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Educare alla mobilità sostenibile in Italia: missione impossibile?

| Andrea Bazzini

Tempo di lettura: 6 minuti

Educare alla mobilità sostenibile in Italia: missione impossibile?

Il modello italiano di sviluppo ha privilegiato l’auto. La strada per raggiungere in Italia una mobilità davvero sostenibile è ancora lunga e in salita. L’educazione alla mobilità sostenibile efficace si deve basare sulla collaborazione tre Governo, Regioni, Comuni, scuola, università e società civile, coinvolgendo competenze che vanno dalla sicurezza stradale alla tutela della salute, dell’ambiente e dei diritti della cittadinanza.

“Un paese è tanto più sviluppato quanto più si usano mezzi pubblici e biciclette” (Gustavo Petro, sindaco di Bogotà)

 

Lo spazio urbano è sequestrato dai parcheggi per auto. Foto di Andrea Bazzini

Parlare di mobilità sostenibile nello Stato che nell’Unione Europea ha il tasso di motorizzazione più alto (625 auto/1000 abitanti) dopo il Lussemburgo non è cosa semplice. Se facciamo riferimento al XX secolo, l’Italia degli anni ’30 del secolo scorso era un paese caratterizzato da un diffusissimo utilizzo della bicicletta (3,5 milioni nel 1933), dalla presenza di tramvie urbane ed extraurbane in gran parte elettriche e da ferrovie al massimo della loro diffusione con oltre 23.000 chilometri di rete, senza contare i quasi 723.000 veicoli con trazione animale che da soli contavano molto di più degli autoveicoli e motoveicoli messi insieme.

Nel secondo dopoguerra lo scenario cambiò rapidamente a favore della mobilità motorizzata di massa, prima a due poi a quattro ruote. Dal 1955 la curva di crescita delle automobili, trainata dalla Fiat, assunse un andamento esponenziale, accompagnata da un massiccio potenziamento delle autostrade e generando un enorme indotto economico diretto ed indiretto (officine e servizi di manutenzione, attività assicurative e creditizie, ecc.).

Auto, la “macchina” per antonomasia

Cresceva anche il trasporto su camion, tanto da passare tra il 1958 e il 1995 dal 63 al 73%, mentre il treno scendeva dal 25 al 9%. Il “miracolo economico” ebbe ripercussioni anche a livello urbanistico: dagli anni ‘70 la realizzazione di nuovi appartamenti è stata quasi sempre associata a quella di garage e la proliferazione di centri commerciali e artigianali nelle periferie, dotati di ampi parcheggi, non ha fatto altro che incentivare il trasporto automobilistico privato. La crescita abnorme di nuovi complessi residenziali suburbani ha fatto il resto, creando non pochi squilibri anche dal punto di vista sociale.

Il fatto stesso che la corrispondenza tra i termini “macchina” e “automobile” non esista nelle altre maggiori lingue europee (inglese, francese e tedesco) la dice lunga sullo stretto legame tra gli italiani e l’auto.

Destinati a soffocare nello smog?

Città come Amsterdam e Copenaghen rimangono quindi obiettivi irraggiungibili? L’Italia e in particolare la Pianura Padana sono destinate a soffocare per sempre nello smog? Nonostante qualche timida inversione di tendenza (per molti giovani oggi l’auto non rappresenta più uno status symbol come una volta), le premesse non sono incoraggianti.

I passeggeri dei viaggi aerei, altamente inquinanti, sono più che raddoppiati (oltre 193 milioni, dati Assaeroporti) negli ultimi vent’anni; tra il 2009 e il 2019 la crescita dei veicoli a motore è stata complessivamente del 10,9%, con un vertiginoso aumento di quelli a elevata cilindrata come i Suv; le automobili attualmente in circolazione hanno ormai superato i 39 milioni (pochissime quelle elettriche), contribuendo in maniera significativa all’emissione di biossido d’azoto e particolato atmosferico fine (PM2,5), quest’ ultimo responsabile da solo di 52.300 morti premature ogni anno in Italia (dati Agenzia europea dell’Ambiente, 2020).

Per non parlare dei mezzi del trasporto pubblico locale, vecchi (età media 12 anni, a fronte di una media europea di 7) e inquinanti (il 71% è a diesel).

Un settore energivoro, che fa male al portafoglio oltre che alla salute

Il settore dei trasporti è così diventato uno dei principali consumatori di energia, ma al tempo stesso fulcro di un enorme sistema economico e sociale legato, come rivela il Conto nazionale delle infrastrutture e dei trasporti realizzato ogni anno dal MIT, alla vendita delle auto e alle spese di esercizio e manutenzione ordinaria e straordinaria. Una dipendenza che ha forti ripercussioni non solo sull’ambiente e la salute (es. costi sanitari e decessi, compresi quelli prematuri), ma anche sul portafoglio (terza voce di spesa per le famiglie, Istat, 2018), tuttavia assai difficile da scardinare (oltre l’80% degli spostamenti avviene tramite mezzi a motore privati, report Istat 2017).

Il ruolo dei trasporti nello sviluppo sostenibile è stato riconosciuto per la prima volta al Vertice sulla Terra dell’ONU del 1992 e ribadito dal suo documento di esito Agenda 21.

Il tema della mobilità sostenibile, affrontato in maniera organica per la prima volta nel 1997 attraverso gli atti della Conferenza di Vancouver, rientra tra gli obiettivi 3 (salute e benessere), 9 (imprese, innovazione e infrastrutture) e 11 (città e comunità sostenibili) dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Causa di degrado urbano e invivibilità

La qualità della vita nelle città, oggetto di attenzione anche da parte dell’enciclica Laudato sì di papa Francesco, è profondamente legata agli impatti ambientali, sociali ed economici generati dai veicoli privati e dalle modalità di trasporto meno ecologiche. Da essi discendono infatti inquinamento atmosferico, acustico ed emissioni di gas serra; congestione stradale ed incidentalità; degrado urbano per lo spazio sottratto dagli autoveicoli ai pedoni; consumo di suolo provocato dalla realizzazione delle infrastrutture di trasporto.

Per cercare di ridurre questi fenomeni, nel corso degli anni a livello urbano si è cercato, non di rado purtroppo in maniera poco coordinata, di portare avanti alcune azioni tra cui:

  • sviluppo della mobilità pedonale e ciclabile;
  • potenziamento e razionalizzazione dei mezzi pubblici attraverso incentivi e campagne di comunicazione;
  • pianificazione della mobilità aziendale e territoriale (mobility management);
  • gestione della domanda attraverso limitazioni della circolazione veicolare (es. istituzione di Zone a traffico limitato, restrizioni per alcune categorie di diesel) e introduzione di servizi di condivisione (bike e car sharing, car pooling, ecc.) per ridurre il numero dei veicoli in circolazione.

Cattive abitudini e pigrizia fisica

Bisogna fin da subito mettere in chiaro che l’utilizzo dell’auto anche quando se ne potrebbe fare a meno è il più delle volte indice di cattive abitudini e pigrizia fisica e mentale. Che ci spinge a non camminare per distanze inferiori a due chilometri, a non consultare percorsi e orari dei mezzi di trasporto pubblico, a lamentarci quando vengono indetti blocchi della circolazione. Le stesse analisi sui trasporti si concentrano sugli aspetti ingegneristici ed economici, trascurando quelli socioculturali, che giocano un ruolo determinante nelle abitudini di spostamento. L’obiettivo non è certo quello di tornare a un mondo privo di motori, ma semplicemente ridurre l’utilizzo di auto e moto allo stretto necessario, in un’ottica di consumo consapevole oggi pressoché sconosciuto.

A scuola non con l’auto

L’educazione alla mobilità sostenibile dovrebbe prevedere anche una costante e capillare attività di “formazione” dell’utente sull’utilità e l’importanza dell’impiego dei mezzi pubblici, specie nelle ore di punta, anche promuovendo specifiche campagne informative.

Inoltre, è quasi del tutto assente la comunicazione in merito ai costi del trasporto privato che, come accennato prima, incidono per 200-300 euro al mese sui consumi di ogni famiglia, intaccando una quota di reddito superiore al 10%. Mantenere un’auto costa in media in un anno oltre 1.600 euro, ripartiti (escluso l’acquisto) in spese per assicurazione, carburante, bollo e revisione. Senza contare che molte famiglie posseggono più di un’automobile.

Un modello di educazione alla mobilità sostenibile efficace si dovrebbe basare sulla collaborazione e dialogo fra soggetti che vanno dall’Ente pubblico (governo, regioni, comuni, scuola, università) alla società civile, coinvolgendo competenze che vanno dalla sicurezza stradale alla tutela della salute, dell’ambiente e dei diritti della cittadinanza. A fini ecologico-educativi è inefficace, ad esempio, che la scuola insegni al bambino il rispetto dell’ambiente se la madre lo porta tutte le mattine a scuola in auto. Che in base alle stime rimane parcheggiata in media per il 92% del suo ciclo di vita e spesso è utilizzata per il trasporto di un solo individuo.

Eliminare i parcheggi

Una delle soluzioni per ridurre il traffico sarebbe eliminare i parcheggi, in modo da obbligare a usare i mezzi pubblici o la mobilità attiva, ma da noi la spinta è andata in tutt’altra direzione. Gli standard di parcheggio introdotti dalla L. 122 del 24 marzo 1989 hanno introdotto l’obbligo di riservare, per le nuove costruzioni e le aree di pertinenza, spazi per parcheggi non inferiori a 1 metro quadrato ogni dieci metri cubi di costruzione, facendo lievitare il numero dei posteggi e i prezzi degli immobili. Per fare un paragone, il nuovo grattacielo di 43 piani della Regione Lombardia, inaugurato nel 2011, ha 700 posti auto sotto il piano terra; lo Shard di Londra, aperto nel 2013, ha soltanto 60 posti auto interrati, riservati ai portatori di handicap.

A Rio De Janeiro il nuovo regolamento sugli standard urbanistici ha abrogato lo spazio per le automobili e introdotto l’obbligo creare almeno un posto bici per ciascuna unità immobiliare. A Utrecht in Olanda nel 2019 è stato inaugurato il parcheggio per biciclette più grande del mondo: ha una capienza di 12.500 posti.

In Italia avanti piano

L’Italia è in ritardo nello sviluppo della mobilità sostenibile (foto Andrea Bazzini)

In Italia il Piano urbano della mobilità sostenibile è cosa recente, essendo stato normato dal decreto legislativo 257 del 16 novembre 2016 e le cui linee guida sono state approvate nell’agosto 2017 con apposito decreto ministeriale. Secondo l’Osservatorio Pums di Euromobility, al febbraio 2020 esso risultava approvato in 36 Comuni, tra cui Milano, Bologna e Genova, mentre in altri 35 aveva superato il primo step dell’adozione. Per quanto riguarda le pedonalizzazioni la situazione è alquanto diversificata, con solo sette comuni che superano la soglia di 1 m2 per abitante (Lucca, Venezia, Verbania, Cremona, Firenze, Cosenza e Pescara), mentre Reggio Emilia, Cremona e Mantova sono sul podio per Km di piste ciclabili ogni 100 abitanti (rapporto Ecosistema urbano di Legambiente, 2020).

Al termine di questo excursus, appare evidente come la strada per raggiungere in Italia una mobilità davvero sostenibile sia ancora lunga e in salita, e passi necessariamente attraverso l’acquisizione di una consapevolezza collettiva in merito alla complessità della questione, che ha risvolti di natura ambientale, sociale ed economica. Lo stesso “buono mobilità”, previsto dal cosiddetto “decreto rilancio” del maggio 2020, rischia di avere ricadute positive poco significative se non si procederà in maniera decisa allo sviluppo di una rete di trasporto plurimodale, così come sollecitato ogni anno nella Settimana europea della mobilità sostenibile.

Un giusto mix tra mezzi di trasporto, dunque, altrimenti saremo costretti ad arrenderci al fatto che soltanto una pandemia da Coronavirus è riuscita a ripulire i cieli delle nostre città.