Siccità: acquedotti colabrodo e altre insipienze

È siccità. E la Coldiretti stima danni in un miliardo di euro.
Se lo fa avrà certamente elementi per questa valutazione. Ma è l’ennesima dimostrazione della politica del rattoppo che governa il nostro Paese. Il quale si accorge di un danno, del manifestarsi di un pericolo e delle sue conseguenze (generalmente prevedibili) quando ormai il guaio è fatto e c’è solo la possibilità (costosa) di rattopparne gli effetti mettendo qualche pezza qua e là. In altro modo andrebbero le cose se, conoscendo gli eventi e le loro conseguenze, si operasse per prevenirli.
La siccità è un fenomeno naturale, consueto in talune aree della Terra, meno in altre tra cui l’Italia. Quando si verifica ne risente soprattutto l’agricoltura che è la maggiore consumatrice di acqua: per gli esseri umani e per gli animali le cui carni ci vengono date da mangiare. (non anche per i pesci che hanno altri problemi). In questi casi l’unica “pezza” possibile (costosa, ripeto) è quella di indennizzare gli agricoltori e provvedere ai consumatori incrementando le importazioni dei prodotti necessari e insufficienti per soddisfare la domanda (magari non le reali esigenze).

Le possibilità di prevenire non mancano
Ma, dicevo, sarebbe ben diverso se il danno si prevenisse.

Come? Le possibilità non mancano anche senza inserire (come invece sembrerebbe opportuno) il problema nel contesto dei mutamenti climatici che la Terra si avvia da tempo a subire.
Una possibilità ce la ricorda addirittura il “vecchio testamento”. In particolare nel libro della “Genesi” nel quale si ricorda la capacità di Giuseppe di interpretare i sogni del Faraone. Si ricorderà che il Faraone aveva sognato l’alternarsi di “sette vacche, di bell’aspetto e grasse,” e di “sette vacche brutte di aspetto e scarne” e che in un secondo sogno vide sette belle spighe di grano che spuntavano da un unico stelo, ma altre sette spighe vuote e arse dal vento d’oriente crescevano dopo quelle e se le divoravano.
Al Faraone che glielo chiedeva Giuseppe spiegò che le sette vacche e le sette spighe rappresentavano sette anni: i primi di prosperità gli altri di carestia. Di conseguenza erano da interpretare come un messaggio divino per quello che sarebbe successo in Egitto e un avvertimento per provvedere. Come? È presto detto: “…cerchi il Faraone un uomo intelligente e savio e lo stabilisca sul paese d’Egitto. Il Faraone faccia così: costituisca sul paese dei soprintendenti per prelevare il quinto dei prodotti del paese d’Egitto, durante i sette anni di abbondanza. Radunino essi tutti i viveri di queste annate buone che stanno per venire e ammassino il grano sotto l’autorità del Faraone, e lo conservino per l’approvvigionamento delle città. Questi viveri saranno una riserva per il paese, in vista dei sette anni di carestia che verranno nel paese d’Egitto; così il paese non perirà per la carestia.” (Genesi 41,33-36).

Pianificare il futuro
Che insegnamento se ne può trarre? Molti che capiscono di queste cose lo stanno ripetendo rispondendo all’allarme generato dalla ormai semestrale assenza di pioggia e dalle scarse nevicate soprattutto nell’Italia centro-settentrionale con conseguente inaridimento del corso dei fiumi la cui portata è ai minimi storici. E ci stanno ripetendo che l’acqua – che in Italia come nel resto della Terra è perfino abbondante – non va sprecata, ma utilizzata nel rispetto delle esigenze presenti e future: negli usi domestici e, soprattutto, in quelli agricoli. Significa, tra l’altro, che specialmente nei periodi di “vacche grasse”, bisogna ricordare che l’acqua trasportata dagli acquedotti, specialmente al Sud e specialmente in Campania, utilizza infrastrutture vecchie che ne perdono per strada circa il 40% e che occorre intervenire per fare in modo che quando le vacche dovessero essere magre “il paese non perirà per la carestia”.
Ma significa anche che proprio l’agricoltura che insieme con la zootecnia è la maggiore danneggiata deve prepararsi a pianificare un futuro nel quale fenomeni come questo che si sta vivendo in questi giorni potrebbero essere più ricorrenti e, di conseguenza, bisogna puntare su colture con minori esigenze di acqua. Senza trascurare la opportunità – come ricordava decenni fa Giorgio Nebbia – in alcune aree e per alcuni prodotti di far ricorso anche ad acque variamente salmastre. E, come aggiungeva Fulco Pratesi, di farsi qualche doccia in meno.

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UGO LEONE
UGO LEONE
Già professore ordinario di politica dell'ambiente presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Napoli "Federico II". I suoi interessi scientifici e i contenuti delle sue pubblicazioni sono incentrati prevalentemente sui problemi dell'ambiente e del Mezzogiorno. E' autore di numerosi volumi e editorialista dell'edizione napoletana del quotidiano "la Repubblica". Per molti anni è stato presidente del Parco nazionale de Vesuvio.

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