Precari e vagabondi, ma da Oscar
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Nomadland, Premio Oscar miglior film, migliore regia, migliore attrice del 2021, con la regia di Chloé Zhao e l’interpretazione di Frances McDormand, parla di nomadi con un passato stanziale dal quale si sono separati traumaticamente. Per la rubrica “Una serie di immagini”.
Un film che parla di nomadi nel vero senso della parola, ma con un passato stanziale dal quale si sono separati traumaticamente. Il film mette in scena i risultati della crisi finanziaria statunitense del 2008: persone che, in età matura, senza o con legami famigliari si trovano a condividere parcheggi per camper nei quali vivono. Conducono una vita estrema, al limite della sopravvivenza. Si creano dei legami, in questo vagare da lavoro temporaneo a lavoro temporaneo. Le situazioni che il film descrive sono molto dure (si va dal PTSD, il cosiddetto “Vietnam Stress”, Disturbo da stress post-traumatico, alle dolorose elaborazioni del lutto in condizioni di miseria) che portano al limite le capacità umane di reazione.
I protagonisti lavorano a contratto, vero e proprio lavoro alienato o, se si preferisce, “lavoro flessibile”, e la precarietà che contraddistingue questa forma di lavoro fa emergere le criticità dell’ambiente sociale di provenienza, degli stipendi inadeguati, delle pensioni che non permettono la sopravvivenza (“nel suo lavoro il lavoratore non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito”, Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, tr. it. di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1968, pp. 74-75).
Lasciar essere le cose
Come reagiscono i personaggi del film a questo complesso di situazioni? Evadendo dalla stanzialità. Occorre evocare la distinzione nietzscheana fra nichilismo attivo e passivo, fra forza di cambiamento della realtà e tendenza ad adattarsi alla realtà; i personaggi lasciano essere le cose come sono, cercando di adattarsi a tutto quello che accade. Ognuno vive ogni giorno quasi come se fosse un oggetto; non ci sono veri rapporti sociali tra questi non-stanziali, ma, piuttosto, rapporti di benevolo vicinato di camper. Quando si rompe il camper, per il nomade, con contratti a termine, stagionali, in luoghi diversi, il meccanismo della vita nomade stessa si inceppa. Solo in quel momento, chi ha ancora la possibilità di farsi aiutare da famigliari, si attiva e reagisce, in qualche modo, all’inceppamento del meccanismo. È, però, come se la stanzialità, temporaneamente riacquisita, riconducesse la persona nel baratro del lutto, del fallimento, della crisi. E quindi il viaggio nel niente, con il suo minimalismo vitale, rimane l’unico “giro di giostra” possibile.
Il film è lento, silenzioso, meditativo, dà peso al passare del tempo, dà al passare del tempo una materialità: il tempo è una presenza; è il tempo dell’attesa: del lavoro, del mangiare, del lavarsi… se, nella vita stanziale, la maggior parte delle cose aveva un valore determinato, nella vita nomade è solo il tempo ad avere valore.
Se il nichilismo è la mancanza di una risposta alla domanda “perché?” Nomadland è un film che rappresenta una delle forme del nichilismo nel modo più completo. “L’essere umano dice a sé stesso: 1) Non è affatto necessaria una mèta determinata; 2) Non è affatto possibile prevederla. Proprio nel momento in cui sarebbe necessario che la volontà avesse la massima forza […]” ( F. W. Nietzsche, La volontà di potenza, tr. it. di A. Treves, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1944, n. 28, p. 20).
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- Tiziana C. Carena, insegnante di Filosofia, Scienze umane, Psicologia generale e Comunicazione, Master di primo livello in Didattica e psicopedagogia degli allievi con disturbi dello spettro autistico, Perfezionamento in Criminalistica medico-legale. È iscritta dal 1993 all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si occupa di argomenti a carattere sociologico. Ha pubblicato per Mimesis, Aracne, Giuffrè, Hasta Edizioni, Brenner, Accademia dei Lincei, Claudiana.
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