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Morale e scienza della politica

| FRANCESCO INGRAVALLE

Tempo di lettura: 3 minuti

Le opere di Machiavelli fotografano la violenza degli Stati, vero cui lo stesso Segretario fiorentino, fondatore della moderna scienza della politica, come nel ritratto di Andrea del Castagno, sembra mostrare un’espressione di disgusto.

Il dr. Carl Lighthman, protagonista della serie “Lie to me” potrebbe dire che il Segretario fiorentino, Niccolò Machiavelli, fondatore della moderna scienza della politica, mostra un’espressione di disgusto in questo ritratto di Andrea del Castagno qui proposto nella rielaborazione grafica di Madda Paternoster (“Il Sole 24 Ore” del 14 maggio 2023).

L’oggetto della sua scienza, la politica, era tale da giustificare, forse, la sua espressione e non soltanto per quanto leggiamo nel suo capolavoro, Il Principe (1513), ma anche per gli “appunti” pubblicati, ora, da Daniele Conti (I ‘quadernucci’ di Niccolò Machiavelli. Frammenti storici palatini, Edizioni della Normale, 2023)? Negli ‘appunti’ leggiamo della esecuzione di Ramiro de Lorqua, luogotenente di Cesare Borgia in Romagna: “Haveva fatto el Duca prima morire messer Rimiro dell’Orco, suto governatore di Romagna, et fattone uno spettaculo in la piazza di Cesena a tutto quel populo satisfatto” che Daniele Conti connette, naturalmente, a un passo del capitolo VII del Principe: “Lo fece a Cesena, una mattina, mettere in dua pezzi in sulla piazza, con uno pezzo di legno e uno coltello sanguinoso a canto. La ferocità di quello spettaculo fece quelli populi in uno tempo rimanere satisfatti e stupidi”.

La politica come “gestione della ferocia”

Ramiro de Lorqua, luogotenente in Romagna dal 1501, “uomo crudele ed espedito”, era stato preposto alla Romagna da Cesare Borgia; era riuscito a pacificarla, con mezzi estremi; mezzi estremi che avevano suscitato odio; “e perché conosceva le rigorosità passate averli generato qualche odio, per purgare gli animi di quelli populi e guadagnarseli in tutto, volle mostrare che, se crudeltà alcuna era seguita, non era nata da lui, ma dalla acerba natura del ministro.”

In questo caso, potremmo definire la politica come “gestione della ferocia” e come un’anticipazione pratica della psicologia delle masse teorizzata da Gustave Le Bon e da Sigmund Freud. Ma, anche se apparentemente meno cruenta, non meno dura è la lettura del capitolo XVIII del Principe (uno dei capitoli la cui traduzione latina di Silvestro Tegli (1580) è stata più “purgata”, considerato che essa sarebbe circolata in contesti calvinisti e/o luterani); dopo aver esordito dicendo: “Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende”, prosegue affermando: “nondimanco si vede, per esperienzia ne’ nostri tempi, quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare e’ cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà.”

La fondazione di ogni Stato è battezzata col sangue?

Si è detto, e con ragione, che Machiavelli ripete, in fondo, quanto già detto da Aristotele (soprattutto nei libri IV, V e VI della Politica), da Polibio (soprattutto nel libro VI delle Storie); ma molto significativa è non soltanto la sua lettura del De rerum natura (estremamente realistico, per quanto concerne la natura umana quale essa appare nella vita delle collettività), ma soprattutto, la sua lettura del De Civitate Dei di Aurelio Agostino.

Agostino ha scritto che Caino ha fondato lo Stato (civitas), non Abele; quindi, il primo fondatore dello Stato è stato un fratricida; Machiavelli richiama l’esempio di Romolo, fondatore di uno Stato e fratricida (XV, 1; XV, 5) Giuseppe Prezzolini in Cristo e / o Machiavelli (1971) ne conclude: “la fondazione di ogni Stato è battezzata col sangue di fratelli o con la minaccia di spargerlo.”

Ma Agostino va oltre (De Civitate Dei IV,4 ss.): “Che cosa sono i grandi Stati, una volta rimossa la giustizia, se non grandi bande di predoni? E che cosa formano questi predoni, se non dei piccoli regni? Infatti si tratta di bande di uomini, rette da un capo, legate da una costituzione e si spartiscono le prede con un accordo legale. Se una di queste bande si accresce fino a occupare un’intera regione, fissando sedi, dominando città, si arroga il nome di Stato, conferito non dalla rinuncia alla cupidigia, ma dalla sicurezza dell’impunità.”

Siamo al “grado zero” della politica? A quel “grado zero” dal quale l’Illuminismo ha tentato di risollevarci (con risultati opposti ai propositi, se leggiamo la Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno e, ancora di più, L’uomo a una dimensione di Marcuse)?

Il presente non è parco, purtroppo, di risposte a questa domanda e l’espressione del ritratto di Machiavelli, se rivolta alla politica, rappresenta bene l’emozione del disgusto.

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FRANCESCO INGRAVALLE
FRANCESCO INGRAVALLE