Scienza, uomo, natura in scena
Galilei è un nuovo Prometeo che apre in modo decisivo la via al homo faber; ma il suo impatto sociale è, quanto meno, problematico. Luci e ombre della scienza (o meglio tecno-scienza) diventano un’opera teatrale. Abiura della verità o abiura di libertà, uguaglianza, fraternità in nome del governo totale dell’ambiente?
Processo Galileo di Angela Dematté, Fabrizio Sinisi, dramaturg Simona Gonella, regia di Andrea De Rosa, Carmelo Rifici con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano, Catherine Bertoni De Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini; produzione LAC Lugano Arte e Cultura, TPE- Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT /Teatro Nazionale, in collaborazione con Associazione Santa Cristina Centro Teatrale. Astra Teatro, Torino, 12-20 novembre 2022, Stagione 2022/2023: “Buchi Neri”.
Una giovane intellettuale dei nostri giorni deve raccontare divulgativamente, per una rivista, il cambio di percezione che la scienza sta ponendo oggi; ma un lutto famigliare la porta a mettere in discussione l’intera storia della scienza (e della tecnica) moderna.
La scena, semi-deserta, mostra cinque contenitori di terra, in mezzo a cavi metallici, tra i quali viene evocato a muoversi Galilei, con la sua immagine dell’universo che ci sta aperto davanti, ma che è scritto in caratteri geometrici. Lo ascolta la giovane intellettuale, china sui propri appunti e sulla tastiera di un piccolo pianoforte.
Sfilano davanti ai nostri occhi le accuse, tra cui una, forse la più tagliente: le nuove verità distruggeranno l’ordine costituito, mentre la vecchia teoria (quella aristotelico-tolemaica) proteggerà l’ordine costituito.
In nome della verità scientifica, Galilei rischia il supplizio della ruota, rischia il rogo (sul quale è stato arso il filosofo Giordano Bruno). Non a caso, il Dialogo sopra i due massimi sistemi viene proibito. Sotto la pressione dell’Inquisizione, Galilei abiura. Ma la sua abiura apre la strada al cammino della scienza; che procede, comunque; fino alla bomba atomica che Galilei giustifica, sulla scena, con le esigenze del progresso e argomentando che gli scienziati finiscono per essere strumenti dei politici; ma non sempre, si potrebbe dire, come ricorda il caso di Julius Robert Oppenheimer, dimessosi dal gruppo degli scienziati che svolgevano ricerche sulla bomba atomica, prontamente accusato di essere filo-comunista e processato nel 1954. Un caso portato sulle scene da Heinar Kipphardt quasi sessant’anni fa (Sul caso di Julius Robert Oppenheimer, Torino, Einaudi, 1964).
Ma Oppenheimer non ha abiurato
Oppenheimer, a differenza di Galilei, non ha abiurato.
Sulla scena, tempi si intrecciano, i dialoghi fantastici si infittiscono sino a far svanire Galileo Galilei come personaggio storico. Con il procedere del cammino della scienza, Galilei, infatti, diventa il sistema della scienza in continuo progresso con lo sviluppo dell’economia capitalistica: ed eccolo esaltare, nel nostro tempo, la somiglianza della rete neurale con la rete informatica, la possibilità che essa generi una mente collettiva fatta di menti individuali. Ma, qui, sorge il dubbio nel Galilei-sistema, ma ancora essere umano: questa rete lavorerà per il bene di tutti? Corpi e macchine saranno connesse in modo sempre più intimo: occorre sperare per il meglio!
Galilei è un nuovo Prometeo che apre in modo decisivo la via al homo faber; ma il suo impatto sociale è, quanto meno, problematico: esso reprime ogni forza che gli si opponga; prima i luddisti, poi, i tessitori di Lione, poi le masse in rivolta nell’Italia del 1898, fino ad arrivare a Genova e a Wikileaks.
Nella sua marcia, la scienza – che ormai converrà chiamare, con Serge Latouche, tecno-scienza – obbliga, di fatto, ad abiurare alla libertà, all’uguaglianza, alla fraternità in nome del governo totale dell’ambiente: “Il labirinto cresce, ma la luce avanza, piena! Galilei non si può fermare!” La tecno-scienza ottiene, così, risultati non diversi dall’oscurantismo che obbligò Galilei all’abiura, in una sorta di “oscurantismo illuminato”; e configura un paesaggio psichico non diverso dalla celebre immagine di Nietzsche: “Il deserto cresce: guai a chi alberga in sé deserti! Pietra stride su pietra, il deserto inghiotte e strozza. La morte atroce fissa rovente il suo sguardo bruno e mastica – la sua vita è il suo masticare…Non dimenticare, o uomo che la voluttà ha macerato. Tu –sei la pietra, il deserto, tu sei la morte” (I ditirambi di Dioniso e poesie postume (1882-1888), Milano, Adelphi, 1970). Un deserto galileiano, perfettamente tecno-scientifico, assolutamente illuminato, ma, pur sempre, un deserto.
Il sapere scientifico e il suo ruolo antropologico e sociale problematizzato

Uno spettacolo, questo di Angela Dematté e di Fabrizio Sinisi, che problematizza il sapere scientifico e il suo ruolo antropologico, sociale, quasi nei termini stessi utilizzati, nel 1948, da Daniel Halévy: “L’uomo affronta un’energia assolutamente sproporzionata a quello che egli è” (D. Halévy, L’accelerazione della storia, tr. it. Milano, OAKS, 2019), o da Günther Anders, nella sua celebre definizione-motto del progresso tecnologico: “Quello che può essere fatto, deve essere fatto” (G. Anders, L’uomo è antiquato II, tr. it. Torino, Boringhieri, 1983); il “motore di questa marcia” è, tuttavia, non mera opera dell’intelletto, ma dipende dalla spinta produttivistica dell’immaginario della società industriale analizzata, cinquant’anni orsono, da Peter Kénde (Crisi della società produttivistica, tr. it. Milano, OAKS, 2022) e ampiamente diagnosticata da Herbert Marcuse nella prima metà degli anni Sessanta (L’uomo a una dimensione, tr. it. Torino, Einaudi, 1967).
Uno spettacolo che si giova dell’interpretazione intensa degli attori, che proiettano il pubblico in una dimensione in cui tempi e spazi, normalmente separati, si uniscono in un grande punto interrogativo: la scienza ci ha donato la verità, ma ha privato il nostro vissuto dei sensi più antichi, mettendoci di fronte al vuoto di significati e al degrado dei rapporti sociali e della natura.
La fiaba della tecno-scienza, la leggenda dello scienziato che coglie il mondo in un pugno di formule matematiche, il mito della ragione assoluta; ma “le fiabe, le leggende, i miti si assomigliano in tutto il mondo perché parlano al cuore: creano un cerchio magico” (Tiziana C. Carena, La bottega del linguaggio. Due percorsi del senso comune, seconda Edizione, Roma, Aracne, 2020).
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