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Trump e i negazionisti

| UGO LEONE

Tempo di lettura: 5 minuti

Sono trascorsi quasi due anni dagli “accordi” di Parigi sui mutamenti climatici, ma nulla lascia intendere e sperare che si vada avanti lungo la strada disegnata in quegli incontri. Profetici i versi del librettista della Traviata

Riprendiamo con piacere l’articolo di Ugo Leone uscito su “Rocca” n. 13 del 1° luglio 2017:
L’indomani di quel lungo incontro alla COP21 (30 novembre al 13 dicembre) con una ventata di ottimismo si era indotti a cantare la verdiana “Parigi, o cara, noi lasceremo, la vita uniti trascorreremo.
 De’ corsi affanni compenso avrai, la tua salute rifiorirà…”.
Così canta Alfredo alla traviata, ma ormai quasi moribonda, Violetta. E così sembrava potessero cantare i rappresentanti dei 195 Stati riuniti a Parigi nel tentativo di risolvere i gravi problemi del pianeta: bastava mettere Terra al posto di Violetta e tutto tornava. Perché i versi di Francesco Maria Piave, il librettista della Traviata, sono veramente profetici: i partecipanti alla Conferenza di Parigi lasciavano la città felici di avere gettato le premesse per un futuro migliore dove si potrà vivere uniti perché la Terra, in tal modo compensata per i maltrattamenti ricevuti, potrà finalmente rifiorire godendo di ottima salute.

Ci vuole un… “Decologo”
Ma cerchiamo di capire come stanno andando le cose. E come si stanno orientando dopo la elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e la sua partecipazione, diciamo così, al G7 di Taormina (maggio 2017) e quella ancora più breve di Scott Pruitt suo rappresentante al G7 per l’ambiente a Bologna (giugno 2017).

La prima più immediata e ricorrente impressione è che tutto rischia di bloccarsi a causa della progressiva uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi. Questo atteggiamento è certamente motivo di preoccupazione e causa del rallentamento nel cronoprogramma degli impegni. Ma non è tutto qui. Lo ha scritto bene Marica Di Pierri (Trump o non Trump sul clima nessuno fa la sua parte, “il manifesto” 11 giugno 2017) ricordando anche che la “rivoluzione ecologica” potrà essere tale solo e soprattutto venendo “dal basso”.
Vanno in questo senso i contenuti del Decologo un manifesto contenente la proposta di 78 misure per la transizione in senso ecologico di economia e società firmato da un centinaio di scienziati e da circa duecento associazioni e comitati attivi sul territorio in tutta Italia.
Insomma dopo i più o meno moderati entusiasmi iniziali si è diffusa l’impressione che la situazione globale è ancora sostanzialmente ferma al punto di partenza. Non solo, ma si va anche ampliando la schiera dei “negazionisti” che tendono a deresponsabilizzare i comportamenti umani tra le cause dei mutamenti climatici.

Le scemenze dei negazionisti (e di chi li ascolta)
Direi che un primo momento di invito alla riflessione e alla preoccupazione si può collocare nella intervista di Serena Danna (Credetemi, il clima non è surriscaldato, “la Lettura” 26 febbraio 2017) a William Happer “docente emerito di Fisica a Princeton” che, come si legge nell’occhiello dell’articolo, “guida la schiera degli scettici del cambiamento ambientale”. Sempre nell’occhiello si afferma che “La Lettura ha fatto dialogare le sue tesi con quelle di Mark Cane, ‘padre’ di El Nino”.
Come si potrà facilmente notare leggendo i contenuti dell’intervista ad Happer (http://www.scienzainrete.it/files/Credetemi%2C%20il%20clima%20non%20è%20surriscaldato%20%281%29.pdf) il professore di Princeton ha rispolverato molti dei miti del negazionismo climatico, da tempo confutati dalle evidenze scientifiche disponibili. Tanto che la reazione a quei contenuti è stata immediata e “Scienza in rete” con un articolo di risposta già nel titolo (È certo, il clima è surriscaldato) (http://www.scienzainrete.it/articolo/è-certo-clima-è-surriscald.) il 6 marzo successivo ha ritenuto “di fare un servizio ai lettori – soprattutto agli studenti delle scuole – nel mostrare l’infondatezza scientifica delle affermazioni di William Happer”. Con un lungo testo nel quale gli esperti di Climalteranti (http://www.climalteranti.it) hanno analizzato le 14 affermazioni principali di Happer mostrandone l’inconsistenza scientifica.”
Il tutto integrato anche da una lettera, anche questa sul sito di Climalteranti, nella quale, il 10 marzo, Mark Cane –professore alla Columbia University- così scrive: “Caro direttore, nel numero di La Lettura pubblicato il 26 febbraio sono stato coinvolto in un “dibattito” sul riscaldamento globale. Quando ho risposto alle domande della sua giornalista, Serena Danna, non mi era stato detto che le mie risposte sarebbero state presentate come facenti parte di un “dibattito”. Nonostante il risultato finale non sia catastrofico, ci sono alcuni punti che mi imbarazzano inutilmente — ed imbarazzano anche Il Corriere. In quanto “padre” di El Niño, me la sarei di sicuro presa coll’idea che El Niño sia cominciato nel 1998 quando abbiamo prove che accadesse ~130mila anni fa, ed abbiamo documentazione dettagliata che l’evento più devastante è stato quello del 1877. In molti punti, le mie “risposte” al professor Happer non sono esaurienti. Lo sarebbero state, se avessi saputo a che gioco stavo giocando. Questo è un disservizio ai suoi lettori, che li priva della comprensione che sarebbe derivata da un vero dibattito. I lettori che desiderino conoscere meglio la verità guardino qui (ndr: o su Climalteranti). Nei media americani non si può scappare a Trump, nemmeno nel mio rifugio: le pagine sportive. Mi tocca sopportarlo anche nel Corriere? Nonostante tutto amo l’Italia, e non vedo l’ora della mia prossima visita.”

Non spira una buona aria
Insomma non spira una buona aria e il negazionismo più o meno apertamente legato agli interessi economici di petrolieri e carbonieri continua –legittimamente, peraltro- ad imperversare. Tutto mentre la quasi totalità degli scienziati che da decenni si occupano del problema afferma che la responsabilità delle azioni umane è realisticamente riconoscibile almeno al 95%. Ma se avessero ragione quanti si riconoscono nell’altro 5% e le responsabilità fossero solo o prevalentemente della natura, – natura che è comunque e fortunatamente responsabile di un “naturale” effetto serra senza il quale le temperature terrestri sarebbero inferiori di una trentina di gradi-; se questi avessero ragione, resta comunque il fatto che immettendo sostanze inquinanti in atmosfera se ne danneggia la respirabilità per gli esseri umani causando la diffusione di morbilità e mortalità. Basterebbe questo per indurre i gestori del bene comune Terra ad accordarsi per ridurre sino a zero quelle emissioni puntando sull’uso di energie pulite e rinnovabili.
È, questo, d’altra parte quanto avevano deciso a Parigi i 195 Paesi partecipanti alla Conferenza sul clima. Una decisione che, in poche parole si può riassumere ricordando che l’intesa prevede il contenimento dell’incremento della temperatura della Terra in modo che non superi 1,5 gradi centigradi entro la fine del secolo e che questo risultato venga raggiunto con un volontario taglio delle emissioni. Un obiettivo certamente molto ambizioso realizzabile solo con il progressivo passaggio dall’uso, tuttora massiccio, di combustibili fossili (carbone, petrolio, metano) a quello sempre più sostitutivo di fonti rinnovabili e pulite.
È un obiettivo realizzabile nel medio lungo periodo (i prossimi 85 anni) e non per noi oggi, ma per chi verrà dopo di noi ai quali bisognerebbe restituire integra la Terra che ci hanno prestato.
Nei due anni trascorsi pochissimi sono i segnali positivi aggravati poi, dall’uscita degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, in seguito alla quale si calcola che ogni anno si aggiungerebbero 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica alle emissioni globali.
Unica nota positiva viene da Cina e India che sono il primo e il terzo produttore di gas serra. Ne dà notizia il “New York Times” (Svolta verde in Cina e in India, “Internazionale” 26 maggio 2017) affermando che i due Paesi hanno sensibilmente incrementato gli investimenti nelle energie rinnovabili e ridotto la dipendenza dai combustibili fossili, in perfetta linea con gli obiettivi fissati a Parigi, perfino anticipati nei tempi.
“Gli Stati Uniti devono imparare la lezione” scrive ancora il “New York Times. Ma, aggiungerei, senza dimenticare quanto dicevo prima. Cioè che la “rivoluzione ecologica” potrà essere tale solo e soprattutto venendo “dal basso”.

Scrive per noi

UGO LEONE
UGO LEONE
Già professore ordinario di politica dell'ambiente presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Napoli "Federico II". I suoi interessi scientifici e i contenuti delle sue pubblicazioni sono incentrati prevalentemente sui problemi dell'ambiente e del Mezzogiorno. E' autore di numerosi volumi e editorialista dell'edizione napoletana del quotidiano "la Repubblica". Per molti anni è stato presidente del Parco nazionale de Vesuvio.