famiglia non per il proprio business, i loro accordi, ma per il vero bene comune.”

E sono ancora molti gli eventi che mettano al centro l’educazione nella lotta alla crisi climatica

Sono tanti gli eventi che continuano a susseguirsi in questi giorni di Cop27 sul tema dell’educazione, come il panel dedicato all’importanza di avere una coalizione nell’educazione al clima. Il dibattito ha avuto inizio ribadendo che se non fosse stato per un certo tipo di educazione, fatta non solo di cultura ma anche di manifestazioni, i giovani non sarebbero mai riusciti ad arrivare fino a questo punto.

“Come diceva Nelson Mandela, senza l’educazione non saremmo quello che siamo.”

E così il panel inizia con una serie di richieste, legittime, da parte della nostra generazione: dalla produzione di energie rinnovabili alla protezione della biodiversità.

“Vogliamo cambiare, vogliamo salvarci e per questo siamo qui. Abbiamo bisogno di ingegneri, scienziati, politici, persone che siano consapevoli della situazione e per questo credo che climate education sia una delle più importanti soluzioni per risolvere il cambiamento climatico. Ogni cosa nuova nasce dall’educazione. Non dovremmo mai sottovalutare questo ruolo: abbiamo bisogno di educazione climatica a scuola, all’università e dobbiamo insegnarla anche alle persone adulte.”

Anche i professori scendono in campo nella lotta contro i cambiamenti climatici

Nell’evento di lunedì 14 novembre sono invece i professori a scendere in campo, raccontando le loro esperienze, le loro lotte. Da chi ha aumentato i corsi sull’argomento, a chi ha trovato nelle challenges, sfide tra le classi, un modo per promuovere la sostenibilità. Un esempio su tutti viene portato da un professore che ha indetto una competizione, tra tre università, sulla proposta migliore per garantire la mitigazione del cambiamento climatico. I professori scambiano pareri, approcci diversi, in modo da allargare la prospettiva su un cambiamento che deve partire, primo di tutto, dall’insegnamento.

La conclusione è stupefacente per la sua onestà intellettuale: tutti i presenti all’evento ammettono, per primi, che per quanto l’università rivesta da sempre un ruolo ideale, è essa stessa, il più delle volte, a fare resistenza a nuovi ideali, a nuove richieste.

La sfida quindi parte anche da alcune persone dei piani alti: è una lotta continua, e solo insieme, professori e studenti, possiamo cambiare il corso della storia.

Scrive per noi

Carola Speranza
Carola Speranza
Dopo aver conseguito la doppia laurea triennale nel dipartimento di Lettere moderne all’Università degli studi di Torino e Université Savoie Mont-Blanc, ottiene la laurea magistrale binazionale in Filologia moderna all’Università Sapienza di Roma e Sorbonne Université di Parigi. È fondatrice e autrice del blog “Grandi Storielle”.