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I nuovi intrecci globali tra pace e diritti

| FRANCESCO INGRAVALLE

Tempo di lettura: 5 minuti

Una rilettura di Norberto Bobbio, L’età dei diritti (1992). Sullo sfondo, l’ombra di Kant, il Kant di Per la pace perpetua. La pace è il presupposto necessario per il riconoscimento e la garanzia effettiva dei diritti dell’uomo. Oggi questi diritti includono anche quelli di vivere in un mondo non inquinato, i diritti che riguardano i la manipolazione del patrimonio genetico e i diritti relativi alla scelta del genere e alla possibilità di creare famiglie omogenitoriali.

(Nell’immagine di apertura, i versi iniziali di una celebre canzone di Pietro Gori, 1898)

Si sa che il volume L’età dei diritti è una raccolta di articoli che Bobbio è venuto pubblicando tra il 1964 e il 1991 sul nesso tra diritti dell’uomo, democrazia liberale e pace. Sullo sfondo, l’ombra di Kant, il Kant di Per la pace perpetua (1795), il che significa il Kant della Critica della ragion pratica (1788). Kant sosteneva che soltanto Stati di diritto possono sviluppare, sulla scena internazionale, rapporti pacifici; ma soltanto degli Stati di diritto possono tutelare i diritti dell’uomo (formalizzati, per la prima volta, nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, 1776, e, per la seconda volta, nel 1789, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in Francia, nel 1789 e, infine, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 1948). Diritti dell’uomo da intendersi come diritti del singolo e della collettività, che implicano un sistema politico fondato sulla separazione e il controbilanciamento dei poteri dello Stato, trasformatosi, attraverso l’allargamento del diritto di voto, in Europa, nel corso dei secoli XIX e XX, da Stato monoclasse a Stato pluriclasse (per usare la terminologia usata da Massimo Severo Giannini).

Ci sarà pace stabile solo quando vi saranno cittadini del mondo

La pace è, secondo Bobbio, il presupposto necessario per il riconoscimento e la garanzia effettiva dei diritti dell’uomo nei singoli Stati e nel diritto internazionale: “la democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà pace stabile, una pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini non più soltanto di questo o di quello Stato, ma del mondo” (L’età dei diritti, p. VIII).

I diritti naturali sono diritti storici, cioè vincolati a precise condizioni temporali e spaziali; essi nascono all’inizio dell’età moderna “insieme con la concezione individualistica della società” e sono uno dei principali indicatori del progresso storico. Se questo è vero, è inutile e fuorviante andare in cerca di un loro fondamento assoluto sul piano filosofico; i diritti dell’uomo non sono “evidenti” come potrebbero esserlo gli assiomi della geometria piana, oppure il principio di non contraddizione in ambito logico.

La loro universalità è legata all’espansione del modo di vivere della società occidentali, perché implicano il passaggio dalle cosiddette “società di status” alle cosiddette “società di contractus” (si veda, in merito Ferdinand Tönnies, Comunità e società, 1887, tr. it,. Milano, edizioni di Comunità, 1963) e la trasformazione delle differenze sociali per nascita in differenze sociali per funzione ricoperta nella produzione della ricchezza collettiva (si pensi al celebre Che cos’è il Terzo Stato? di Emmanuel Joseph Sieyès, 1789); l’espansione dell’economia capitalistica dovrebbe comportare, dunque, l’espansione della positivizzazione dei diritti dell’uomo, vale a dire la strutturazione di Stati liberal-democratici che li devono rispettare; secondo il Democracy Index  nel 2021 il 46% della popolazione mondiale vive in Stati liberal-democratici (cfr. eiu.com/n/democracy-index-2021).

Fabbricati nuovi bisogni con un pesante impatto sulla biosfera e sul clima

Bobbio ha sostenuto che nella formazione dello Stato moderno, in Europa, si è passati dalla priorità dei doveri del suddito alla priorità dei diritti del cittadino, nel momento in cui alla tradizionale concezione organicistica (di derivazione aristotelica) si è sostituita la concezione individualistica della società (da Hobbes a Locke). In questo processo si è avuta una progressiva concretizzazione  del concetto di “uomo” e si sono specificati bisogni, interessi di cui si esige il riconoscimento e la protezione – del resto già impliciti nei diritti dell’uomo della dichiarazione di indipendenza nord-americana e nella dichiarazione francese; tale concretizzazione presuppone lo sviluppo della società industriale e del capitalismo industriale che, tuttavia, ha preso a fabbricare non soltanto i beni richiesti dai bisogni ordinari, ma anche a fabbricare nuovi bisogni, mettendo capo, in un certo numero di paesi, al fenomeno della Affluent Society con il suo pesante impatto sulla biosfera e sul clima e con lo sviluppo di una nuova fase nella storia della specie: il passaggio dall’Olocene all’Antropocene.

Se è vero che la Dichiarazione del 1948 “ha favorito l’emergere, anche se debole, tenue ed impacciato, dell’individuo, all’interno di uno spazio prima riservato esclusivamente agli Stati sovrani” (Antonio Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 143) e che questo processo è irreversibile, è vero che, in seguito alle denunce compiute dai movimenti ecologisti e alle ricerche in ambito ecologico sviluppatesi a partire dagli anni Sessanta, è emersa l’esigenza di arrivare a una formulazione di diritti non soltanto del vivente, ma anche dell’ambiente in cui egli vive, quasi con una configurazione della biosfera stessa quale portatrice di diritti che vanno tutelati (i non pochi protocolli internazionali sul clima si sono sforzati di muoversi in questa direzione.

Il diritto di vivere in un mondo non inquinato

Anche questo allargamento della sfera dei diritti (che prescinde, evidentemente, dall’esistenza di un soggetto umano che ne sia il portatore) ha un marchio storico ben chiaro: le diagnosi del “Club di Roma” (I limiti della crescita, 1972) e il lavoro di ricerca ecologica – di cui questa testata è, in Italia, il più longevo esempio; Bobbio ha rilevato che la connotazione storica dei diritti va sempre sottolineata: la libertà religiosa è un effetto delle guerre di religione dell’età moderna, le libertà civili sono effetti della lotte dei parlamenti contro i sovrani assoluti, la libertà politica e le libertà sociali nascono dallo sviluppo dei movimenti dei lavoratori salariati, dei contadini poveri, che chiedono protezione del lavoro contro la disoccupazione; inoltre si prospetta il diritto di vivere in un mondo non inquinato e, infine, si manifestano  i diritti che riguardano i problemi della manipolazione del patrimonio genetico e i diritti relativi alla scelta del genere e alla possibilità di creare famiglie omogenitoriali.

In margine a queste considerazioni si può osservare che, in generale, il diritto giustifica il fatto, non fonda il fatto. Il problema, dunque, è quali fatti giustificare e quali fatti avversare, ma soprattutto, come tradurre il giustificare e l’avversare in pratiche efficaci. Se, all’interno dei singoli Stati esistono poteri efficaci cui rivolgersi nei casi di violazione dei diritti dell’uomo, l’efficacia non è la medesima sul piano del diritto internazionale proprio per l’assenza della possibilità di sanzionare l’effettiva violazione dei diritti umani.

Prendiamo il caso dei crimini di guerra e della loro sanzione; concretamente, la conditio sine qua non della loro sanzione è che chi li ha commessi sia stato sconfitto in guerra; diversamente, la condanna ha un valore simbolico e niente di più: non esiste, infatti, uno Stato mondiale che concretizzi le condanne emesse da un tribunale internazionale per chiunque commetta crimini di guerra.

Mancano vincoli per gli Stati sovrani

Oppure, nel caso dei Protocolli sul clima, l’astenersi dal dare seguito alla firma di un protocollo da parte di uno Stato firmatario non comporta reali sanzioni; anche in questo caso, l’inesistenza di un ordinamento cosmopolitico all’interno del quale abbiano vigore i protocolli sul clima comporta l’inefficacia dei protocolli stessi. Eppure, un buon numero dei firmatari (anche se non tutti) sono, kantianamente, Stati di diritto; ma, pur essendo tali, sono anche Stati sovrani che non riconoscono, in modo vincolante, alcuna istanza superiore a sé stessi; il vincolo della cooperazione non è, notoriamente, sufficiente. In ambito di diritto internazionale concreto, lo si è visto con chiarezza sia nella vicenda della Società delle Nazioni, sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e lo si constata a proposito della attuale guerra russo-ucraina.

La storia delle istituzioni politiche non è particolarmente confortante, in questa prospettiva: gli Stati moderni sono stati tutti unificati da una loro componente interna e con metodi tutt’altro che consensuali; la federazione nord-americana si è svincolata dal colonialismo inglese per pressanti questioni economiche, commerciali e, soltanto in seconda battuta, per questioni di diritto e ha dovuto ricorrere, comunque, alla guerra (e alla guerra civile per imporre l’abolizione della schiavitù al proprio interno, tra il 1861 e il 1865).

Uno Stato cosmopolitico potrebbe sorgere in modo diverso? Sappiamo da Clausewitz che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, che l’uso delle armi è contiguo all’uso della diplomazia nei rapporti fra gli Stati. È possibile però che la diffusione dei diritti crei quella condizione comune perché si formino istituzioni internazionali vincolanti, addirittura uno Stato cosmopolitico, uno Stato mondiale?

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FRANCESCO INGRAVALLE
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