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La falsa nozione di razza: la radice biologica di altruismo e conflitto

| Valerio Calzolaio

Tempo di lettura: 3 minuti

La falsa nozione di razza: la radice biologica di altruismo e conflitto
Il concetto di “razza” persiste culturalmente e biologicamente, nonostante l’inesistenza scientifica delle razze umane. La cultura può contrastare questo inganno.

Pianeta Terra. negli ultimi trecentomila anni, il concetto di razza ha influenzato sia l’altruismo che il conflitto, entrambi originati dalla stessa radice biologica e culturale. Oggi, le attitudini razziste si scontrano con l’evidenza scientifica: la scoperta che non esistono razze umane scalfisce solo superficialmente i razzisti. Sebbene non abbiano argomenti biologici di rilievo, possono comunque discriminare gli individui per motivi culturali e cognitivi. Questo porta alla continua riuscita di operazioni criminali che mirano a costruire un nemico, spesso sfociando in massacri e pulizie etniche, anche tra gruppi umani che per lungo tempo hanno convissuto nella stessa regione.

Tuttavia, l’apprendimento culturale e sociale ha il potere di mitigare le reazioni istintuali, permettendoci di scegliere comportamenti scientificamente corretti. La cultura può influenzare la nostra amigdala, e riflessioni approfondite possono fungere da antidoti contro le scorciatoie mentali che talvolta seducono il nostro cervello.

È dunque utile esaminare più da vicino il cortocircuito tra l’inesistenza delle razze e la persistente radicamento del razzismo nelle dinamiche collettive. Questo può includere un’analisi dei riferimenti formali alla “razza” in dizionari, costituzioni e questionari informativi, spesso accompagnati da contenuti di contrapposizione. Inoltre, è importante valutare se esista una definizione più funzionale di razza biologica, considerando l’ascesa, la diffusione e l’affermazione del termine e dei suoi equivoci dalla fine del XVII secolo fino ad oggi.

La questione della razza: un’illusione secolare

L’ottimo giornalista, regista e conduttore radiofonico bolognese Michele Pompei (1966) racconta in modo succinto ed efficace la storia secolare e culturale del lungo “inganno” connesso all’idea di “razze umane” (da cui il titolo), ancora spesso evocate nei contesti più diversi, suggerendo (attraverso dubbiose approfondite meticolose riflessioni) la conclusione che è proprio meglio riformularla sempre e toglierne quanto più possibile i riferimenti in atti ufficiali. L’”invenzione” è servita a giustificare colonialismo, schiavitù e altre nefandezze.

Il primo capitolo, intitolato “Cavalli di razza”, analizza le questioni etimologiche nazionali. Si conclude che il termine è apparso in Sicilia attorno alla metà del Duecento, derivando dal francese haraz, che significa “allevamento di cavalli”. Pertanto, dovrebbe essere utilizzato “solo per definire un’identità non umana”.

Il secondo capitolo, “Vedi alla voce razza”, esplora il contesto comparato dei dizionari delle varie lingue. Dopo alcune premesse metodologiche, viene analizzato un campione di 19 lingue europee. In queste, con rare eccezioni, si mantiene il riferimento al termine italiano, conservando la radice, e spesso vi è una modalità di identificazione degli esseri umani. Al contrario, tra le decine di lingue asiatiche e africane esaminate, i termini e le radici risultano più vari e mutevoli; in alcune lingue, come l’ebraico, non esiste nemmeno una traduzione univoca. Gli aspetti problematici riguardano quasi esclusivamente l’Occidente, a causa delle grandi esplorazioni, delle migrazioni e del pessimo colonialismo.

Il terzo capitolo, “Il giro della razza in ottanta costituzioni”, esamina 14 costituzioni africane, 8 americane, 18 asiatiche, 2 oceaniche e 38 europee, ponendo particolare attenzione all’Assemblea Costituente e alla Costituzione italiana. Qui si propone che il termine “razza” potrebbe essere eliminato, come suggerito da Pietro Greco e altri.

Il quarto capitolo valuta quali e quante razze umane vengono contemplate in questionari informativi e formulari di singoli stati, evidenziando le differenze nei contenuti e nei metodi. Si presta particolare attenzione alle osservazioni aggiornate della medicina statunitense e all’uso dei sinonimi di etnia, identità e cultura.

Il quinto capitolo distingue tre principali tipologie di razzismo: primario (diffidenza biologica presente in molte specie), secondario (specifico della specie Homo sapiens) e terziario (teorizzato da alcuni), con particolare riferimento ai testi di Charles Darwin.

Il sesto capitolo è scritto dal giovane comunicatore scientifico Roberto Russo e affronta il tema della genetica. Qui si sottolinea che è giunto il momento di limitare l’uso del termine “razza” solo a “identità non umane”.

Il testo presenta alcune mancanze, come l’assenza di un indice dei nomi e di una bibliografia unitaria (i testi sono citati in brevi note a piè di pagina). Tuttavia, offre ottimi spunti, come quelli di Pievani e Bencivelli. Numerosi sono anche i riferimenti alle migrazioni e al meticciato della nostra specie, anche se in questa occasione non si esplorano le possibili conseguenze nella biologia e nelle scienze evoluzionistiche.

Razze umane. Breve storia di un lungo inganno

Michele Pompei, con la collaborazione di Roberto Russo

Scienza

Scienza Express Trieste

2024

Pag. 119 euro 17

Scrive per noi

Valerio Calzolaio
Valerio Calzolaio
Valerio Calzolaio, giornalista e saggista, è stato deputato (1992-2006) e sottosegretario all’Ambiente (1996-2001). Ha pubblicato numerosi libri sul tema della migrazioni e dei profughi ambientali.