Da Rio +20 al Summit dei Popoli: due stili green a confronto
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Il summit internazionale sullo sviluppo sostenibile Rio+20 si appresta a entrare nella sua fase finale da domani 19 giugno – il Water Day for Rio+20 – fino al 22 giugno, giornata finale in cui si presenterà il documento programmatico al quale gli stati dovranno fare riferimento in futuro per l’attuazione di politiche ambientali efficaci e concordate. La scommessa del summit, infatti, dovrebbe essere quella di trovare un’intesa sui 7 temi-chiave che l’Organizzazione delle Nazioni Unite considera come prioritari per lo sviluppo di pratiche economiche rispettose della natura, che consentano di combattere l’indigenza in cui vivono milioni di persone diffondendo allo stesso modo la cultura della sostenibilità ambientale e sociale. Il lavoro, l’energia, l’acqua e gli oceani, il cibo, le città e i disastri ambientali provocati dai cambiamenti climatici, sono gli argomenti cui si approda oggi, nel 2012, a vent’anni dall’Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992, anni durante i quali si sono succeduti innumerevoli vertici e conferenze per rendere concreti i programmi che i governi avevano deciso di adottare come linee guida per la realizzazione di politiche sostenibili. Si troveranno accordi che possano concretizzarsi in obiettivi significativi? A quanto pare, anche questa volta, lo scenario che si presenta appare molto complesso e difficilmente etichettabile secondo la classica bipartizione fra “paesi in via di sviluppo” versus “paesi industrializzati”. Le alleanze globali volte a mantenere il controllo del potere decisionale sulle risorse sono sempre più trasversali a stati, compagnie multinazionali e organizzazioni internazionali, rendendo difficile anche una lettura che provi a semplificare fra economie “emergenti” e “mature”: chi è disposto a cedere e su che cosa diventa, oggigiorno, sempre più una questione di patteggiamenti e diplomazia internazionale che esulano dai contenuti degli accordi.
Con Rio+20, afferma il direttore dell’Unep Achim Steiner, «è arrivato il momento di abbandonare la paralisi dell’indecisione», ad esempio attraverso una riforma della governance delle Nazioni Unite che possa rendere efficaci le decisioni che vengono prese sulla gestione delle risorse ambientali, sboccandole dall’impasse politico a cui fanno fronte costantemente quando si tratta di vincolare gli stati a ratificare o rispettare i programmi stabiliti. Una delle proposte presentate dall’Unione Europea è quella di trasformare l’Unep – lo United Nations Environment Programme – da programma ad agenzia vera e propria, ma pare che nella bozza di documento conclusivo, a cui i funzionari internazionali stanno lavorando da mesi, questo non comparirà, a dimostrazione del fatto che i punti di contrasto fra i vari stati membri si manifestano su snodi fondamentali dei meccanismi di sanzione in caso di mancato adempimento degli accordi. Anche i delegati internazionali del WWF hanno rilevato come i rappresentanti dei diversi paesi, in particolare le nuove economie emergenti rispetto a Unione Europea e Stati Uniti, non riescano a trovare un accordo sui limiti da porre allo sfruttamento delle risorse ambientali o sulle quantità di emissioni di agenti inquinanti. Notano allo stesso modo come nel testo conclusivo cui si sta lavorando siano state preferite parole semanticamente “deboli” (come supportare, incoraggiare etc.) rispetto a termini “forti” (come faremo, dovere etc.) a dimostrazione della relativa incertezza di adempimento degli attori internazionali ai principi dell’economia sostenibile.
Sarà Rio+20 all’altezza del confronto con l’appuntamento che un ventennio fa sembrava aver cambiato le sorti del pianeta? Se così non fosse, la speranza che le politiche dal basso promosse dalle reti cittadine divengano sempre più centrali nella gestione delle risorse territoriali è sempre più animata dal successo che i forum alternativi riscuotono parallelamente ai summit ufficiali. Così quest’anno si svolgerà dal 15 al 23 giugno, il Summit dei Popoli per la Giustizia Ambientale e Sociale, che discuterà criticamente argomenti purtroppo esclusi dal summit governativo, come il bilancio degli obiettivi raggiunti e non rispetto al programma del 1992, l’ambiguità di molti termini legati da imprese e governi al concetto di economia verde (come crescita e sviluppo sostenibile), nonché il profondo intreccio di relazioni fra crisi finanziarie e crisi ambientali. Alcune imprese che rappresentano a Rio+20 il nuovo concetto di green economy ad esempio, sono oggetto di accuse da parte dei rappresentanti indigeni di molte nazioni del mondo per gli scempi compiuti agli ambienti naturali che si prestano allo sfruttamento di materie prime come il gas o alla costruzione di imponenti centrali idroelettriche che permettono lucrosi guadagni.
Per tenersi aggiornati si consigliano i seguenti link:
http://www.earthsummit2012.org/
Vanessa Vidano
18 giugno 2012
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