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Invisibili: tra peste e migrazioni

| TIZIANA CARENA

Tempo di lettura: 2 minuti

Invisibili: tra peste e migrazioni

Il flagello, oggi, non è più la peste bubbonica, ma le morti dei migranti, la guerra, le catastrofi naturali. Aurélien Bory, coreografo e regista francese di fama internazionale, con questo spettacolo, intitolato Invisibili (visto al Teatro Astra di Torino l’11-14 aprile 2024) ci guida a una visione che ha come sfondo il dipinto Il trionfo della morte riprodotto nelle sue dimensioni reali (sei metri per sei); il dipinto rappresenta la peste bubbonica che ha colpito Palermo nel 1446.

Il flagello, oggi, non è più la peste bubbonica, ma le morti dei migranti, la guerra, le catastrofi naturali.

Gianni Gebbia, sassofonista di fama internazionale, Chris Obehi, cantante nigeriano e le danzatrici Valeria Zampardi, Bianca Lo Verde, Maria Stella Pitarresi, Arabella Scalisi creano un’atmosfera assoluta di contemplazione della morte. Una sorta di requiem di danza, di accoglienza della morte. Le danzatrici sono danzatrici della morte e le vittime della morte; la morte, peraltro, non è un soggetto, anche se è raffigurata con un’immagine (uno scheletro umano che cavalca lo scheletro di un cavallo). Tutta la vicenda scenica evoca la presenza immutabile della morte.

Di fronte all’irraffigurabile

Le danzatrici entrano nell’affresco, che prende, così, vita, per poi riassorbirle tutte facendole sparire. La morte fa sparire. L’ansia umana di vedere un soggetto dietro lo scomparire delle vite spinge alla raffigurazione presente della morte trionfante come essere che, se non è più umano, lo è stato (è uno scheletro). La potenza annientatrice è presentata comunque come una figura. Ma la morte è non-figura, è l’irraffigurabile. Di fronte all’irraffigurabile c’è soprattutto la costernazione per il carattere transeunte di tutte le forme viventi.

Uno dei punti più emozionanti dello spettacolo è quello in cui i vari personaggi dell’affresco, illuminati dalla luce del riflettore, parlano – con la voce di una delle danzatrici. Completa è, così, la visuale delle cose della vita quotidiana sullo sfondo della presenza dello scheletro.

La morte in mare alla ricerca di una vita migliore

Il mare, sulla scena, appare come un velo bianco che fluttua, e nelle sue volute la danza assume quasi l’aspetto di un rito sciamanico. L’affresco raffigura la morte per peste, una morte lenta e molto dolorosa. La peste è uno dei volti della morte, come lo è la morte in mare alla ricerca di una vita migliore.

La presenza costante della morte è vista non come straordinaria, ma come abituale sparire dalla fenomenicità, il passare dalla vita alla non-vita, dalla luce all’ombra, consegnato a un dipinto che, sulla scena, prende vita. Nessuno può sapere se le persone ritratte sono o non sono realmente vissute. Invisibili realmente, esse sono tipi ideali che sono tutti soggetti allo stesso destino.

La solitudine dello spirito avvolge le figure sulla scena che non parlano mai tra loro. Davanti alla morte si è sempre soli: la dimensione dell’individualità è quella della morte. Come la trasformazione del mare Mediterraneo in una grande tomba ha mostrato e continua a mostrare a sufficienza.

Scrive per noi

TIZIANA CARENA
Tiziana C. Carena, insegnante di Filosofia, Scienze umane, Psicologia generale e Comunicazione, Master di primo livello in Didattica e psicopedagogia degli allievi con disturbi dello spettro autistico, Perfezionamento in Criminalistica medico-legale. È iscritta dal 1993 all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si occupa di argomenti a carattere sociologico. Ha pubblicato per Mimesis, Aracne, Giuffrè, Hasta Edizioni, Brenner, Accademia dei Lincei, Claudiana.