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Lotta alle plastiche (specie nel mare) in Italia e nel mondo

| Patrizia Bonelli

Tempo di lettura: 3 minuti

Lotta alle plastiche (specie nel mare) in Italia e nel mondo

L’UNEP, programma ambientale delle Nazioni Unite lancia CleanSeas, Campagna globale per mettere fine ai rifiuti marini, alle microplastiche nei cosmetici e l’uso eccessivo e dispendioso della plastica monouso entro l’anno 2022. Dati sui danni e proposte per rimediare a un inquinamento che arriva da terra nei fiumi e negli oceani.

Il Comitato per l’educazione alla sostenibilità dell’UNESCO Italia ha dedicato al tema “mettiamo al bando la plastica” la settimana di Educazione allo Sviluppo Sostenibile – Agenda 2030″ per il 2018, riscuotendo molto successo. Moltissime le iniziative di istituzioni e scuole in programma.

“Il tempo per affrontare il problema della plastica che devasta i nostri oceani è scaduto: l’inquinamento da plastica sta navigando sulle spiagge indonesiane, si stabilizza sul fondo dell’oceano al Polo Nord e sale attraverso la catena alimentare sulle nostre tavole…”, ha affermato Erik Solheim (direttore dell’UNEP).

Patrizia Bonelli

Per mettere fine o limitare la produzione di rifiuti di plastica (8 milioni di tonnellate al minuto) scaricati nell’oceano, nel corso della conferenza di Nairobi nel dicembre 2017, è stata approvata la risoluzione UNEP che incoraggia gli stati ad agire per prevenire la produzione e dispersione, in particolare dalle attività a terra, di rifiuti marini e microplastiche, coerentemente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile sanciti dalle Nazioni Unite (agenda 2030). Pur non vincolante e senza indicare le quantità, la risoluzione promuove una riduzione significativa dei detriti entro il 2025, incoraggia gli stati membri a riconvertire l’economia alla circolarità e a moltiplicare gli sforzi per il riciclo dei rifiuti, per il monitoraggio del loro ciclo e per qualificare provenienza e quantità di ciò che finisce in mare.

La campagna parallela CleanSeas, lanciata all’Economist World Ocean Summit a Bali, sollecita i governi a varare politiche di eliminazione o riduzione di borse monouso, di plastica usa e getta, di imballaggi, di microplastiche da detergenti; invita inoltre i consumatori a cambiare le loro abitudini, prima che il danno nei nostri mari sia irreversibile. Oman, Sudafrica, Cile e persino lo Sri Lanka hanno aderito alla campagna CleanSeas, l’Indonesia si è impegnata a tagliare i suoi rifiuti marini di un massiccio 70% entro il 2025; l’Uruguay tasserà i sacchetti di plastica monouso entro la fine dell’anno e il Costa Rica adotterà misure per ridurre la plastica monouso.

 

In Europa presto vietate le bottiglie di plastica

In Italia, e nell’Unione Europea, i sacchetti di plastica sono stati sostituiti da quelli biodegradabili dal 2011 e presto saranno vietate anche le bottiglie di plastica, che, anche se poi riciclate in indumenti di pile, rimangono un pericolo per il futuro smaltimento e sempre troppi gli oggetti in plastica di uso comune.

Prosegue poi la bonifica e la pulizia di tratti di costa e spiagge promossa o condivisa da enti locali, autorità portuali, associazioni, aziende, scuole. Anche nel Mediterraneo, che come bacino chiuso è maggiormente esposto al permanere dei rifiuti, sono molte le iniziative e i progetti di grande impatto esemplare ed educativo per la pulizia sia della sponda nord che della sponda sud maggiormente inquinata.

Fino all’ 80% di tutti i rifiuti nei nostri oceani è plastica, causa di elevata mortalità sulla fauna marina, di impatto negativo sulla pesca e sul turismo, ed ha un costo annuo di almeno 8 miliardi di dollari. Ma da quale parte del mondo provengono la maggior parte di questi oltre 8 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno finiscono negli oceani? E dove si dirigono e si accumulano?

 

Il Pacific Trash Vortex: inquietanti conseguenze sull’ecosistema

Sono i rifiuti a terra a determinare il dramma planetario dell’inquinamento da plastica negli oceani e dei dieci grandi fiumi che veicolano il 90% dei rifiuti solo due africani, il Nilo e il Niger, gli altri scorrono tutti in Asia. Il fiume Azzurro, il fiume Giallo, il fiume delle Perle e Hai, in Cina, oltre a Indo, Gange, Mekong e Amur. Quando raggiungono la costa i rifiuti vengono spinti dalle correnti e incanalati in cinque grandi vortici.

Il Pacific Trash Vortex (l’isola di spazzatura del Pacifico) è il più grande di tutti: un’enorme concentrazione di frammenti di plastica non più grandi di 0,5 mm che le correnti hanno accumulato nei decenni a largo dell’oceano Pacifico fra Canada, Stati Uniti e a nord delle isole Hawaii. Con un’estensione maggiore degli Stati Uniti, l’isola è stata proposta provocatoriamente come stato sovrano e Al Gore candidato il presidente per questa nuova nazione dal nome di “Great Pacific Garbage Patch”.

Le microplastiche ingurgitate da molluschi, crostacei e uccelli aumentano la concentrazione degli inquinanti ad ogni gradino della catena alimentare fino ad arrivare sulle nostre tavole. Ma ancora più inquietante per la modifica incontrollabile dell’ecosistema marino è il proliferare di alcuni organismi, alcune classi di insetti e invertebrati marini che utilizzano i residui solidi offerti dalla plastica come supporto per deporre le uova e si riproducono in modo eccessivo.

 

Cosa fare per contrastare il danno negli oceani e mettere al bando l’uso della plastica

Sosteniamo gli organismi internazionali perché promuovano accordi per la riduzione della plastica come si sta facendo per le emissioni di Co2, i singoli stati premino (ad esempio con incentivi fiscali) le aziende che riducono la plastica per imballaggi o altro. Le istituzioni pubbliche e private seguano un decalogo di comportamento virtuoso con la messa al bando delle plastiche.

Il clean up delle spiagge praticato perché utile ad attivare e sensibilizzare l’opinione pubblica oltre che per assicurare la pulizia. L’uso di reti e altri strumenti per catturare i residui voluminosi di plastica ed infine grandi speranze per il Seabin, bidone galleggiante in grado di filtrare 24h su 24h l’acqua marina, eliminando non solo i rifiuti solidi, ma anche i residui di detersivi e sostanze inquinanti.

Questo piccolo strumento ideato dall’azienda di due giovani australiani, se prodotto su larga scala e distribuito su ampie superfici di mare potrebbe dare buoni risultati, ma si tratta certo di un’idea complessa e di difficile realizzazione su scala mondiale. Positivo però che si cominci a mettere all’ordine del giorno possibili interventi per far fronte all’ emergenza plastica nel mare. Gli interventi più auspicabili e risolutivi restano però quelli della riduzione e della completa messa al bando delle plastiche.

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Patrizia Bonelli