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Rileggere i classici: perché è utile per noi

| TIZIANA CARENA

Tempo di lettura: 4 minuti

Rileggere i classici: perché è utile per noi

Possiamo ancora imparare qualche cosa dai sociologi classici? Il loro sguardo sulla realtà sociale proiettato nel mondo d’oggi. Dignità del lavoro, coesione sociale, le strategie del potere,… I classici della sociologia, riletti alla luce dell’oggi, sono giganti sulle cui spalle possiamo comprendere e tentare di trasformare il mondo.

Se parliamo di Karl Marx (1818-1883), filosofo ed economista tedesco, non possiamo non parlare di “ideologia”. Ma a che cosa serve l’ideologia? Potremmo chiederci se uno dei fiori all’occhiello di Marx, il “materialismo storico” sia un’ideologia, ma non avremmo risolto il problema dell’“a che cosa serve” e forse anche di che cosa sia l’ideologia. Certamente Marx (con Friedrich Engels) ci ha immersi in uno scenario che non ha tempo; tutti temi da loro trattati (capitale, salario, mezzi di produzione, rivoluzione) sono realtà della storia moderna e contemporanea. Allora, immergiamoci nel tessuto concettuale marxiano e vediamone gli aspetti salienti. Marx si occupa della storia umana come serie di eventi e condizioni concrete e materiali, in quanto il fine principale dell’uomo è quello di procurarsi i beni necessari a soddisfare i bisogni, innanzitutto primari.

Dal lavoro dipende la dignità umana

Egli analizza le classi sociali nella società industriale, la borghesia e il proletariato. La prima è costituita dai proprietari dei mezzi di produzione, la seconda è costituita da coloro che dispongono della sola forza-lavoro. I primi sono anche detti “capitalisti” perché dispongono del capitale indispensabile a iniziare ogni processo produttivo.

Per “classe sociale” Marx intende il complesso degli individui che si trovano nella stessa posizione rispetto alla proprietà dei mezzi di produzione.

Il lavoro è analizzato da Marx come attività tipicamente umana e come ciò che differenzia l’uomo dagli altri animali. Infatti, a differenza di questi ultimi, l’uomo produce da sé i mezzi di sostentamento, rendendosi meno dipendente, rispetto all’animale, dall’ambiente naturale e dalle condizioni climatiche.

Proprio nell’opera L’ideologia tedesca (1846, scritta con Engels), il filosofo sostiene che l’uomo conquista pienamente la propria natura soltanto nel momento in cui comincia a lavorare, uscendo così dalla dimensione “naturale” per entrare in quella “storica”. Pensiamo a quanto sia determinante oggi il lavoro, a quanto da esso dipenda la dignità umana, e quindi, quanto sia attuale il discorso marxiano.

Ma il lavoro può far perdere la dignità umana

Un punto fondamentale della sua sociologia del lavoro è il concetto di “alienazione”, fondamentale per spiegare, con questo termine, l’estraneità del lavoro rispetto all’operaio nella società capitalistica; il lavoratore non si realizza come uomo nel proprio lavoro, ma perde in esso la propria umanità (alla metà del XIX secolo, il salario operaio era al livello della sopravvivenza, gli orari di lavoro erano assai estesi e in quello che restava della giornata non c’era tempo se non per il soddisfacimento dei bisogni primari, bisogni non specificamente umani, ma comuni a tutti gli animali). In questi termini, il lavoro riabbassa l’uomo al livello dell’animale (alienazione = disumanizzazione dell’uomo).

Marx parla del conflitto fra le classi sociali, di rivoluzione della classe operaia per la costruzione di una società senza proprietà privata e senza distinzioni economiche fra classi. Per lui l’economia è il “motore” dello sviluppo sociale; le idee (filosofiche, religiose, artistiche) che gli uomini hanno sulla società dipendono dalle trasformazioni provocate dallo sviluppo economico.

La forza della solidarietà

Se rileggiamo i lavori di Émile Durkheim (1858-1917), sociologo francese, troviamo temi come la “malattia sociale”, le tendenze collettive (anteprima dell’universo social, del grande set degli attori sociali) e l’analisi dei dati quantitativi per narrare un fenomeno sociale.

Durkheim studiò, appunto, le tendenze collettive per spiegare le azioni, ovvero i comportamenti, delle singole persone. La società, per il sociologo, esiste al di fuori e al di sopra dell’individuo. Durkheim parla, infatti, di “solidarietà”, forza che tiene coesa la società che è fatta di individui, ognuno diverso dall’altro. Una collettività è tanto più solidale, quanto più si comporta in maniera coesa, cioè quanto più è dotata di valori condivisi da tutti i suoi componenti e caratterizzata da comportamenti omogenei fra di loro. Vediamo bene quanto sia importante questo aspetto legato al tema della solidarietà, oggi (esso emerge sia nelle istituzioni del Welfare sia nelle realtà di volontariato).

Lo studio oggettivo dei fenomeni sociali

La coesione sociale si basa fondamentalmente sulla divisione del lavoro; in questo modo il sistema sociale funziona: ciascuno ha un suo compito coordinato con i compiti di tutti gli altri; perciò, la divisione del lavoro ha un valore sociale.

Durkheim recupera il termine greco antico “anomia” – che diventa una peculiarità per la sua analisi sociologica – per intendere una società carente di norme sociali condivise e di coesione; l’anomia, dunque, è un fattore di disgregazione della società. La società anomica è una società essenzialmente conflittuale, disfunzionale e disumanizzata.

Lo sguardo di Max Weber (1864-1920), sociologo ed economista tedesco, si concretizza in un approccio qualitativo alla realtà sociale. Egli sostiene che il centro della ricerca sociale è costituito dalle azioni e dalle loro motivazioni.

Weber, nelle sue ricerche, utilizza quelli che denomina “tipi ideali” o modelli generali in grado di spiegare le dinamiche sociali. I “tipi ideali” sono una sorta di strumenti per classificare fenomeni sociali ed economici analoghi; a es. “capitalismo”, “cristianesimo”, ecc. Per quanto riguarda la sociologia politica, particolare rilievo ha la leadership interamente fondata sul fascino, sulla capacità di persuadere gli altri e sul magnetismo personale, che viene classificata da Weber sotto il tipo ideale del “potere carismatico” di cui il XX secolo ha dato numerosi esempi e non solo il XX secolo…

Metodologicamente fondamentale nella sociologia weberiana è il concetto di “avalutatività” della scienza sociale; questo concetto è stato introdotto da Weber per separare il dare giudizi di valore sui fenomeni sociali dallo studio oggettivo dei fenomeni sociali stessi; il sociologo non giudica, deve comprendere, e per comprendere dev’essere neutrale, in quanto scienziato o analista sociale.

Concetti attualissimi, se adeguati a quanto è emerso

A ben guardare, l’ottica di questi tre classici del pensiero sociologico sulla realtà sociale ha, per non pochi versi, oggetti comuni a quelli che ha lo studioso di scienze sociali oggi. Il peso delle ideologie (cioè delle giustificazioni irrazionali delle azioni individuali e collettive veicolate dai social), la realtà classista delle società attuali, anche delle più avanzate, la straordinaria efficacia delle tendenze collettive grazie all’uso dei social, il problema della scarsa contenibilità del potere (economico, militare e politico) nei limiti dei diritti umani richiedono, ancora, l’utilizzo dello strumentario di questi classici; ovviamente, adeguato a quanto di nuovo è emerso, socialmente, dopo il loro tempo.

Noi pensiamo, spesso, ai classici come a qualche cosa di superato dal progresso degli studi sociologici, ma ci stiamo accorgendo che si tratta dei giganti sulle cui spalle possiamo comprendere e tentare di trasformare il mondo.

Scrive per noi

TIZIANA CARENA
Tiziana C. Carena, insegnante di Filosofia, Scienze umane, Psicologia generale e Comunicazione, Master di primo livello in Didattica e psicopedagogia degli allievi con disturbi dello spettro autistico, Perfezionamento in Criminalistica medico-legale. È iscritta dal 1993 all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si occupa di argomenti a carattere sociologico. Ha pubblicato per Mimesis, Aracne, Giuffrè, Hasta Edizioni, Brenner, Accademia dei Lincei, Claudiana.