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I social network e lo spirito pubblico

| FRANCESCO INGRAVALLE

Tempo di lettura: 4 minuti

I social network e lo spirito pubblico

Le polemiche sulla “censura” a Trump ci ricordano che ogni istigazione all’odio e alla violenza comporta il collocarsi fuori dal dialogo razionale in cui dovrebbe consistere ogni ordinamento democratico-liberale. Ma la nascente opinione pubblica globale, che si nutre della partecipazione al dibattito pubblico attraverso i servizi digitali, manca il potere politico e giuridico di sanzionare i comportamenti devianti.

Napalm51 è una riuscita caricatura di Maurizio Crozza: l’odiatore seriale sui social media.

Twitter, Facebook e Instagram hanno deciso di bloccare i profili di Donald Trump. Anche YouTube impedisce a Trump di caricare video. Il giornalista Riccardo Luna commenta che “le democrazie non possono diventare tolleranti” e pensa che nasceranno piattaforme non più generaliste, ma eticamente orientate. Ruben Razzante (Docente di Diritto dell’informazione, Università Cattolica di Milano) afferma invece che “Occorre contemperare libertà degli utenti e il diritto di Twitter di intervenire sui contenuti della comunicazione” e che “ciò che tocca a Trump oggi può toccare a chiunque domani.”

La decisione di questi social è stata criticata da Angela Merkel, dal Ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire (che ha parlato di “oligarchie tecnologiche”). La Commissione Europea aveva proposto, attraverso il Commissario al mercato interno Thierry Breton, un codice di condotta per le diverse piattaforme digitali, già da dicembre, peraltro, che sarà sottoposto al Parlamento Europeo e al Consiglio dei ministri dell’Unione Europea.

Entriamo nel dettaglio.

Il punto di vista etico-giuridico nella comunicazione sociale

L’azione di Facebook ha sospeso l’account di Trump dopo le violenze di Capitol Hill fino al passaggio delle consegne a Joe Biden (e già due mesi fa aveva bloccato il gruppo “Stop the Steal” con 300.000 followers); Twitter, invece, ha bloccato permanentemente l’account del presidente uscente. YouTube, come si è detto, ne ha bloccato i video. PayPal ha bloccato la raccolta di fondi a favore degli assalitori di Washington. Molte aziende, AT&T, American Express e Dow Inc. hanno annunciato che taglieranno i finanziamenti agli esponenti repubblicani che hanno votato al Congresso per ribaltare la vittoria di Biden.

La motivazione dei blocchi: “evitare ulteriori incitamenti alla violenza”.

A quanto pare, il mercato della comunicazione tecnologicamente più avanzata ha espresso un punto di vista etico-giuridico. Non è la prima volta che questo accade di soggetti della comunicazione sociale. Il Terzo Stato, alla vigilia della Rivoluzione francese espresse angoli visuali etico-giuridici; il proletariato russo, nel 1917-1918, espresse angoli visuali etico-giuridici; le classi dirigenti post-1945 espressero angoli visuali etico-giuridici (ed erano espressione, esse stesse, di opinioni pubbliche stremate dalla guerra). Espressioni, tutte, che, in prospettiva, ci parlano di affermazione della uguale dignità di tutti gli esseri umani, di una più equa redistribuzione della ricchezza, fatte salve le ottiche di classe di cui ciascuna espressione era la voce.

Il messaggio comune della modernità

Al di là delle differenze di classe, cercando di guardare il messaggio comune della modernità, non è difficile vedervi la genesi di una comunità dialogica di giuridicamente uguali di cui l’azione dei social contro Trump è la continuazione ideale. Opportuno, qui, il riferimento a Jürgen Habermas e alla sua teoria della democrazia deliberativa: “Il modo in cui le idee vengono presentate si basa sul dialogo, sul mutuo rispetto e la civiltà e il risultato della relazione tra il discorso e la presa di decisioni è costituito dall’evitare una chiusura prematura e basata sull’assenza del consenso” (cfr. F. Giacomantonio, Introduzione al pensiero politico di Habermas. Il dialogo della ragione dilagante, Milano, Mimesis, 2010, p. 39). La base fondamentale di questa teoria (che rispecchia il dover essere di tutte le democrazie e liberali) si trova in un principio che moderno non è: “Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuere. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere” (“La giustizia è la costante e perpetua volontà di dare a ciascuno il suo. I precetti del diritto sono questi: vivere onorevolmente, non danneggiare nessuno, dare a ciascuno il suo.”).

Quando il privato diventa pubblico

Il discorso di Habermas si fonda logicamente, se non storicamente, su questa immagine della giustizia. Ne consegue che ogni istigazione all’odio e alla violenza comporta il collocarsi fuori dal dialogo razionale in cui dovrebbe consistere ogni ordinamento democratico-liberale. Ogni istigazione all’odio e alla violenza: volontaria o per “eterogenesi dei fini”, chiunque sia il suo promotore. La reazione dei social (soggetti globali, non locali) pare perfettamente conforme a questi principi. Una reazione che nasce dallo spirito pubblico virtuale originato in un ambito giuridicamente privato, ma, di fatto, pubblico, pur senza avere un garante politico in senso proprio.

L’azione dei social appare come una autolimitazione etico-giuridica nel libero mercato della comunicazione, strettamente legata alla consapevolezza che i social stessi sono serviti a una pericolosa mobilitazione, pericolosa per le istituzioni della democrazia liberale, avvenuta nello stile dei fenomeni descritti da Freud nella notissima Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921, tr. it. Torino, Boringhieri, 1975) e già da Gustave Le Bon nella altrettanto nota Psicologia delle folle (1895, tr. it. Milano, Longanesi, 1970).

Alterum non leadere: alterum, “l’altro” è anche l’ambiente biofisico e sociale. E anche in questo caso, a difesa dell’ambiente si è sollevata una vasta opinione pubblica mondiale, non soltanto giovanile.  Alterum è chiunque sia ingiustamente imprigionato, oppure sia torturato e ucciso: e anche qui una opinione pubblica transnazionale si è sollevata (caso Patrick Zaki e caso Giulio Regeni, per esempio).

Manca il governo del mondo

Ci troviamo di fronte a una opinione pubblica globale, transnazionale? Certo è che se così è, si tratta di una opinione pubblica priva di potere politico e giuridico di sanzionare i comportamenti devianti rendendoli svantaggiosi. Lo si è visto con i tentativi di politiche ambientali a difesa della sostenibilità: non esiste una forza politica e giuridica in grado di impedire i comportamenti scorretti e dannosi sul piano globale oltre che locale. In altri termini: manca quello che già Aristotele chiamava il “governo del mondo” (Aristotele, Lettera ad Alessandro sul governo del mondo, Milano, Mimesis, 2013), che Kant aveva auspicato, nel 1795, in Per la pace perpetua (Milano, Feltrinelli, 1994), e che Otto Neurath auspicava quando, nel 1942 (Pianificazione internazionale per la libertà, Torino, Scholè, 2010), immaginava le overlapping Institutions al di sopra degli Stati a tutela della equa redistribuzione delle ricchezze prodotte nel mondo e della pace.

Questo fil rouge teorico sembra incontrarsi con il nascere di un’opinione pubblica globale, ovvero una costruzione di una nuova forma di opinione pubblica che si nutre anche, e non solo della partecipazione al dibattito pubblico attraverso i servizi digitali.

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FRANCESCO INGRAVALLE
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